Sherif El Barbari

Questo nome, evidentemente poco europeo, continua a comparire quando si parla di operatori audio sulla “A-List” europea...

di Douglas Cole

Questo nome, evidentemente poco europeo, continua a comparire quando si parla di operatori audio sulla “A-List” europea. Abbiamo avuto il piacere di incontrarlo qualche mese fa ed abbiamo provato a fargli sparare qualche nome di uno dei big con cui ha lavorato; ma il modesto e compassato Sherif non ne ha fatti tanti. Così abbiamo fatto una piccola ricerca: il suo nome compare nel ruolo di fonico di sala, fonico di palco, systems engineer o sound designer, nei rider dei Bee Gees, Genesis, Phil Collins, Prince, Tina Turner, Joe Cocker, Chris de Burgh, Supertramp, Bryan Adams, David Bowie, Red Hot Chilli Peppers e Lenny Kravitz. Ha anche progettato sistemi per eventi delle più grandi dimensioni negli stadi di tutta Europa: letteralmente per Papi e Principi.

Come hai iniziato nel mondo dell’audio?

Come succede molto spesso in questo campo, la storia iniziò con la musica. Quando ero molto giovane, al Cairo, ero un rockettaro convinto. Era la mia passione: suonavo la batteria in giro con un gruppo di ragazzi che facevano del rock duro. Quando ebbi l’opportunità di studiare in Germania, invece, diedi seguito ad un’altra passione (che forse mi sembrava più seria): il mio obbiettivo era di diventare architetto.

C’erano però, purtroppo, pochi posti disponibili per gli studenti stranieri nella facoltà di architettura, e tante richieste da parte di studenti con voti più alti dei miei. Non potei quindi iniziare a studiare l’architettura, per lo meno non immediatamente, così fui obbligato a scegliere un secondo percorso accademico. Scelsi l’ingegneria civile, convinto che fosse molto simile all’architettura, solo per scoprire con mio enorme disappunto che è una disciplina totalmente diversa. Continuai a studiare comunque, ovviamente, ma meno convinto del percorso che stavo seguendo.

Anche dopo il mio arrivo in Germania rimasi sempre legato alla mia prima passione, la batteria, ma scoprii nuovamente che c’erano tanti altri musicisti molto più bravi di me, con questa stessa passione. Mentre suonavo in Egitto avevo anche curato il PA del gruppo, e mi piaceva tanto. Questa piccola esperienza si rilevò provvidenziale perché, quando cercai un lavoro per far quadrare i conti personali durante i miei studi, mi capitò la possibilità di trovare lavoro con un promoter locale. Questo mi diede la possibilità di rimanere collegato al mondo della musica.

E la svolta, da lavoro per pagare la scuola a carriera, come avvenne?

Fu un processo graduale, non una “svolta”, anche se un preciso colpo di fortuna diede inizio alla carriera vera e propria. Nel 1982 fui assunto come tecnico del suono dal service Westfalen Sound. Questo mi permise di lavorare sempre di più. Studiavo ancora, ma ero sempre meno soddisfatto di quello che studiavo e sempre più entusiasta di questo lavoro: mi dava la possibilità di esprimere una passione, mi pagava e mi appagava. Lavoravo sempre di più e rimanevo sempre più coinvolto in queste esperienze. Essendo piuttosto insoddisfatto dall’ingegneria civile, a quel punto decisi di lasciare gli studi d’ingegneria e proseguire con la carriera nel mondo dell’audio.

Devi quindi molto all’esperienza con la Westfalen?

Moltissimo, sì. Sono “cresciuto” proprio in Westfallen. Era, all’epoca, ed è anche adesso, secondo me, uno dei service più all’avanguardia ed innovativi. Hanno sempre accolto le nuove tecnologie, e lavorando come fonico per loro mi era concesso di accedere agli impianti ed alle apparecchiature più avanzate. L’opportunità di crescita professionale come fonico e tecnico in un ambiente di questo tipo è enorme, e lo è stato anche per me.

Hai studiato formalmente acustica o elettro-acustica, in questo periodo di transizione o dopo?

Beh, all’epoca non esisteva proprio un programma di studio formale per questo tipo di mestiere. Se ci fosse stato, probabilmente l’avrei seguito. Però ero e sono molto interessato alla fisica e all’acustica e, quando ho lasciato l’università per lavorare full-time, ho cominciato a studiarle da solo, e con molto più fervore di quanto ne avrei potuto esprimere per gli studi formali. Imparavo in modo pratico mentre lavoravo, e cercavo sempre modi di applicare quello che studiavo.

E, nel frattempo, ti sei fatto una reputazione come fonico e come tecnico di eccellenza...

Penso che la reputazione ti capita, non la fai. Lavorando con Westfallen, mi capitarono le opportunità di lavorare per tanti, tanti clienti ed artisti di fama nazionale (in Germania) ed internazionale. Quando fai un lavoro per un artista, e si ricordano del risultato, succede che la prossima volta che la produzione fa un lavoro e fa la specifica richiesta di voler lavorare di nuovo con te, la reputazione cresce da sola. Negli anni ho avuto la fortuna di veder succedere proprio questo.

A cosa attribuisci la tua crescita professionale e la richiesta dei tuoi servizi?

