EQ on / EQ off – prima parte

Come, quando e perché...

di Livio Argentini 

Nei numeri passati avevamo parlato dei preamplificatori microfonici, poi delle connessioni; adesso faremo un passo avanti e parleremo del secondo stadio della catena di registrazione: gli equalizzatori.

Nel sottotitolo si può leggere “come, quando e perché”: per poter utilizzare nel modo appropriato un’apparecchiatura, è necessario conoscerla bene e gli equalizzatori non fanno assolutamente eccezione.

In questa prima puntata descriveremo la tecnologia dei vari tipi di equalizzatori, a partire da quelli primordiali fino a quelli più complessi; nella seconda parte descriveremo poi quelli di ultima generazione spiegando come sono fatti, quali sono i loro pregi e soprattutto i loro difetti, con una particolare attenzione sulle rotazioni di fase introdotte.

Sì, ho detto proprio “rotazioni di fase” perché questo è, forse, il parametro più importante e quasi sempre, più o meno volutamente, ignorato o quanto meno non preso in considerazione.

Nella terza puntata arriveremo finalmente al “come, quando e perché”.

È importante, prima di intraprendere il nostro viaggio attraverso gli EQ, acquisire un concetto basilare, perché più avanti nel nostro articolo ne troveremo molti richiami: tutti gli equalizzatori, e dico tutti, ruotano la fase, a prescindere dalla tecnologia con cui sono fatti. Tanto si equalizza e tanto si ruota la fase, per cui se vi offrono un eccezionale equalizzatore che vanta la correzione di fase è sicuramente, come si suol dire, una bella pataccata!

A questo punto il lettore si potrà chiedere: “Ma se tutti gli equalizzatori tanto equalizzano e tanto ruotano la fase, perché questa rotazione è tanto importante, visto che è uguale per tutti?”.

La domanda è più che legittima e la risposta è molto facile: se andiamo ad analizzare le curve dalla fase (logicamente non interpolate) nei minimi particolari, ci accorgiamo che non sono perfettamente uguali, specialmente nei filtri molto complessi e nei filtri multipli.

Quando vari musicisti eseguono lo stesso brano musicale, il motivo è sempre quello ma i piccoli particolari fanno sì che l’esecuzione sia più o meno buona e piacevole da ascoltare. Lo stesso avviene negli equalizzatori: la curva può essere anche molto simile, ma i piccoli particolari fanno la differenza.

Questi piccoli particolari, che normalmente non vengono nemmeno presi in considerazione, sono quelli che caratterizzano il suono dei differenti tipi di equalizzatori.

A questo punto è doveroso fare un piccolo break per spiegare due concetti: il primo prettamente tecnico, il secondo di carattere grafico/ottico/acustico. Sì, non vi mettete a ridere, proprio grafico/ottico/acustico, ma senz’altro valido ed importante.

Il primo concetto, quello tecnico, riguarda le curve di risposta, di fase, ecc. Queste curve, normalmente, sono ricavate per punti e, logicamente, più punti ci sono e più la curva è precisa e permette di rilevare anche le piccole imperfezioni; nella maggior parte dei casi viene però fornita una curva interpolata, sia per facilitarne la lettura sia per mimetizzarne i difetti. L’interpolazione consiste nel tracciare una curva media che cancella tutte le piccole variazioni e rende più visibile l’andamento generico della curva stessa (vedi figura 1).

 

Nel nostro articolo si farà sempre riferimento a curve reali, con il massimo della risoluzione e, soprattutto, non interpolate.

Il secondo, assolutamente non tecnico ma sviluppato in oltre cinquanta anni di lavoro e ricerca, ci mostra quanta analogia ci sia tra tecnologie anche molto diverse. Se, infatti, guardiamo il grafico della curva di risposta in ampiezza e in fase di un equalizzatore e la troviamo bella, pulita, armoniosa, senza irregolarità e brusche variazioni, quel filtro sarà sicuramente pulito e piacevole da ascoltare. E poiché il fine ultimo del nostro lavoro sono proprio le orecchie, anche una metodologia basata su considerazioni non proprio ortodosse, anzi assolutamente non ortodosse, può dare ottimi risultati.

Un po’ di storia

Dopo questa premessa facciamo un bel passo indietro nella preistoria, e cominciamo a vedere come erano realizzati e come si sono poi evoluti i primi equalizzatori.

