Un luminoso delirio

L’evoluzione del mixer luci dai primordi ad oggi...

di Stefano Cantadori

Andrei volentieri in ferie parlando, ad esempio, di luci. Che ne so: l’evoluzione del mixer luci dai primordi ad oggi.

Una volta si usavano vasche di acqua salata. Siccome l’acqua evaporava si usavano anche dimmer a bagno d’olio ed il mixer, cioè la parte in qualche modo “impugnata” dall’operatore per effettuare la regolazione, era un bastone con spire resistive avvolte che veniva più o meno immerso nel liquido conduttore. Anche le giostre funzionavano così.

Io stesso ho operato manubri – anzi volantini – che comandavano dimmer a bagno d’olio, ed il mixer era quello. Il datore luci, quello vero, osservava il palcoscenico da un pertugio o finestrella e chiamava il cambio della scena, scandendo il tempo. Uscivi con una scena ed entravi con un’altra. Troppo veloce il fade out, troppo lento il fade in... scoppola o bartarotto1. Stok! Il manubriatore, talvolta operatore di bassa lega quale il sottoscritto, prendeva le scoppole anche quando i livelli risultavano mal preparati (poco importa che li predisponesse il datore luci stesso tra un cambio e l’altro). Ti toccava, e c’era da esserne orgogliosi. Oh, parlo di teatro dell’opera.

Peraltro l’ho potuto fare solo una volta o due, durante le prove, e solo perché il manubriatore capo aveva l’influenza. Una volta, quando il mondo era meno rigido, i grandi permettevano ai giovani rompipalle come me di frequentare la loro bottega. Va da sé che non vedere le luci che stai facendo non è il massimo.

La separazione fra dimmer e mixer avvenne con l’arrivo dei tiristori che potevano essere comandati da lontano. Anche i variac motorizzati potevano essere remotati ma insomma... direi che il punto di separazione è stato l’arrivo dei semiconduttori.

Va be’.

Stamattina vedo entrare in ditta un simpatico imprenditore, il titolare della Excel di Modena, accompagnato da Van Den Hul. Quello dei cavi e delle testine avvolte a mano.

Il Gran Vecchio ha espresso entusiasmo per un mixer audio digitale molto colorato che abbiamo nella nostra demo room. È stato un vero piacere ascoltare il riassunto di anni di storia dell’audio, fatto con poche parole e lucidità impressionante, riferito all’argomento mixer. Siamo andati a pranzo al Mulino. Van Den Hul è il secondo personaggio che si è messo a calcolare la quantità di acqua che precipita dalla cascatella. L’altro è stato Fons Adriaensen. Fons, quando era all’Alcatel in Belgio ai confini con l’Olanda, si è occupato professionalmente di radar e spazio. Van den Hul, se non ho capito male, è un astronomo. Fons è arrivato in Italia per occuparsi di ricerca scientifica legata all’acustica. Recentemente, tra le altre cose, pilota sott’acqua un prototipo di sonar2. Van Den Hul, fine conversatore oltre che uomo di ingegno, mi ha chiesto se sapevo da dove arriva l’acqua che c’è sulla terra. A tavola ho servito un Amarone della Valpolicella. L’acqua è un elemento fondamentale ma anche il vino ha i suoi perché.

Rimanendo in tema alcolico, la cosa che oggi mi ha mandato in brodo di giuggiole è stata un regalo di Angelo Caselli, fonico, uno dei padri del mestiere (è stato in tour con tutti, Liga compreso) che mi ha inviato una bottiglia di mirto. Giuro, sono andato in giro per la ditta felice come un bimbo facendo annusare il profumo, meglio di Dior e Chanel. Non ci può essere mirto migliore di quello del tuo amico. Da Modena, Angelo si trasferì a Cagliari dove lavora da alcuni anni al teatro dell’Opera. C’è anche il mare.