A parte la fortuna? Beh, non penso sia perché è molto facile lavorare con me. Anzi, mi considero una persona difficile. Qualsiasi ruolo io mi trovi ad occupare, cerco sempre il prossimo passo verso la perfezione, e cerco sempre di fornire risultati superiori rispetto a quelli a cui i clienti erano abituati in precedenza. Sono un perfezionista, e continuo a spremere tutto finché non si arriva alla miglior soluzione possibile in qualsiasi caso. Forse la mia idea della soluzione migliore è spesso allineata con quella del cliente. Probabilmente perché faccio un lavoro che amo e cerco sempre di raggiungere nuovi traguardi, a volte anche sbagliando, ma sono un tipo cocciuto.

E delle tue competenze specifiche, professionalmente quali sono state le più importanti?

Ovviamente ebbi, di nuovo, la fortuna di conoscere Christian (Heil n.d.r) della L‑Acoustics, nel 1994, con cui negli anni si è formato un ottimo rapporto. Fui tra i primi tecnici ad accumulare una notevole esperienza con la progettazione e l’applicazione di sistemi V‑DOSC, e gli riportavo le mie esperienze con il sistema. Proprio per questo rapporto, fui incaricato come system engineer per la maggior parte dei primi tour importanti che utilizzarono impianti line‑array: Oasis, Ricky Martin, Deep Purple, Rod Stewart ed altri. Da allora sono stato più o meno sempre richiesto per tour o eventi di grandi dimensioni che coinvolgono il V‑DOSC. Professionalmente questa competenza è stata molto importante. Continuo però a lavorare molto anche dietro la regia.

 

Qual è stato il passo successivo, quando hai deciso di diventare free-lance?

In quel periodo, circa 10 anni fa, iniziò un’altra sorta di transizione ed cominciai ad operare indipendentemente dalla singola rental company. Ero maturato professionalmente lavorando con Westfalen Sound, ma sentivo sempre che, per fornire risultati più vicini alle esigenze del cliente, era necessario che non ci fossero degli intermediari tra me ed il cliente finale. Volevo, insomma, lavorare direttamente per l’artista e non essere legato ad un service, il quale aveva, giustamente, i suoi interessi da curare. Questo cambiamento fu probabilmente il più difficile della mia carriera.

Perché?

Beh, perché per circa 15 anni non avevo mai dovuto praticamente preoccuparmi del mio prossimo lavoro... Westfallen lo trovava per me, ma lavorare come indipendente significava imparare a trovarmi i lavori e i clienti da solo. Vi posso assicurare che il telefono non squilla in continuazione.

Lavoro indipendentemente già da sette anni, e solo adesso mi sento di aver completato questo passo, anche se rimango sempre aperto a nuovi impegni, perché credo fortemente che ci sia qualcosa da imparare in ogni lavoro e da ogni persona.

Anche il rapporto con L‑Acoustics si è ufficializzato adesso?

Sì, da un anno sto facendo training e supporto per i clienti su alcuni prodotti, oltre alle consulenze con il reparto Ricerca e Sviluppo. Ho fatto questo tipo di cosa saltuariamente negli ultimi dieci anni, ma solo da un anno è diventato un impegno fisso. È una sfida, veramente, ma molto divertente.

Però non ti occupi solo di training...

C’è qualche artista di livello nazionale, in Germania, con cui lavoro più o meno costantemente. Sono il fonico di sala di Howard Carpendale, con cui ho un rapporto che dura da più di vent’anni; ho mixato anche le No Angels, gruppo vincitore del concorso televisivo Popstars nel 2000 che ha avuto un successo spropositato; ho mixato per tanti anni anche Udo Jürgens, uno degli artisti pop di primo livello in Germania, Austria e Svizzera; ho lavorato nelle tournée mondiali di Nana Mouskouri per tanti anni. Non così di recente, ho lavorato molto anche con la musica classica... Ho mixato i concerti in tutto il mondo di Montserrat Caballé, per gli eventi grossi all’aperto. Questi sono i lavori come fonico che sono stati abbastanza costanti.

E come sound designer?

Negli ultimi otto anni, il mio cliente più importante per cui sono responsabile per la progettazione del sistema, e dove rispondo per i risultati, è la produzione di Robbie Williams. Lavoro molto a contatto con l’ingegnere ed il suo assistente, e la produzione ritiene il risultato audio una massima priorità. Questi sono i miei clienti principali con rapporti costanti negli ultimi anni.

Cosa bolle in pentola adesso?

Adesso vado in tour come fonico, con Howard Carpendale di nuovo, poi durante l’estate vado in tour mondiale con i Radiohead.

Ci puoi raccontare il tuo momento migliore e quello peggiore?

Ahh... non posso raccontarvi i peggiori! Guarda caso non mi viene in mente neanche un momento pessimo. Mi rimane fisso in testa, però, il momento più bello: sin dai miei primi giorni come musicista, sono stato un enorme fan dei Deep Purple. È stato per me un onore personale poter poi lavorare per loro per diversi anni. Il momento più commovente per me in questo lavoro sono state le due notti con Deep Purple e London Symphony Orchestra alla Royal Albert Hall nel ’99: io mixavo l’orchestra e Moray Macmillan mixava il gruppo. Fu un momento di enorme soddisfazione per me non solo per aver fatto parte di quell’evento, ma anche per i risultati raggiunti.