AI, the stage is yours!
Prendiamo in prestito il titolo, molto calzante, che ha dato il via al ciclo di incontri sull’intelligenza artificiale a Prolight+Sound

di Mirco Bezzi
L’intelligenza artificiale ha aperto una nuova era. Forse in futuro una presenza virtuale si prenderà tutto il palco, ma anche adesso è tutta intorno a noi: un fenomeno esploso di recente, ma che in questo momento investe già moltissimi ambiti di applicazione.
Come in ogni fiera degli ultimi mesi, quasi tutti gli stand propongono soluzioni o prodotti che contengono qualche elemento di AI, o parti progettate con l’aiuto dell’AI, o manuali scritti con l’aiuto di un ChatGPT – il fatto che quest’ultimo abbia una versione gratuita nulla toglie al fatto che di tratti comunque di uno strumento con parecchie possibilità.
Se prendiamo in esame ambiti come il marketing e la promozione, l’intelligenza artificiale è già applicata in dosi massicce: negli algoritmi dei social network o dei servizi online già condiziona i nostri interessi culturali, musicali o legati all’intrattenimento.
Nel customer service sta prendendo piede velocemente, perché è facile ed economico far rispondere un agente artificiale, laddove prima c’erano migliaia di persone strette in un call center; siamo passati alle email, ai chatbot e anche alle voci sintetiche. La cosa in comune è che le informazioni sono recuperate, scritte e anche eventualmente lette dall’intelligenza artificiale, e il mestiere degli umani è diventato quello di preparare contenuti affidabili per addestrare l’AI.
Perché diventi uno strumento affidabile – tanto quanto un manuale d’uso – bisogna tenere sott’occhio molto da vicino le sue risposte e correggere le “allucinazioni” che a volte giocano degli scherzi insidiosi.
Alcuni casi eclatanti sono finiti sui giornali: l’avvocato americano ha fatto una figura decisamente barbina, quando ha presentato in aula un report su cause legali che non erano mai esistite; oppure quel termine scientifico che, una volta creatosi per un banale difetto di lettura di una scansione di un vecchio articolo scientifico con OCR, è stato rilanciato di report in report senza sosta, ogni volta che un LLM è stato utilizzato per generare un articolo su una certa materia – per chi si vuole divertire, il termine è “vegetative electron microscopy”.
La cura degli svarioni dell’AI è il compito più pressante del momento: meno persone all’opera, quindi, ma più qualificate. È uno di quei trend che non sembra mai diventare vecchio nella storia degli umani, ma che ora accelera vertiginosamente. Il problema non riguarda tanto l’AI generativa che finisce sui giornali per la creazione di musica, video, testi che rubano spazio agli autori – e per la quale l’hype viene già un po’ mitigato dalle interpretazioni e protezioni offerte dall’AI Act o dal Copyright Office americano – quanto l’AI pervasiva e distribuita nelle macchine che utilizziamo.
Un capitolo che raccomando assolutamente di seguire è quello che riguarda la sicurezza informatica pervasiva, nello specifico le evoluzioni previste dalla norma europea Cyber Resilience Act: un pezzo importante della strategia europea per mettere al sicuro le supply chain, le filiere di produzione, attraverso tutti i loro componenti.
Chi ha nozioni di sicurezza informatica sa molto bene che l’AI viene utilizzata sia per costruire difese sia per muovere attacchi ostili: il mondo è pieno di mariuoli e burloni, e siamo tutti interconnessi, dalle reti alle radiofrequenze piene di intrusioni e interferenze. La novità offerta dal CRA è che bisognerà fare attenzione a tutte le periferiche che impiegano “qualcosa di digitale” – ovviamente si fa prima a contare chi non la impiega – perché dal 2028 per tutti (tutti) i prodotti messi sul mercato europeo sarà obbligatorio rispettare i requisiti della legge.
CRA prevede l’applicazione di concetti come la “security by design”, la protezione e l’efficacia dei processi di aggiornamento del firmware, la coscienza dei rischi dovuti alla cybersicurezza a tutti i livelli di disegno, produzione, manutenzione e uso dei prodotti.
Chi lavora online sa che deve proteggersi e prestare attenzione ai meccanismi che possono causare una intrusione malevola, come virus, truffe, password troppo leggere o condivise, ma ci sono nei nostri apparati molte porte non protette e un gran numero di operatori che non sono abituati agli attacchi informatici. Avere una rete locale protetta non è di per sé una garanzia di protezione, a volte basta un piccolo ponte come un clic disattento su una email.
Molti produttori hanno avviato istituti e protocolli per certificare il proprio operato: non esisterà una sola ricetta, sarà necessaria un’attenzione continua e distribuita su tutti i livelli e in tutte le variegate dimensioni delle nostre installazioni, dai piccoli club e teatri ai grandi eventi. Il fatto che appaiano in ogni dove algoritmi dei quali non conosciamo del tutto i meccanismi, ma che sono necessari al lavoro di uno spettacolo, significa che ogni persona, tecnico o utilizzatore di un prodotto digitale avrà una sua responsabilità nel garantire che lo show non vada a gambe all’aria per un’intrusione che si poteva evitare.
Penso che, ancora una volta, il concetto che ci deve guidare sia la preparazione personale: la competenza di ciascuno si dovrà allargare anche a questi campi, con un training adeguato delle persone, che sono il primo livello di sicurezza. Come al solito, ogni giorno sarà un giorno di scuola, con conseguenze rischiose per chi non avrà imparato abbastanza in fretta le nuove lezioni.




