Carlo Carbone

Un architetto per la musica...

di Alfio Morelli

Spesso succede di incontrare questo simpatico personaggio con l’accento toscano che si aggira all’interno dei backstage armato di strani congegni. Si tratta dell’architetto Carlo Carbone che, in qualità di responsabile della produzione dell’evento, controlla che tutto si svolga all’interno delle regole.

In uno dei tanti concerti, lo abbiamo distolto per qualche minuto dalle sue mansioni per farci raccontare la sua esperienza ed il suo lavoro all’interno del mondo dello show business.

Come mai invece di essere in studio a progettare ville o palazzi sei attorno ad un palco a misurare i dB?

A dire il vero, il mio studio progetta anche ville e palazzi, però per quanto mi riguarda preferisco avere a che fare con i dB piuttosto che con i calcoli portanti di una trave.

Come sei entrato in questo ambiente?

Tutto è iniziato quando, durante la scuola di architettura, mi coinvolsero al progetto del Tenax, una famosa discoteca fiorentina; in quell’occasione conobbi un professionista, di nome Trucco, che parlava di materiali, di meccanismi e di tante altre cose che al momento non riuscivo a capire fino in fondo; ma l’argomento mi coinvolse tantissimo, tanto che cominciai ad interessarmi di acustica, una materia a cui, negli anni Ottanta, pochi prestavano attenzione. Era quindi difficilissimo trovare dei testi su cui studiare, men che meno qualcuno con cui confrontarsi e ovviamente... di lavori neanche parlarne. Nel frattempo, oltre a studiare, cominciai a sperimentare dei materiali. All’inizio all’interno di ambienti privati o pubblici, esclusivamente allo scopo di ottenere un miglioramento della vivibilità e del comfort. Tra una prova e l’altra, fra mille delusioni, cominciarono i primi successi. Finché arrivarono gli anni Novanta ed il Decreto del 1° marzo ‘91 che fissava dei livelli limite in esterno. Da quel momento si aprì un nuovo mercato per chi qualcosa aveva a che fare con l’acustica e per chi già aveva delle esperienze in materia, ed io mi ritrovai con un nuovo lavoro da sviluppare. Inizialmente il lavoro si svolgeva prevalentemente in fabbriche, laboratori, bar e locali pubblici; poi arrivarono anche le discoteche, molte delle quali inquinavano acusticamente al di fuori del loro perimetro. In seguito le limitazioni arrivarono anche all’interno dei locali, ed in questo decreto rientrarono anche gli spettacoli dal vivo, mondo che io avevo sempre seguito da vicino.

Sei forse un fonico mancato?

Assolutamente no. Stranamente sono un lighting designer mancato, perché da ragazzo avevo cominciato ad andare a bottega da Guido Baroni, un tecnico luci ai tempi molto quotato, e negli anni ’80 avevo cominciato a muovere i primi passi in questo ambiente, facendo tournée, spettacoli, e trasmissioni televisive, insomma tutto quello che c’era da fare, tra un esame l’altro.

Ma allora l’audio cosa c’entra?

Bazzicando quell’ambiente, il mondo dell’audio mi coinvolse sempre di più, perché risultava “una materia senza materia”, qualcosa di impalpabile, sfuggente. È vero che esistono delle regole di base certe, ma ogni volta queste regole vanno vestite con un abito nuovo fatto su misura. Se tu vedessi il nostro ufficio, vedresti che una parte di esso è organizzato come un cantiere, con una quantità e qualità di materiali impressionante; infatti continuamente effettuiamo delle prove e delle verifiche sui materiali, su come si comportano accoppiandoli nei modi più disparati. Inoltre in questi dieci anni di collaborazione con Assomusica ho avuto la possibilità di lavorare con questi nuovi impianti PA con cui ho potuto verificare ed adottare le tecnologie che avevo studiato e sperimentato in passato. Inoltre in quest’ambiente ho conosciuto alcuni personaggi di indubbio spessore tecnico con cui ho condiviso diverse esperienze, come, per esempio, Daniele Tramontani, persona splendida e molto preparata.

Com’è iniziata la collaborazione con Assomusica?

All’inizio degli anni Novanta a Firenze fu chiuso il teatro storico, il Teatro Verdi. Da anni una certa legislazione veniva variamente interpretata, e si era arrivati alla chiusura del Verdi. Massimo Gramigni, allora come oggi leader degli organizzatori sulla piazza di Firenze, mi chiamò per risolvere sia il problema tecnico sia quello di interfaccia, burocratico, con l’amministrazione, e dopo qualche tempo, ed alcuni lavori, riuscimmo ad avere di nuovo l’agibilità. Dopo quella felice esperienza, visto che nel frattempo Massimo era diventato presidente di Assomusica, mi coinvolse presentandomi anche a dei suoi colleghi che cominciavano ad avere alcuni problemi nell’organizzazione degli spettacoli.

Quindi il tuo ruolo precisamente qual è?

Io sono il tecnico che l’organizzatore dell’evento assume per gestire sia la documentazione tecnica che la parte burocratica, che a volte diventa più difficile della prima.

Oltre che di concerti, ti occupi anche di progetti di acustica?

Certamente. Il più recente riguarda lo studio acustico del Mandela Forum: i fonici che sono passati ultimamente mi hanno detto che è stato fatto un buon lavoro, quindi ne sono piuttosto soddisfatto. Inoltre ho lavorato al progetto dei nuovi studi di Radio DJ ed ai nuovi studi di MTV, sempre a Milano. Un’altra cosa di cui veramente mi sento orgoglioso è l’esperimento fatto con la tournée di Carmen Consoli: ad ogni data abbiamo realizzato un trattamento acustico su ciascun palazzetto. Questo è stato possibile grazie alla sensibilità dell’artista, preoccupata che il pubblico potesse apprezzare le sonorità e le sfumature della sua musica. Giancarlo Campora, direttore del service di riferimento, mi ha interpellato ed insieme abbiamo costruito dei pannelli acustici, poi posizionati in diversi modi all’interno delle location, secondo le varie esigenze. Per realizzare questo, io ho dovuto prima fare un “pre-tour”, rilevando in ogni palazzetto i tempi di riverbero e le varie caratteristiche. Successivamente, rielaborando i rilevamenti, ho prodotto su ogni sito lo studio acustico ed i disegni per posizionare i pannelli in modo da ottenere il miglior risultato. Sembra che anche in questo caso sia andato tutto molto bene.

Ma secondo te è un’idea che può essere replicata, ha senso economicamente?

Questa è una domanda che devi girare alla Limelite, loro hanno i numeri per darti questa risposta.

Adesso a quale progetto stai lavorando?

Sto lavorando ad un progetto di ristrutturazione dell’ex manicomio Paolo Pini. Qui occorre progettare uno spazio polivalente che comprenda anche un teatro con un palcoscenico di 360 m2. Per complicare le cose ho scelto di utilizzare solo materiale povero e di riciclo: una bella scommessa che mi stimola molto.

Qual è il tuo sogno nel cassetto?

Beh... io ho un cassetto molto grande, se lo apro non finiamo più l’intervista!

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