Disc to Disc Productions - L’intervista ad Antonio D’Ambrosio
Scopriamo lo studio milanese specializzato nell’audio immersivo tramite la tecnologia Dolby Atmos.
di Alfio Morelli
Abbiamo iniziato ad approfondire l’audio immersivo con la recensione del tour del musical Cats. Oggi invece siamo in giro per Milano alla ricerca dello studio Disc to Disc, perché vogliamo cercare di raccontarvi l’evoluzione di questa nuova tendenza dell’audio.
È una tecnologia che si adatta facilmente a tutti i dispositivi: dalle cuffie, ai tablet, al cinema, alle soundbar, ai grandi impianti multicanale. È un protocollo che può essere letto da tutti: in stereo, in ambisonico, in binaurale o in surround. Sfruttando la tecnologia Dolby Atmos, è possibile rendere più immersivi e godibili molti dei contenuti AV pubblicitari (su piattaforme come YouTube, TikTok, radio o TV), analogamente a quanto fatto nelle serie tv e nei filmati pubblicitari.
E parlando di suono immersivo non può mancare un appuntamento con Antonio D’Ambrosio, CEO di Disc to Disc e tra i primi a credere davvero nella tecnologia Dolby Atmos per la registrazione.
Antonio ci dà appuntamento nel suo studio, in Via Maroncelli a Milano, vicino al cuore “tecnologico” della città. Facciamo subito un piccolo giro di ricognizione della struttura, prima di accomodarci nello studio principale per fare quattro chiacchiere e scoprire la sua storia.
Antonio, ti vuoi presentare?
Siamo una casa di produzione e post-produzione audio, che da una ventina d’anni si occupa prevalentemente di film pubblicitari, radio comunicati, doppiaggi, restauri sonori e localizzazioni per i videogame. Ultimamente anche di musica, grazie al mio background da musicista e l’esperienza fatta negli studi degli Stati Uniti e di Londra.
Come mai sei tornato?
Sono tornato in Italia perché all’estero, negli studi dove lavoravo, avevo sempre più a che fare con le produzioni italiane che venivano a finalizzare i loro lavori. Nell’ultimo periodo in cui lavoravo là, ero diventato il referente delle produzioni italiane, visto che conoscevo la lingua, e alla fine era più il tempo che passavo in Italia per curare i clienti di quello in cui lavoravo in studio. Così mi è venuta la voglia di fermarmi in Italia, mantenendo comunque tutti i miei contatti lavorativi precedenti. Una ventina di anni fa ho conosciuto Angelina Gobbi, ai tempi direttrice del doppiaggio di una grossa azienda di Roma. E così, io musicista e lei doppiatrice, ci siamo detti: “Perché non facciamo qualcosa di nostro?” E così è nata la nostra avventura a Milano.
Perché poi la conversione Dolby Atmos?
Sono curioso di natura e molto attento alle nuove tecnologie. Oltre vent’anni fa fu prodotto “The Brave”, il primo film Disney in Dolby Atmos. Da allora molti seguirono questa tecnologia per le produzioni AV. Poi intorno al 2015 Apple lanciò la piattaforma Apple Music, che poteva vantare una qualità superiore e un suono spaziale utilizzando la codifica Dolby Atmos. Per me fu la svolta, e mi convinsi che quella era la strada. Da lì a poco molti supporti audio, dalla musica alla pubblicità, ai videogiochi e naturalmente ai film, iniziarono a usare questo protocollo, e così cominciò la mia trasformazione.
Perché ora hai abbracciato il mercato della musica?
Perché la musica è il mio primo amore. E perché ho sempre lavorato nella postproduzione musicale, e anche perché Apple ti pone dei limiti, se non hai la codifica Dolby Atmos. E ancora, perché le Major della discografia hanno a che fare sempre di più con la pubblicità e con il mercato cinematografico. E infine, perché sto costruendo altri due studi nuovi, che saranno pronti entro l’anno. Possono bastare come motivazioni?
