#MENGONILIVE2016

L’ultima tranche del bellissimo tour che ha portato Marco Mengoni ad affermarsi come una delle realtà più seguite nel nostro panorama nazionale. Il nostro servizio, con le interviste e le foto realizzate il 20 novembre scorso al 105 Stadium di Rimini.

a-IMG 1033di Giancarlo Messina

Fra i tanti artisti emersi dai talent, Mengoni è uno dei pochi, se non l’unico, ad essersi affermato indubbiamente per la propria personalità artistica e vocale, separando la propria carriera dall’influsso benefico-venefico della televisione.

Come molti, non siamo fan dei talent, e nemmeno degli artisti che arrivano al successo senza aver mai fatto un concerto vero in un club. Ma quando vedemmo per la prima volta Marco su un palco, capimmo subito che di sostanza ce n’era parecchia, tanto da tributargli il nostro Best Show nel 2013.

Non ci sbagliavamo, perché questo nuovo tour ha segnato la consacrazione di Mengoni come nuovo giovane big della musica italiana, sia per il grande successo di pubblico, sia per il numero di date, sia per la produzione di altissimo livello.

Purtroppo, per una serie di incredibili congiunzioni astrali, non siamo riusciti ad assistere al concerto durante la prima tranche, così abbiamo riparato andando al 105 Stadium di Rimini in novembre, davvero curiosi di vedere un concerto di cui, a dire il vero, sapevamo quasi già tutto.

Le aspettative erano alte e la produzione di Live Nation, gestita dall’ottimo Alberto Muller, le ha soddisfatte tutte, così come, ovviamente, l’artista sul palco.

Qualche tempo fa ci è capitato di vedere un giovane “talent-uoso” artista sommerso dalla grande produzione che gli avevano costruito addosso, quasi in imbarazzo di fronte a un palazzetto pieno; diciamo questo perché una produzione importante deve poi trovare nell’artista il carisma necessario a darle un senso, o rischia di schiacciarlo inesorabilmente. In questo caso Marco è stato bravissimo, e non ne dubitavamo, a domare e valorizzare tutto l’incredibile repertorio di special che Giò Forma, nella persona di Claudio Santucci, ha ideato per lui.

Per la prima volta abbiamo visto funzionare egregiamente e in larga scala delle movimentazioni orizzontali, con un binario in grado di far volare l’artista fino al palco ‘B’ posto in mezzo al pubblico, oltre alla movimentazione degli schermi LED e dei pod.

Un concerto quindi impeccabile, dalle luci di Mamo Pozzoli, perfette e su misura, all’audio di Alberto Butturini, che abbiamo rimproverato scherzosamente dicendogli di togliere il CD, perché davvero sembrava di ascoltare una produzione discografica da un impianto di qualche decina di migliaia di watt (ricordiamo che il watt era una misura molto cara agli audiofili!), curato dal bravissimo Orlando Ghini.

Tutto insomma ai massimi livelli, dall’artista ai produttori, dai professionisti alle aziende impiegate fino al pubblico: numerosissimo, eccitatissimo, soddisfattissimo: cosa chiedere più di così?

 Angelo Di Nella – Operatore luci

“Tutto il progetto – spiega Angelo – è di Claudio Santucci, mentre Mamo Pozzoli è  il lighting designer. La programmazione l’ho fatta insieme a Mamo, anche perché è una ripresa del tour di aprile. Abbiamo diviso la gestione del palco in diversi settori:  video, luci, laser e movimentazioni.

“La movimentazione è gestita in parte da un operatore Kinesys sul palco, mentre tutto il resto è gestito sempre dal Kinesys ma con un controllo remoto in FoH.

“Abbiamo inoltre un’altra console per i laser ed una per le luci, con relativo spare. Tutti i settori sono convogliati in un’unica rete Ethernet, che parte dalla regia fino al palco, dove i segnali vengono smistati per le luci e le movimentazioni, entrambe fornite e curate dal service PRG.

