Trasmissione dati – parte prima

I collegamenti audio digitali.

di Stefano Cantadori

Affezionato lettore, nell’articolo delle ferie raccomandavo di usare cavo dati per il DMX e non il cavo microfonico. Non dissi perché. 

Nel recente passato affrontammo con ben due articoli l’argomento ‘impedenza’ descrivendone le analogie e le differenze rispetto alla ‘resistenza’. Abbiamo anche posto particolare attenzione sul fenomeno di riflessione di energia dovuto alle discontinuità di impedenza. Con l’occasione sfruttammo il caso pratico di un altoparlante, mettendo sulla carta un circuito equivalente. Una nota a piè di pagina servì per ricordare l’esistenza della capacità fra gli avvolgimenti della bobina, capacità che in quella occasione decidemmo di trascurare. Nella trattazione di oggi avrà invece la sua importanza. Due conduttori separati da un dielettrico (nel caso della bobina questo è costituito dalla resina isolante) formano un condensatore, il cui valore si esprime con il termine ‘capacità’ e si misura in Farad.

Dal momento che spesso seguiamo un percorso logico nello sviluppare le nostre chiacchierate, avrete sicuramente indovinato l’argomento di oggi: i collegamenti audio digitali. Sto scherzando? No, anzi. Gli argomenti sono interlacciati in modo sorprendente. Scopriamo insieme come e perché.

Incipit

Sia il DMX che il segnale audio digitale AES/EBU1 sono stringhe seriali digitali e, così fan tutte, le stringhe seriali digitali sono composte da pulsi quadri. Bon.

Caso pratico

Gli esempi pratici sono sempre di aiuto.

Max mi chiama e mi sottopone un problema: collegando l’uscita AES di un XFTRSZZ digitale montato al mixer di sala con l’ingresso AES del crossover sul palco, trascorreva parecchio tempo prima che i due apparecchi cominciassero finalmente a funzionare. Max, preciso ed esaustivo, non ha mancato di informarmi che il segnale transitava attraverso i cavi della ciabatta, cioè cavi microfonici. Usando un cavo corto? Il difetto scompariva e l’audio scorreva immediatamente appena infilati i connettori.

Con tali sintomi la diagnosi non poteva essere che una: il ricevitore AES della macchina sul palco faticava a sincronizzarsi con il segnale in arrivo. Il messaggio scandito dai pulsi quadri non veniva riconosciuto, in quanto difficile da leggere. Immaginati un messaggio scritto in una lingua ignota, in pessima calligrafia, con una penna che scrive a tratti. Che piffero puoi decifrare?

Ampiezza di banda

Quest’oggi, come feci per il DMX, vi raccomando di usare per il segnale AES un apposito cavo AES a 110 Ω e terminare la linea con una resistenza (indovinato, da 110 Ω, peraltro sempre presente nei ricevitori). A cosa serve il cavo AES? Come per il DMX. Questione di banda passante. Banda passante? Si, esattamente come per la vostra connessione Internet o per la rete Ethernet. Il termine ampiezza di banda di un sistema di trasmissione digitale si riferisce generalmente alla quantità di bit trasmessi al secondo2.

Maggiore è la banda, più bit posso trasmettere nell’unità di tempo. Un bit è un pulso quadro e il ripido fronte di salita e di discesa, cioè l’improvvisa e velocissima variazione di voltaggio, nonché la breve durata nel tempo, sono le caratteristiche che ci danno gioia e dolore. Più gioia, dobbiamo ammetterlo, al punto che il mondo moderno è interamente poggiato sul codice binario e comunica a pulsi quadri.

Posso anche chiedermi quanti bit leggibili posso trasmettere al secondo… e continuando su questa strada, ammesso di aver ricevuto una determinata quantità di bit, alcuni leggibili chiaramente e altri no, posso chiedermi quante informazioni effettivamente utilizzabili posso estrarre dai bit ricevuti. Se mi mandi un sms con scritto ‘vsbn dgdsnmkk’ non sono in grado di decifrare alcunché. Se mi mandi ‘xkè’ decifro la parola ‘perché’ e la tengo buona, se funziona nel contesto.

Inventiamoci un esempio per mostrare i limiti di un collegamento che non ha sufficiente banda passante per i nostri bit. Avete presente un sismografo? Quello con il rullo di carta che scorre e sulla quale va su e giù un pennino? Stessa cosa dei vecchi strumenti di misura audio, anche loro con rullo di carta e pennino. Sulle riviste e sui cataloghi, per far sì che le risposte in frequenza sembrassero più piatte, si faceva scorrere velocemente la carta e lentamente il pennino. Con questo trucco i picchi e i buchi risultavano arrotondati e appiattiti.

