Sergio Cazzolaro
Una vita per lo spettacolo.

di Alfio Morelli
In questa nuova intervista incontriamo un pioniere del settore dell’intrattenimento in Italia, un personaggio che ha inondato di idee il mercato per oltre cinquant’anni. Partito da Varese e dalle primissime discoteche italiane, durante gli anni Settanta, Sergio Cazzolaro ha poi lavorato negli eventi del cabaret, della televisione, della musica e del circo, specializzandosi di volta in volta negli ambiti più diversi, dal catering alle strutture. È stato un pioniere dei palchi da tour prefabbricati, dell’introduzione delle strutture Layher e delle pedane modulari.
Per non dimenticare nessuno dei suoi contributi al settore, intervistiamo Sergio e facciamoci raccontare direttamente i primi passi della sua carriera.
Sergio, come è iniziata la tua avventura in questo mondo?
Sono partito da Varese, la mia città natale, nel 1970. Quell’anno aprii quella che può essere considerata la prima vera discoteca in Italia: si chiamava “Il Caminaccio”. Era il 23 marzo, una data che ricordo ancora benissimo. All’epoca, si ballava solo con le orchestre o, al massimo, con i jukebox. L’idea della discothèque – così si chiamava allora – mi venne dopo un viaggio a Saint-Tropez, dove visitai un locale che credo si chiamasse Les Caves du Roy. Era un periodo di grande entusiasmo, ma con pochi mezzi. Trovai una cascina diroccata, la sistemai e vi installai due casse, due giradischi e una consolle costruita da un tecnico audio che aveva un negozio a Milano. Più tardi, la sostituii con il primo prototipo di consolle LEM. Il locale cominciò subito a farsi notare: persino al Nautilus di Cardano al Campo – una mega-discoteca da 5.000-6.000 persone, oggi chiusa – decisero di inserire una sala chiamata “Discothèque”, ispirandosi a quella prima vera discoteca italiana.

Palarock di Sanremo.
Da lì nacque una nuova idea, giusto?
Sì. A Milano, in quegli anni, c’erano due cabaret molto attivi: il Derby e il Refettorio, dove settimanalmente si alternavano i comici della scuola milanese. Così, pensai a un nuovo format: Discoteca + Cabaret. Da me passarono artisti del calibro di Cochi e Renato, Enzo Iacchetti – che proprio lì debuttò, Beruschi, Califano, Umberto Bindi e Antonio Ricci, che arrivava dal Teatro della Tosse di Genova. Non scritturai, invece, Beppe Grillo: non ci credetti, e ancora oggi ci rido sopra! Fu un vero boom.
Il successo era arrivato, e poi è cambiato ancora tutto.
Nel 1974, ancora giovane, vendetti il Caminaccio. Fu un periodo di grandi lusinghe: mi proposero progetti cinematografici e l’apertura di un nuovo locale in una grotta in Costa Smeralda, che credo oggi si chiami Ritual. Il cinema non portò a nulla, ma in quegli anni conobbi molta gente. Un giorno mi proposero infatti di organizzare alcune date per Fabrizio De André, che aveva appena debuttato il 15 marzo 1975 alla Bussola di Viareggio: iniziammo le prove alla Carta Vetrata di Rovelli, a Bollate. In quell’occasione conobbi anche Pepi Morgia, che sarebbe diventato un caro amico. Con Fabrizio feci il tour di Storia di un impiegato, che si concluse a Varese il 17 gennaio 1976. Allora non si chiamavano “concerti”, ma semplicemente “date”.
E poi?
Negli anni Ottanta, a Milano, si cercava di dare nuova linfa alla scena culturale, e così nacque il Teatro Tenda. Il Teatro Quartiere a Quarto Oggiaro fu un esperimento sociale e culturale d’avanguardia, spesso gestito da associazioni locali. Mi chiesero il palco, e lo montai io. Poco dopo acquistai il mio primo palco prefabbricato industriale, interamente in ferro, prodotto da CETA – l’alluminio ancora non si usava. Nel 1980 iniziai a girare l’Italia con il mio palco al seguito: era la prima volta che un tour includeva anche la struttura. Impresari come Willy David e Venturi colsero subito il potenziale, e il mio palco venne usato per tour di artisti come Pino Daniele, Francesco De Gregori e Claudio Baglioni. La richiesta cresceva. Comprai altri palchi, componibili e adattabili. In un paio d’anni feci circa 400 noleggi: ero il primo e l’unico in Italia.
Poi arrivò Divier Togni, uno degli eredi della nota famiglia circense.
Sì, Divier Togni intuì perfettamente il potenziale di questo business: creò il Teatro Tenda di Lampugnano a Milano, caratterizzato da una struttura a ruota di bicicletta completa di palco. Il format conobbe un successo clamoroso grazie al tour La Carovana del Mediterraneo di Branduardi e Zard. Con David Zard, in particolare, il rapporto proseguì per la fornitura dei palchi nei suoi tour. Fu proprio lui che un giorno mi propose di occuparmi del catering per il tour europeo di Branduardi: all’epoca, quasi nessuno in Italia sapeva cosa significasse fare catering per grandi eventi. “Dobbiamo cucinare noi – mi dissero – perché i tecnici romani della Scossa si lamentano sempre del cibo!”
Così acquistai un vecchio pullman dell’EURATOM – usato come cella di decontaminazione radioattiva – e lo trasformai in una cucina mobile. Nell’82, Zard mi chiese il servizio stellato per i Rolling Stones, a Torino e Napoli. Fu un lavoro mastodontico: includeva un servizio stellato per la band e l’entourage, e la preparazione di oltre 600 cestini per tre volte al giorno per una settimana. Si andava persino in auto fino in Svizzera, Francia e Germania a recuperare birre e sigarette introvabili.
E la svolta con Layher?
Durante un concerto al Teatro Tenda di Lampugnano, la mia attenzione fu catturata da una torretta costruita con tubi multidirezionali da Layher. Decisi, letteralmente, di “rubare” un tubo con l’etichetta del produttore e partire per la Germania. Il mio obiettivo era chiaro: volevo un palco costruito con quel sistema, che all’epoca era ancora brevettato. Insistetti a lungo finché non riuscii a farmi ascoltare. Alla fine, Layher realizzò per me e per Walter Smith – un noleggiatore tedesco – la prima struttura in alluminio sospesa. La acquistai subito, pensando di usarla per il tour all’aperto di Giorgio Gaber, organizzato da Ballandi. Purtroppo, il tour saltò e il palco rimase in magazzino per due anni.