Direi proprio di sì. Quindi sostieni che prossimamente tutta la musica sarà registrata con questa codifica?
Penso proprio di sì, ma non penso solo la musica: tutto quello che avrà un supporto audio sicuramente dovrà avere un audio immersivo. La prima a farlo è stata Apple, che è la prima produttrice di elettronica di intrattenimento, e poi tutti gli altri: tra computer fissi e portatili, iPhone, iPad, Apple Watch, piattaforme di musica come Qobuz, Amazon Music e Amazon Prime, Walt Disney, è facile immaginare che tutto il mercato andrà in quella direzione.
Pensi che tutta la musica dovrà essere ricodificata con Dolby Atmos?
Di sicuro la musica che viene prodotta adesso deve avere una versione con questa codifica, se vuole andare sulle piattaforme che abbiamo citato. Poi sicuramente le Major prenderanno in mano anche i vecchi cataloghi. Sicuramente è possibile rivedere tutta la musica della quale si possiede un multi-traccia, mentre la vedo più complicata per i master su un supporto stereo. Bisognerà usare dei software particolari per estrapolare i vari strumenti e ricreare dei multi-traccia, e anche così rimarrà comunque un prodotto ibrido. Certo, con l’intelligenza artificiale magari fra qualche anno sarà molto più semplice.
Secondo te potrà avere uno sviluppo nel mercato del Live?
Assolutamente no: un concerto live ha già di per sé un suono immersivo, dato che sei già in mezzo alla scena, hai il tuo idolo sul palco e tutta la folla intorno; non serve nessuna ulteriore codifica. Invece, penso che succederà qualcosa nel mercato delle discoteche: già è stato montato il primo impianto Dolby Atmos alla discoteca Ministry of Sound di Londra, e sembra che sia un esperimento molto ben riuscito, che potrà avere un seguito.
Ora raccontaci un po’ del tuo studio.
Siamo organizzati con due sale, una di mixaggio e una di ripresa. Di base lavoriamo con i due sofware più popolari, Nuendo e Pro Tools, ma possiamo lavorare anche con altri. Tutto lo studio è cablato in Dante e lavoriamo per il 99% nel dominio digitale. Abbiamo un banco Yamaha Nuage e un sistema di monitoraggio JBL certificato Dolby Atmos.
Perché la scelta JBL?
Perché io vengo dalla scuola americana e in America si usa prevalentemente JBL sia negli studi sia nei cinema. Il mondo Genelec è diffuso solo in Europa. Con questo non voglio dire che un marchio sia meglio dell’altro, come esistono altri cento marchi che si trovano negli gli studi in giro per il mondo. Uno si abitua a una timbrica, a una sonorità, e così va avanti con quella.
Stessa cosa per il banco?
Esatto, anche se in questo caso è l’esatto opposto della motivazione delle casse. In America il banco Yamaha non è praticamente utilizzato: lo standard industriale è prevalentemente Avid S4 o S6; Yamaha è invece molto usato negli studi europei, in particolar modo in Germania e in Francia. Come vedi sono un bastian contrario! Comunque, nella nuove sale anche noi useremo AVID, così saremo completi sia come hardware sia come sofware.
Come concludiamo questa chiacchierata?
Ci terrei a sottolineare l’importanza della calibrazione della sala. È molto meglio avere una sala accordata e certificata, che avere l’ultimo prodotto o il modello più costoso del marchio di moda in quel momento. Dolby ci obbliga a calibrare la sala ogni cinque o sei mesi, e per farlo dobbiamo chiamare un tecnico certificato che arriva con i suoi microfoni e la sua apparecchiatura. Lui fa le sue verifiche e, se rientriamo nelle specifiche, ci dà la certificazione. Puoi trovare sul sito di Dolby un elenco di studi certificati Atmos, e ti assicuro che non sono molti.