I primi equalizzatori... scusate: i primi controlli di tono – perché il termine equalizzatore non era ancora in voga – erano sviluppati per circuiti a valvole ad alta impedenza. Questi circuiti, utilizzati sui primi sistemi sia HI-FI che professionali, erano di tipo passivo e controllavano solo due bande (bassi ed alti), con una curva detta “a farfalla” (figura 2).

 

Se da un lato, essendo passivi, non creavano distorsione armonica, non garantivano neppure una buona linearità (in posizione centrale, ovvero con il filtro escluso) e, inoltre, le due sezioni del filtro interagivano decisamente tra di loro specialmente nell’intorno della frequenza di incrocio. In ogni caso, considerata anche la scarsa qualità degli apparati su cui erano installati, questi controlli di tono a due bande hanno fatto il loro onorevole servizio per molti anni.

Con l’avvento dei circuiti allo stato solido ed a bassa impedenza, questo tipo di circuito passivo, che risultava assolutamente inadatto, fu abbandonato e sostituito con il circuito attivo di tipo Baxandall (figura 3). Questo circuito, decisamente innovativo per quei tempi, era già stato utilizzato sugli ultimi sistemi valvolari ma con risultati non eccezionali perché molto più adatto a circuiti a bassa impedenza.

 

Rispetto al filtro passivo fornisce molti vantaggi: essendo perfettamente simmetrico garantisce un’ottima linearità (logicamente in posizione centrale, filtro escluso) anche oltre la banda audio ed i due controlli sono del tutto indipendenti e non interagiscono tra di loro; inoltre, per il controllo, vengono utilizzati potenziometri con variazione lineare, molto più precisi di quelli a variazione logaritmica usati nei filtri passivi. Le curve di questo tipo di filtro (sempre del tipo a farfalla) sono molto dolci e pulite, così come la rotazione di fase, per cui il Baxandall ha un ottimo suono anche se usato per correzioni molto ampie.

Come contropartita, questo circuito, che ha guadagno unitario, inverte la fase, cosa da tenere presente in fase di progettazione, specialmente se si necessita del comando di bypass del modulo di filtro.

Dal punto di vista costruttivo il filtro tipo Baxandall è veramente semplice ed economico, genera pochissimo rumore di fondo e distorsione. Inoltre, cambiando alcuni componenti, permette di variare (entro certi limiti) le curve e di inserire anche un terzo controllo per le frequenze medie (figura 4).

 

In alcuni casi si sono utilizzati due filtri Baxandall in cascata in modo da ottenere quattro bande di controllo e, nello stesso tempo, ovviare al problema dell’inversione di fase per poter effettuare facilmente il bypass del filtro (figura 5).

 

 

Come si dice, l’appetito viene mangiando, per cui i nostri signori fonici, molto giustamente, richiedevano sempre di più costringendo i progettisti a studiare nuove soluzioni.

A fronte di queste richieste sono stati realizzati equalizzatori di varie tipologie e prestazioni. Il più delle volte dei filtri tipo Baxandall, più o meno elaborati, venivano accoppiati a filtri passa-banda o risonanti per il controllo delle frequenze medie.

Questo tipo di equalizzatori, normalmente usati nei canali dei mixer, spesso di ottima qualità audio, non hanno avuto un gran seguito perché molto complessi, di difficile utilizzo, non standardizzati come controlli e di costruzione abbastanza costosa, per cui ne tralasceremo la descrizione perché troppo lunga e di scarso interesse.

La tecnologia avanza e nuove tipologie di circuiti permettono di realizzare equalizzatori molto più semplici e versatili, ma soprattutto molto simili tra loro come controlli, e questo ne permette un più immediato utilizzo.

In questo periodo cominciava ad evolversi la tecnologia degli amplificatori operazionali di elevata qualità e questo ha permesso lo sviluppo di circuiti molto complessi, improponibili con i componenti discreti.

I primi equalizzatori sviluppati sono stati quelli cosiddetti “grafici” ad ottave, mezze ottave e poi a terzi di ottava. La denominazione “grafica” deriva dal fatto che come controllo vengono utilizzati piccoli potenziometri a cursore affiancati e osservando la sequenza delle manopole si ottiene visivamente il grafico stilizzato della curva di risposta. Questa caratteristica può essere un valido aiuto, perché permette di individuare immediatamente le frequenze su cui agire. Ma... c’è sempre un ma, che vedremo nel prossimo articolo.