Il colore della luce - Quarta e ultima parte

TLCI e Du,v

di Michele Viola

Nei numeri scorsi abbiamo introdotto diversi metodi per caratterizzare qualitativamente la luce emessa da una sorgente artificiale idealmente bianca dal punto di vista della fedeltà di percezione, da parte dell’occhio umano, del colore degli oggetti illuminati da tale sorgente.

Gli indici trattati finora sono prettamente orientati alla percezione umana. Quando invece si tratta di illuminare una scena da riprendere con una telecamera, o anche semplicemente da un obiettivo fotografico, il discorso diventa significativamente differente. Questo soprattutto a causa della grande adattabilità dell’occhio umano a varie situazioni di illuminazione anche estreme, a differenza dell’obiettivo di una macchina da presa.

Seguendo una persona, ad esempio, dall’esterno illuminato dalla luce solare fino all’interno di un locale illuminato artificialmente, l’occhio umano non ha in genere troppe difficoltà nel riconoscere coerentemente il colore dei vestiti che indossa. Se la stessa scena venisse filmata con una telecamera, il risultato potrebbe essere decisamente diverso.

L’indice di resa cromatica CRI è certamente correlato anche alla fedeltà di riproduzione dei colori in una ripresa cinematografica, che peraltro richiede in genere valori dell’indice CRI decisamente elevati e una particolare attenzione soprattutto ad alcune tinte (come gli incarnati, ad esempio). I sensori di una camera fotografica o di una videocamera percepiscono l’illuminazione in maniera piuttosto differente dall’occhio umano, e alcuni passaggi nel calcolo dell’indice CRI presentano delle criticità spesso evidenti quando sono applicati all’ambito cinematografico. In particolare, le otto tinte utilizzate per la determinazione dell’indice CRI Ra sono piuttosto de-saturate, ovvero presentano uno spettro di riflettanza senza picchi evidenti, per cui non sono molto adatte a caratterizzare i limiti di una sorgente che presenti uno spettro sostanzialmente a righe con ampi gap vuoti. D’altra parte, alcuni tra i campioni particolarmente saturi utilizzati per la determinazione dell’indice esteso CRI Re sono invece al di fuori del range ammesso da molti sistemi tipicamente utilizzati nella trasmissione broadcast.

La recente progressiva introduzione di sorgenti luminose ad alta efficienza come i LED, insieme alla progressiva sempre maggiore riluttanza nell’utilizzo di sorgenti a bassa efficienza energetica – anche se di maggiore qualità dal punto di vista colorimetrico   – come le lampade ad incandescenza, ha obbligato a tenere maggiormente in considerazione un sistema di analisi della luce dedicato alla resa in ambito televisivo.

TLCI: Television Lighting Consistency Index

TLCI, acronimo in lingua inglese per l’Indice di Coerenza dell’Illuminazione Televisiva, è pensato per caratterizzare una sorgente luminosa nell’utilizzo per le riprese. Le camere di ripresa tentano in genere di simulare la risposta dell’occhio umano, ma lo fanno in maniera molto approssimativa; TLCI rappresenta un tentativo di quantificare tali imperfezioni rispetto ad un ampio range di apparecchi di ripresa, mediando i risultati ottenuti simulando vari tipi di sensori.

TLCI-2012 è stato compiutamente definito e approvato nel 2012 da European Broadcasting Union (EBU), che rende anche disponibile il software per il calcolo. Il procedimento per il calcolo dell’indice TLCI non è concettualmente troppo dissimile da quello utilizzato per il calcolo dell’indice di resa cromatica CRI: l’indice viene ricavato confrontando i colori di un insieme determinato di tinte campione illuminato da una sorgente di riferimento e dalla sorgente in esame; invece di utilizzare però un modello di osservatore umano, TLCI definisce una video camera ‘standard’. Le differenze in termini di resa del colore nelle due condizioni di esposizione, osservate su un monitor di riferimento, sono calcolate basandosi su principi esposti in alcuni scritti prodotti nel corso degli anni ‘70 e ‘80 del secolo scorso dal dipartimento R&D della BBC. EBU ha poi formalizzato l’algoritmo e le relative informazioni di supporto. 

La telecamera ‘standard’ nella prima versione del software era ottenuta dai dati disponibili in letteratura, e in particolare nei citati paper della BBC, in cui è tabulata una stima della curva di risposta delle camere disponibili all’epoca (dal 1970 al 1990). Nell’ultima versione EBU ha proposto e implementato una camera ‘standard’, sulla falsa riga dell’osservatore standard proposto negli anni ‘20 del secolo scorso da CIE, misurando la risposta dei tre canali (RGB) in uscita dai sensori CCD/CMOS di diverse camere HDTV professionali di diversi produttori. Posto che il modello di camera standard può variare, entro certi limiti, al variare della tecnologia disponibile, le misure effettuate dal Comitato Tecnico dell’EBU hanno evidenziato una buona coerenza tra i risultati delle misure su alcune tra le camere più comunemente utilizzate in ambito broadcast, e su una media di queste misure è stato elaborata la proposta del modello standard. È anche vero che le nuove tecnologie via via disponibili tendono ad adattarsi nelle applicazioni alle proprietà delle tecnologie precedenti, per evitare eventuali importanti incongruenze tra le nuove produzioni ed il materiale in archivio, per cui in effetti non si notano grandi differenze nella risposta delle varie camere costruite anche con tecnologie significativamente diverse, in un arco temporale di alcuni decenni (o almeno tali differenze sono tali da non rendere del tutto inconsistente il valore dell’indice).

Schema a blocchi dell’algoritmo per la valutazione dell’indice TLCI.