Dopo aver scritto le righe di cui sopra, gli telefono e scopro che è in tour con Ligabue, come direttore di palco. “Sai, avevo un po’ di ferie arretrate dal teatro, con Ligabue siamo rimasti amici…”

Se fossi andato sul posto senza sapere nulla e lo avessi incontrato non mi sarei stupito più di un tanto. Il nostro è un settore dove gli amici per fare festa lavorano.

Due giorni prima di questa chiacchierata il Fantin, che da noi delle luci è vate indiscusso, si recò nottetempo con il fresco alle prove del Liga allo stadio Meazza3 per inserire personality e focus sul mixer luci, lighting designer Billy Bigliardi, e respirare la sana aria del tour. Io rimasi in ditta a Parma a lavorare, mentre loro si divertivano. Il mondo è piccolo.

I primi mixer pilotavano i dimmer con un segnale in tensione, tipico lo 0‑10 V (alcuni costruttori adottarono invece un pilotaggio in corrente). Ad ogni dimmer, sul mixer corrispondeva un potenziometro. Anzi due: due scene, la A e la B, venivano infatti miscelate in crossfade manuale. Vennero poi, come è ovvio, realizzati i primi crossfade temporizzabili.

Successivamente, sul mixer, gruppi di dimmer poterono essere attribuiti ad un potenziometro solo e gruppi di potenziometri ad un altro potenziometro che diventava così il loro master (o submaster). Tutto analogico, si impiegavano diodi montati su pin dorati che si inserivano in una matrice tipo battaglia navale. il codice binario esplose assai dopo la bomba atomica. È roba dell’altro ieri.

Il mixer che avevamo con i New Trolls, fine ‘70, lighting designer tal Pepi Morgia, era sostanzialmente uno scatolone di interruttori con l’aggiunta di qualche canale dimmerabile all’interno dello stesso scatolone. Ronzosissimo. Da lì partivano i cavi di potenza che andavano al palco, direttamente alle lampade. Giudicate voi. Non che non si potesse già allora fare di meglio ma quello era lo stato dell’arte in Italia, più o meno. I New Trolls se la giocavano con i Pooh, quanto a maestosità di spettacolo. Billy Bigliardi fu allievo del Maestro dei Maestri, Renato Neri, che con i Pooh (e non solo) ci stupiva ogni volta. La prima volta che vidi Billy all’opera fu proprio come operatore con i Pooh, con una spettacolare realizzazione di Renato dove veniva impiegato un laser per disegnare stelle su piani di tulle trasparenti. Ricordo l’effetto ancora oggi.

Passo in avanti decisivo, il valore resistivo dei potenziometri incominciò ad essere letto elettronicamente e memorizzato come “scena”. Apparvero i primi display alfanumerici a LED, entrò di prepotenza il computer che iniziò ad essere portatile, con gli schermi a fosfori verdi.

Per inquadrare il periodo gioco una carta che mi piace molto: quella di Faggin.

Il microprocessore lo ha inventato Faggin tra il ‘70 ed il ’71, alla Intel. Faggin è Italiano. Aveva lavorato alla Olivetti ed alla SGS Fairchild di Agrate Brianza (oggi STMicroelectronics). Faggin inventò parecchie cose senza le quali il mondo di oggi non sarebbe lo stesso. Un moderno Leonardo da Vinci dell’elettronica ma con un impatto sul mondo incommensurabilmente maggiore. Per rendersi conto dei tempi, il Commodore 64 arrivò sul mercato nel 1982 e poco dopo apparve, con l’Intel 8086, il primo personal computer della Olivetti (azienda che in informatica, a quei tempi, non era seconda a nessuno).

Nel 1984 i Genesis si presentano alla Plaza de Toros di Valencia con i Vari*Lite, e lì è cambiato il mondo. Ci ha messo parecchio, anche perché i Vari*Lite allora non si potevano comprare ma solo noleggiare. I Vari*Lite ed il loro mixer impiegavano un proprio protocollo bidirezionale, grazie al quale il mixer riceveva di ritorno dal faro informazioni sullo stato dello stesso. Con una interrogazione del tipo:

Mixer al faro: “sei dove devi essere o da un’altra parte?”

