Mamo Pozzoli - Lighting designer
Cremonini Live25: le interviste a tutti i protagonisti di un tour internazionale.

Cremonini torna dopo due anni a percorrere le venue più importanti d’Italia. L’artista bolognese festeggia venticinque anni di carriera, e l’occasione era quella giusta per “alzare il tiro” e confermare i tour di Cremonini come eventi di livello internazionale.
Mamo, il disegno luci di questo tour è completamente diverso da quello visto a Imola nel 2022.
Assolutamente sì. Non solo è un disegno completamente diverso, ma nasce da una produzione diversa, per un tour nuovo, un nuovo disco… abbiamo azzerato tutto ciò che era stato fatto in precedenza. È la terza esperienza con Cesare negli stadi: dopo il 2018 e il 2022, il 2025. Anche a produzione spenta si percepisce chiaramente l’ambizione di questo allestimento. Il primo elemento che salta all’occhio è l’enorme superficie LED: uno schermo di quasi 900 m2 che rappresenta il fulcro del progetto scenico. È un elemento che, fin da subito, ho tenuto in considerazione non solo a livello tecnico, ma come fonte visiva primaria. Per quanto l’impianto luci sia composto da circa 700 fixture, quando il LED è a pieno regime, emette una quantità di luce tale da condizionare completamente la scena. Ho scelto quindi di non considerarlo come un elemento “inquinante”, ma come il generatore principale dell’estetica dello show. Spesso, con schermi di queste dimensioni, l’approccio comune è quello di usare le luci come semplice cornice. Ma non è il mio stile: ho insistito affinché, già a partire dal plot scenico, fossero introdotte geometrie autonome, capaci di dialogare con lo schermo ma anche di imporsi con un’identità propria, andando oltre il concetto di complementarità.
Quindi hai scelto di “farti amico” questo grande schermo, invece di combatterlo?
Non avevo alternative: sarebbe stata una battaglia persa! Il mio lavoro consiste nel creare una narrazione visiva per oltre due ore e mezza di concerto. Questo richiede una piena sinergia con i contenuti video. Il LED è largo 65 m, ma relativamente basso, 12 m: questo mi ha permesso di utilizzare l’area superiore — tra il bordo superiore dello schermo e il tetto — per inserire elementi scenici capaci di dialogare, o talvolta contrastare, la geometria rettangolare dominante. Così sono nati i dieci grandi cerchi motorizzati: elementi mobili, di varie dimensioni, che spesso si spostano davanti allo schermo. Ho voluto ribaltare l’approccio classico del see through, dove lo schermo diventa trasparente per rivelare il lightwall sul fondo: qui invece abbiamo un light through, sono le luci a invadere il campo visivo, posizionandosi davanti al LED, creando una narrazione alternativa.

Come hai deciso di trattare questi cerchi?
Ho voluto fossero completamente “monotipologici”: montano esclusivamente strobo ibride, 200 in totale. Un terzo del parco luci è dedicato a questi cerchi, che così diventano protagonisti della narrazione. Non ho voluto caricare i cerchi di traccianti o effetti spettacolari “facili”, ma ho preferito un design più sobrio, con un’identità forte e unitaria. Ci sono anche120 barre LED, disposte linearmente da 20 m l’una, in cinque accensioni. Anche qui ho voluto un impatto visivo netto, concentrato, evitando la dispersione. L’approccio è stato quello di poche scelte, ma chiare, coerenti e incisive.
Il progetto è stato sviluppato insieme allo show designer e al team video, giusto?
Esattamente. Il concept nasce da un lavoro a tre mani con Giò Forma, nella figura di Claudio Santucci, che ha curato lo show e il set design, e con il team inglese di NorthHouse per la parte video. Parliamo di professionisti di altissimo livello — sono, per intenderci, quelli che seguono i Coldplay — con un approccio visivo molto anglosassone, basato su colori accesi e utilizzo spinto del live nei contenuti. Mai un IMAG classico, ma sempre immagini elaborate, grafiche, fortemente filtrate. Inizialmente non è stato semplice: venendo da una scuola più ortodossa, dove si dice “mai più di due colori insieme”, ho dovuto rivedere il mio approccio. Nel tour precedente avevo scelto un impatto monocromatico molto forte. Qui, invece, ho sviluppato un concetto di policromatismo selettivo: usare tanti colori, ma all’interno di spettri ben definiti.
Passami la battuta: quando si usano troppi colori si rischia l’effetto “pizzeria”. Tu però hai fatto una pizza gourmet…
[Ride] Te la passo, sì, è un “impiattamento” diverso. Il termine “pizzeria” è in effetti spesso usato in modo dispregiativo, ma quello che ho cercato di fare è una selezione attenta: non tutte le stagioni sulla stessa fetta, ma una quattro stagioni da cui scegli una porzione per volta. Ad esempio, se scelgo di lavorare nella gamma tra verde e blu, sviluppo tutto uno spettro coerente con transizioni morbide, sfruttando il pixel mapping delle fixture. Anche il bianco ha un suo spettro cromatico: nel primo atto dello show lavoro moltissimo con i bianchi, ma passando dal caldo al freddo, con infinite sfumature intermedie.