Il set di tinte campione, definito matematicamente, è virtualmente illuminato dalla sorgente di riferimento e dalla sorgente da valutare. Per valutare l’indice, così come per CRI e TM-30, occorre ovviamente avere i dati spettrali della sorgente, misurabili con uno spettrometro. La camera, anch’essa virtuale, produce tre segnali R, G e B, che vengono poi modificati da una matrice di correzione 3 x 3 convenzionale seguita da una correzione di gamma. Il display presenta una funzione di conversione (elettro-ottica) standard e una specifica definizione dei colori primari RGB in termini di coordinate nello spazio dei colori. L’uscita del display è analizzata al fine di valutare le differenze tra  la sorgente di riferimento e la sorgente in esame (da valutare) per ciascuna tinta campione, prima di produrre dall’insieme di queste differenze un singolo valore che è il valore dell’indice di valutazione. Il calcolo che fornisce il risultato finale è adattato così da fornire un valore intorno a 50 per un tipico tubo fluorescente a luce diurna; questo sembra voler essere un limite che separa le sorgenti utilizzabili per illuminare una scena destinata ad essere ripresa per la trasmissione televisiva dalle sorgenti praticamente non utilizzabili per tale scopo.

I segnali in uscita dalla camera virtuale sono disponibili per pilotare un display fisico, come il monitor di un computer o uno schermo televisivo; questo permette di valutare direttamente ad occhio la performance della sorgente in esame. Da notare che non sono considerate codifiche di trasmissione. L’algoritmo per il calcolo dell’indice TLCI non tiene conto neppure di eventuali specifiche o limiti prescritti dai diversi broadcaster per le proprie trasmissioni.

Le tinte campione sono estratte dalle 24 tinte standard chiamate Macbeth ColorChecker, o semplicemente ColorChecker, introdotte negli anni ‘70 da McCamy, Marcus e Davidson in un articolo pubblicato sul Journal of Applied Photographic Engineering. Sono pensate per approssimare meglio possibile i colori di oggetti naturali come la carnagione umana, foglie, fiori, cielo e altri colori rappresentativi.

Le 24 tinte del ColorChecker, utilizzate per la determinazione dell’indice TLCI (da Wikimedia).

I colori del Macbeth ColorChecker (estratto da Wikipedia).

Per il calcolo dell’indice TLCI-2012 sono utilizzate solo le prime 18 tinte, colorate, mentre non vengono considerati i campioni in scala di grigio.

Anche il test TLCI, come CRI e TM-30, caratterizza una sorgente luminosa tramite un singolo numero minore di 100. Valori vicini a 100, o comunque superiori a 90, promettono una buona resa anche senza correzioni, mentre valori inferiori potrebbero richiedere, in dipendenza dalla situazione e dalle esigenze, una correzione più o meno complessa in sede di ripresa o in post-produzione. Sorgenti con un valore TLCI particolarmente basso, ovviamente, potrebbero produrre riprese difficili se non impossibili da correggere.

Così come gli altri indici, si tratta di una caratterizzazione basata su un singolo numero, per cui è del tutto possibile trovare due sorgenti con lo stesso TLCI che portano a risultati diversi in sede di utilizzo, soprattutto in caso di sorgenti di tipo differente e di differenti produttori.

A grandi linee, il valore dell’indice può essere associato alla performance della sorgente secondo la scala di corrispondenza riportata nella figura 3

Du,v e le lampade colorate

Nei vari indici e metodi di valutazione delle sorgenti illuminanti che sono stati qui considerati finora, abbiamo sempre supposto che la luce emessa dalla sorgente sia idealmente bianca. Al variare della temperatura di colore, il colore della luce varia seguendo l’andamento del colore di un oggetto incandescente. Per le sorgenti calde, al di sotto dei 4000 k, la luce tende al giallo o anche all’arancio, mentre per le sorgenti fredde (luce diurna) la luce emessa contiene più componenti in alta frequenza e per le temperature più elevate può effettivamente tendere al blu.

Nello spazio dei colori CIE 1931, la linea che unisce i colori del corpo nero alle diverse temperature è chiamata curva di Planck (o meglio Planckian locus, in lingua inglese nei documenti CIE). 

Oltre alla variazione di colore dovuta alla variazione della temperatura di colore del corpo nero equivalente, il colore della luce emessa da una qualunque sorgente può effettivamente deviare verso il verde o verso il magenta, rispetto al corpo nero ideale alla stessa temperatura. Nella figura 5, insieme ad un dettaglio della curva di Planck nel diagramma u,v sono riportate le linee isoterme, perpendicolari alla curva di Planck, che rappresentano variazioni di colore a parità di temperatura colore nominale. CIE pone un limite alla distanza dalla curva di Planck perché il termine Temperatura di Colore abbia senso.

Il termine Duv è un’abbreviazione per Delta u,v (∆u,v), in cui Delta sta per variazione, ed è la distanza nel diagramma u,v del punto che rappresenta il colore di una particolare sorgente luminosa dal punto sulla curva di Planck alla stessa temperatura di colore. Il valore di Du,v (∆u,v) è considerato positivo se è al di sopra della curva (dalla parte del verde) e negativo se è sotto la curva (dalla parte del magenta). La distanza dalla curva è misurata in senso perpendicolare alla curva stessa (Du,v2 = Δu2 + Δv2). Una sorgente idealmente bianca, indipendentemente dalla temperatura di colore, dovrebbe esibire un Du,v pari a 0 (cioè il colore della luce emessa dovrebbe essere sul locus planckiano). in questo caso, quindi, Du,v è migliore quando è piccolo.

Dettaglio del diagramma CIE 1960 UCS. Le isoterme sono perpendicolari alla curva di Planck.

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