Faro al mixer: “Sono leggermente fuori, mandami una correzione.”

Mixer al faro: grappa o rhum?

Apparvero finalmente i primi fari mobili liberamente acquistabili, nella stragrande maggioranza pilotati in DMX che era diventato lo standard. Di fari e della loro storia ne parleremo un’altra volta e non lo farò da solo.

Da 0‑10 V si passò al DMX. Il protocollo DMX ufficializzò i primi vagiti nel 1986, grazie ad una associazione Americana, la USITT, transitando su una sorta di RS 232 bilanciata (cioè una RS 485). Fu oggetto di una importante e fondamentale revisione nel ‘90 e, da lì in poi, il protocollo fu universalmente adottato o quasi.

Invece di perdere tensione lungo i cavi, si cominciò a mandare in giro una stringa seriale. A proposito: ricordati di terminare le linee con le apposite resistenze, altrimenti il segnale digitale si riflette e fa casino. Noi consegnammo i primi mixer con uscita DMX a inizio ‘92, se non vado errato.

Il DMX si trasmette su un cavetto dati4 e sostituì bracciate di ciabatte multi-filari con connettori Socapex a 36 contatti. In audio, invece, ancor oggi prevalgono le onerose e ponderose ciabatte multi-coppia, analogiche, anche se il mixer è digitale.

I mixer, per pilotare i motori dei fari mobili, dovettero impiegare un metodo diverso per gestire le memorie riguardanti i cambi di scena.

Se il dimmer collegato al canale 12 del mixer è attivo sia nella nuova che nella vecchia memoria, nella nuova memoria il valore più alto sostituirà il precedente. Se il valore del canale 12 nella vecchia scena è più alto, non ci saranno cambiamenti. Nel DMX questa logica si chiama HTP: Highest Take Precedence.

Per i motori, invece, fu adottata la funzione LTP: Latest Take Precedence. L’ultimo valore “mosso” dall’operatore prende la precedenza. Immaginate cosa succederebbe durante il “fade in” di una scena se i motori di pan e tilt fossero pilotati in HTP…

Quando fai il patch e dici al tuo mixer cosa dovrà pilotare, scegliendo marca modello e versione del tuo faro, automaticamente verranno assegnate alle varie funzioni del faro le appropriate caratteristiche di playback. Ai motori pan e tilt certamente verranno assegnati canali DMX che in playback risponderanno in modo LTP.

I dimmer, siano essi veri dimmer per lampade ad incandescenza o dimmer meccanici per lampade a scarica, riceveranno nel patch canali DMX con comportamento HTP (anche se nei fari a scarica non c’è dubbio che il dimmer meccanico sia pilotato da motori).

Non c’è che dire: le luci mobili, veri e propri robot, richiedono un modo di pensare completamente diverso dai normali illuminatori. Il loro controllo è difficile e complesso. I mixer luci sono diventate macchine complicate. Molto più complicate da usare dei mixer audio digitali.

Ad esempio, quando non ritrovi quello che hai “registrato” è perché NON lo hai registrato. Non tutto quello che vedi acceso in scena necessariamente è disponibile nel buffer a cui si accede per registrare la scena. Si può inglobare nel buffer tutto quello che vedi in scena ma in tutti i banchi moderni è una funzione che devi scientemente invocare. What you see non necessariamente è what you get.

Talvolta si può essere ciechi come quando si operavano i volantini senza vedere la scena, pur vedendola.

Insomma, un delirio.

note a piede di pagina:

1: In uso anche il sarucco, decisamente più crudele. Fare le luci senza vederle, ne converrete, è una tortura.

2: Il sonar in questione non è un progetto di Fons, ma egli è un ottimo subacqueo.

3: Meglio conosciuto come “San Siro”, che invece è il nome della zona, non dello stadio.

4: Su cavo dati, non su cavo microfonico.