Torniamo ai cerchi: come funzionano esattamente?
Come dicevo, sono strutture motorizzate con solo strobo ibride. Hanno funzione di blinder, generatore di effetti, elemento scenico in movimento. Sono programmati interamente via MA3, senza l’uso di media server per gli effetti: tutto esce dal banco. Il sistema sfrutta 40 universi solo per i cerchi, a cui se ne aggiungono altri 40 per le barre LED, anch’esse programmate pixel-to-pixel. È un lavoro molto spinto sul piano tecnico. Abbiamo comunque anche un parco luci più tradizionale a completare il disegno.
Succede qualcosa di inaspettato durante lo show?
Sì, diverse cose. C’è un uso costante delle automazioni: movimentazioni di pedane, effetti speciali, laser. Ma la vera novità è la presenza di otto performer/ballerini che danno vita a quadri coreografici. È un elemento nuovo nell’universo Cremonini, un esperimento discreto ma efficace, che arricchisce alcune canzoni con un valore scenico inaspettato.
Immagino che anche il momento “piano e voce” sia previsto.
Naturalmente, è la comfort zone di Cesare. Lo chiede lui stesso: un momento intimo in cui coinvolge il pubblico. Non può mancare, così come i suoi grandi classici nella seconda parte del concerto. La prima parte è dedicata ai brani del nuovo disco: otto pezzi inediti che spingono lo spettatore fuori dalla sua zona di comfort. Poi, dal piano in avanti, lo show prende un’altra piega e diventa più familiare, più “in discesa”.
C’è qualcosa che non ti ha soddisfatto come pensavi?
Ti dirò: mi ritengo fortunato. Ho avuto otto notti di programmazione effettiva e, incredibilmente, alla data zero a Lignano non ha piovuto, che è un evento raro. Ho avuto anche dieci giorni in studio per la pre-programmazione, quindi abbiamo raggiunto un livello molto alto di definizione e profondità. Ovviamente, col senno di poi, qualche cosa la cambierei, come è naturale; ma fortunatamente ci saranno almeno quattro nuove date importanti nel 2026, che mi daranno l’opportunità di correggere e migliorare.
Vuoi citare qualcuno del team con cui hai lavorato?
Certamente, vorrei presentare alcuni colleghi. Intanto il team di Agorà, che è stato, come sempre, eccezionale: la squadra di Marco Carancini è una garanzia. Con me qui c’è Mirko Palanca, network manager per conto di Agorà. Inoltre, per queste prime date, ho avuto il supporto di Alberto Manzone di RM Multimedia, che mi ha assistito con la gestione della MA3; un bel salto per me, che venivo dalla MA2. L’ho chiamato “la mia badante”: ogni tanto mi sgrida, ma sempre per il mio bene! Un ringraziamento speciale va anche ad Angelo Di Nella, il mio programmatore alle prove, che ha fatto un lavoro strepitoso.