Orbene: il nostro collegamento faloppo3 non permette ai fronti di salita dei pulsi quadri di salire in verticale poiché la carta del tempo scorre sotto il pennino troppo velocemente. O il pennino si muove troppo lentamente. Tutto è relativo. I pulsi quadri arrivano arrotondati ed attenuati e magari, in casi estremi, anche annegati nel rumore. Percorrendo il lungo cavo microfonico della ciabatta di Max, il segnale in arrivo risultava talmente arrotondato ed attenuato che il ricevitore non riusciva nemmeno a distinguere il preambolo dagli altri dati. Se non riconosci il preambolo, non ti sincronizzi. I dati contenuti nella stringa non vengono interpretati e si ha silenzio.

Ma non è così semplice. Il fenomeno che ci interessa, per il nostro cavo, avviene alle altissime frequenze4 che sono proprie delle trasmissioni dati.

Linee di trasmissione o cavo?

Serve un cavo magico, dunque? È pur fatto di rame anch’ esso… Prendiamo in mano un cavo AES, il nostro fido tester e proviamo a misurare la resistenza del cavo. Trovo forse che tra i due conduttori ci siano 110 Ω? Ma neanche per sogno: il circuito è aperto (cioè legge una resistenza infinita) il tester non fa ‘bzzz’. Trovo forse che se metto i puntali all’inizio e alla fine del cavo, magari proprio 100 metri, leggo 110 Ω? Macchè: si comporta come un cavo normalissimo, qualche ohm di resistenza.

Il fatto è che non sempre i cavi si comportano da cavi.

Impedenza caratteristica

A frequenze molto alte, come quelle coinvolte dalle trasmissioni dati o a radiofrequenza, siamo nella zona di parecchi MHz e oltre, il nostro cavo smette di essere semplicemente tale e si comporta come una linea di trasmissione. ‘110 Ω’ e ‘75 Ω’ esprimono l’impedenza caratteristica, cioè quella corrispondente all’impedenza di ingresso di una linea di trasmissione uniforme di lunghezza infinita5. Fortunatamente, corrisponde anche all’impedenza di ingresso di una linea di trasmissione di lunghezza finita, terminata con la propria impedenza caratteristica. Ad esempio una resistenza da 110 Ω sul ricevitore per il segnale AES/EBU, 110 Ω per il DMX e 75 Ω per lo SPDIF.

L’impedenza caratteristica di un cavo è determinata dal diametro dei conduttori (la quantità di rame) lo spazio che intercorre fra loro e dal tipo di materiale isolante fra gli stessi. La banda passante del cavo che ci interessa usare può arrivare a valori dell’ordine di 200/300 MHz. Alle alte frequenze, il parametro che maggiormente influenza l’impedenza caratteristica è la capacità fra i conduttori. La ragione per cui sia il cavo dati per il DMX che quello AES hanno la stessa impedenza caratteristica è che entrambi hanno i conduttori intrecciati e, con le geometrie di una costruzione pratica, i cavi di quel tipo risultano tutti intorno ai 100 Ω (al di sopra del MHz). Come un doppino telefonico, insomma. Oggi non ci addentreremo nelle formule e nella elettromeccanica dei cavi. E forse neanche domani.

note:

1: Audio Engineering Society ed European Broadcasting Union. L’ AES è l’ organismo che si incarica di stabilire e ratificare gli standard nel mondo dell’ audio.

2: C’è ovviamente una corrispondenza tra la banda passante analogica di un cavo e la quantità di dati che può trasmettere, sia su una linea pulita che su una rumorosa. Ma oggi non me ne occupo.

3: Scrauso, sfigato.

4: Oppure o quando il cavo è veramente mooolto lungo. Le prime equazioni nate per studiare l’argomento si chiamano infatti “equazioni del telegrafista ”.

5: Che non esiste, per cui si studia con il calcolo. Certo, se esistesse una linea di trasmissione a 75 Ω di lunghezza infinita, leggeremmo i famosi 75 Ω tra la calza, cioè il conduttore esterno, e quello interno. Il cavo a 75 Ω è coassiale ed è più intuitivo da spiegare che non il cavo AES bilanciato che ha due cavi interni intrecciati e la calza esterna.