“Sul palco – continua Angelo – ci sono dei VL3500 Wash usati per il piazzato puro, raramente per gli effetti; ho poi dei Robe Pointe, diversi ClayPaky Stormy e accecanti DWE. Su ciascuno dei quattro pod ci sono dieci Ayrton Magicpanel, affiancati ad altre sorgenti come Thomas Pixeline, Jarag ed altri  Stormy. Sul floor ci sono invece dei washled GPL, DWE e Stormy.

“Per lo Stage ‘B’ usiamo ancora Pointe, sia sul tetto sia sul floor, GPL sul floor e Robe BMFL come special. Questo palco è oggi a meno quattro metri rispetto allo standard del ‘pisellone’, come noi chiamiamo amichevolmente i binari.

“Abbiamo inoltre quattro seguipersona, di cui gestisco le chiamate, facilitato dal fatto che la programmazione è in timecode, anche se ho diverse accensioni manuali, soprattutto per gli special e le movimentazioni”.

Orlando Ghini – PA engineer

“Qui ci sono 12 K1 – ci dice Orlando – più 8 K2 di downfill per lato. I side sono 12 K2, mentre gli extra side sono tre moduli per  lato di K‑Array KH7. Stiamo provando ad integrare questi con gli altri impianti... c’è un po’ di difficoltà, perché la risposta in fase è completamente diversa, così salendo e scendendo nella tribuna si nota qualche differenza. Però, per quanto riguarda l’efficienza e il suono, sembrano abbastanza buoni.

“Nella prima tranche usavamo i sub RCF TTS56-A, adesso abbiamo gli SB28 L‑Acoustics: la differenza fondamentale è che i sub RCF sono più potenti, infatti qui abbiamo bisogno di un terzo in più di sub per avere la stessa potenza. Altra differenza è anche il rapporto di fase: ovviamente i sub L‑Acoustics si accoppiano meglio con il K1, essendo appositamente progettati.

“Io ricevo dal banco uno stereo semplice, poi il trattamento è il solito: entra nel Galileo e ogni cluster riceve propria linea dedicata.

“Il palco in mezzo al pubblico – conclude Orlando – non crea grandi problemi. L’impianto esce normalmente anche quando l’artista è lì, non ci sono trattamenti straordinari, anche perché non abbiamo avuto fino ad ora nessun problema. Anche il microfono è molto libero e la dinamica è tanta”.

 Alberto Butturini – Fonico FoH

“La situazione qua è molto simile alla prima tranche – spiega Alberto –. Quindi impianto K1 con downfill K2 e side K2. C’è stato un cambiamento per quanto riguarda i sub. Nella tranche precedente avevamo dei sub RCF, mentre qui abbiamo i sub L-Acoustic SB28, per avere un po’ più di uniformità all’interno come tagli e come incastro di frequenze. I sub RCF hanno il 21”, muovono più aria. Quello che abbiamo guadagnato realmente è la velocità di set-up del sistema, usando componenti progettati per lavorare insieme.

“La band è la solita, con due chitarre, tastiere, basso, batteria, tre fiati, due coriste più Marco. Quindi abbastanza sostanziosa. C’è anche un buon apporto di sequenze a livello di gruppo e di ritmica, ma soprattutto c’è tanta roba che suona. Il mix, sia di Stevan al palco sia in sala, è un bel lavoro di incastro. Non è uno spettacolo semplice da fare. La data zero a Mantova è stata una ripresa, mentre le due date al Forum di Milano sono state veramente delle date da ricordare.

“È chiaro che, essendoci così tanta roba e così tanti musicisti, deve essere una macchina che viaggia perfettamente, perché appena si sposta uno strumento, ovviamente, tutto il resto si deve aggiustare. Non ci sono dei brani che vivono solo di una cosa: è sempre tutto molto amalgamato insieme e funziona nel momento in cui tutti vanno allo stesso passo. 

“È tutto molto raffinato e molto ricercato: si passa attraverso tutti i generi – dal rock al pop al funky, e addirittura un medley disco. È tanta roba da far convivere coerentemente. 