Sting all'Arena di Verona.
La svolta arrivò nel 1986, quando Mamone mi chiese il palco Layher per le otto date del tour italiano di Sting. Sting rimase subito colpito dalla struttura: in occasione della data all’Arena di Verona, invitò i suoi amici di Stageco, i quali intuirono immediatamente il potenziale rivoluzionario di quel sistema. Questo incontro fu fondamentale, portando Layher a dominare il mercato europeo. Dal 1985 il mio palco fu utilizzato per i tour di Vasco Rossi, per eventi Rai e Fininvest, e in molte altre produzioni importanti. Purtroppo, nel 1990, per motivi di salute, fui costretto a vendere tutte le mie attrezzature.
Una pausa momentanea, per fortuna.
Dopo un periodo di ricovero e convalescenza, mi reinventai. Tornai alle produzioni: palchi, scenografie, fiere, spettacoli TV, mostre, congressi. Facevo anche da capocommessa, offrendo un servizio completo, chiavi in mano. E poi venne l’idea dellla pedana Sixtema.
A metà degli anni Novanta, mentre preparavo un’edizione di Pavarotti & Friends, un amico mi lasciò in ufficio un pop-up pubblicitario in alluminio. Fu in quel momento che ebbi l’intuizione: creare una pedana modulare, leggera e richiudibile. Dopo anni di prove e perfezionamenti, nacque Sixtema, e il successo fu immediato: le pedane iniziarono a comparire sui palchi di Renato Zero, Laura Pausini e molti altri. Pepi Morgia fu tra i primi a credere nel progetto e a supportarlo: l’apoteosi arrivò al SIB di Rimini, dove le richieste giunsero da ogni parte del mondo. Nel 2000 decisi di partecipare a Musikmesse: qui alcuni imprenditori cinesi si mostrarono molto interessati e proposero una joint venture; quando mi recai in Cina, scoprii che avevano già prodotto ben 500 pianali, copiando di fatto il mio brevetto. Invece di intraprendere una causa legale, riuscii a trovare un accordo: loro avrebbero prodotto i pianali, mentre io avrei fornito la struttura. Questo arrangiamento funzionò per un paio d’anni. Nel frattempo, continuai a innovare e brevettare altre due soluzioni: i palchi modulari Bravo e le Strutture Arena. Infine, nel 2015, decisi di cedere definitivamente l’attività.
In che momento è nato il rapporto con il principato di Monaco?
Durante una fiera a Francoforte, conobbi i responsabili di SBM – Société des Bains de Mer, che gestisce gran parte del lusso a Monte Carlo: ristoranti, casinò, alberghi, spa, teatri… Inizialmente acquistavano solo attrezzature. Poi il rapporto si consolidò: mi interpellavano per problemi e soluzioni, e alla fine iniziai a lavorare quasi in esclusiva per loro. Oggi ho un piccolo appartamento a Monaco e un magazzino a Ventimiglia. Da lì continuo a supportarli.
Insomma, dopo tutto questo… è venuta l’ora di rilassarsi?
In effetti, dopo 55 anni di spettacolo ogni tanto mi concedo un po’ di pace. Ho un piccolo gozzetto ormeggiato al porto di Ventimiglia – gestito da una società monegasca – e quando posso esco in mare a rilassarmi.
Presto dovrò lasciare il posto a qualcun altro… se qualcuno vorrà raccogliere il testimone!