“Ho scelto di lavorare con una console SSL L500. Tutto il mio settaggio è interno, non ho nessun outboard. Mi sono trovato molto bene lavorando in questa maniera, infatti faremo una decina di date in Europa in coda al tour, e porteremo con noi le console; anche per questo non volevo avere outboard, per ridurre al massimo il materiale: tutto quello che senti è puro SSL.

“Le catene sono abbastanza standard – aggiunge Alberto – ovviamente con i cambiamenti del caso... una voce diversa da un’altra. Però il concetto con cui affronto uno strumento è abbastanza personale e me lo porto dietro da una console all’altra. Quindi, la solita catena della voce con il de-esser in testa, equalizzatore multibanda, compressore multibanda, un altro de-esser alla fine per dare un’ultima pulitina. Poi tengo l’EQ del banco per poter fare qualsiasi ritocchino stretto secondo la location. Il resto è normalissimo: riverberi interni, dinamiche interne... poca roba.

“Marco canta con un microfono DPA d:Facto II, ed abbiamo anche cambiato il microfonaggio delle chitarre: siamo passati dalla coppia SM57/EV Cardinal alla coppia SM57/AT4050. Un esperimento che funziona.

“Le sequenze ci sono – precisa Alberto – ma non hanno un ruolo preminente perché c’è tantissima musica suonata; si tratta soprattutto dei groove ritmici, incastri fondamentali per i brani costruiti da Marco. Le sequenze partono dal palco, dal Mac di Gianluca Ballarin, e mi arrivano in quattro stem stereo – 16 canali di cui otto occupati dai servizi: SMPTE per le movimentazioni e luci, anche per le nostre console. In alcuni brani siamo agganciati perché i cambi sono molto incastrati. Poi ci sono i vari click: band, artista, count. Ogni brano ha il timecode e chi ne ha bisogno per quel brano se lo prende. 

“Poi ci sono otto canali musicali: uno stereo di ritmica, uno stereo di armonia (dove non c’è praticamente niente), uno stereo di backing vocals (anche qui poco perché ci sono le coriste), poi uno stereo che chiamiamo special. Quest’ultimo lo teniamo libero... se per caso dobbiamo separare un suono da uno stem già fatto, lo spostiamo lì per avere una gestione indipendente.

“Lo spettacolo è veramente poliedrico dal punto di vista musicale, di certo non mi annoio a mixare: c’è molto da fare, molto da seguire, poi ci sono tante parti ed interventi delle vocalist che in alcuni brani fanno i lead vocal. Ci sono tutti gli assoli da seguire... comunque a me piace lavorare così.

“Marco fa un volo, trasportato in aria fino al palco “B”, che qui a Bologna è abbastanza corto, ma generalmente è più lontano, anche 40 metri. Praticamente atterra su questo palchetto e canta quattro brani: il microfono rimane lo stesso, con la stessa EQ, non sono stati necessari particolari accorgimenti.

“Per quanto riguarda le dinamiche – dice Alberto – come sai non ho mai avuto un grosso feeling con la compressione. Preferisco lavorare di più ed imparare i brani, sapere dove devo andare a prendere un musicista perché so che lì… mi scappa... eventualmente metto una compressione leggerissima. Lavoro nello stesso modo in un grande concerto all’aperto come lavoro qui. È tutto veramente libero, in termini di dinamiche.

“Lavoro a stem, come al solito, nella console, per comodità di gestione del mix. Non sto usando un sommatore, perché la somma master della SSL è veramente bellissima. Uso gli stem per avere eventualmente un controllo supplementare: per esempio, ho lo stem della batteria che passa in un Buss Compressor dell’SSL per compattarlo leggermente, anche se in questo stem non c’è la cassa. Inoltre gli stem non sono in recall, sono fissi; quindi posso fare velocemente un offset su una sezione completa: se stasera mi servono due dB in più di cassa, alzo lo stem e, per tutto il concerto, mi tiro dietro quei due dB. Non devo toccare le snapshot, tutto rimane al proprio posto. È comodo per poter ritrovare l’assetto, senza dover continuamente editare le snapshot. Sugli stem posso avere tutto il processing che uso su un qualsiasi canale: in effetti non uso questa possibilità quasi mai, ma è importante sapere che c’è”. 

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