Miti e Fatti su L’acustica degli studi di registrazione - Terza e ultima parte

Auto-calibrazioni: criticità e punti di forza

Miti e Fatti su L’acustica degli studi di registrazione - Terza e ultima parte

di Donato Masci - Studio Sound Service

Auto-Calibrazione

Esistono in commercio molti sistemi (hardware e software) di calibrazione dei monitor da studio – alcuni di questi sono “inseriti” negli stessi monitor. 

I sistemi di auto-calibrazione più evoluti vengono venduti in un kit comprendente un microfono da misura e un’interfaccia audio e fornendo le relative istruzioni all’utente (dove posizionare il microfono, quanti punti di misura ecc). Viene registrata una risposta all’impulso della stanza mediante l’eccitazione di un segnale di test1 per ogni singolo monitor. Dalla risposta all’impulso si riescono ad ottenere moltissime informazioni (comprese quelle di carattere temporale, quale l’allineamento fine della fase tra le singole sorgenti, come subwoofer e monitor). Con questa, in particolare, il sistema calcola anche la risposta in frequenza e poi applica dei filtri per tentare di migliorarla al punto d’ascolto, o per meglio dire, al punto (o ai punti) di misura.

Problemi sulla risposta in frequenza

Come già affermato nei precedenti articoli, per analizzare le qualità di una control room, la risposta in frequenza è fondamentale, ma dev’essere considerata in parallelo con tutti gli altri parametri utili e, sicuramente, ad un ascolto critico. Dalla risposta in frequenza (FR) infatti si possono notare la maggior parte dei problemi; spesso però questi sono sovrapposti tra loro, ecco perché quando si analizza una stanza vuota e molto riverberante, la risposta in frequenza non è mai particolarmente insoddisfacente, a parte per alcuni andamenti notevoli in bassa frequenza tipici delle onde stazionarie, perché la riverberazione copre gran parte dei difetti specifici dati dalle riflessioni “forti” della stanza. 

I problemi nella FR possono essere di varia natura, ma possiamo ricondurli a due gruppi fondamentali, il primo dipendente dal campo acustico della sala (coinvolgendo quindi la riverberazione e le onde stazionarie) mentre il secondo è relativo a tutti quei fenomeni legati alle prime riflessioni (le più energetiche) o comunque all’interazione con altre superfici. 

In generale, parlando dei fenomeni del primo tipo, il campo riverberante sopra i 200 Hz “colora” la FR enfatizzando quelle frequenze per le quali si ha maggior riflessione da parte delle pareti o delle altre superfici riflettenti. Questo tipo di effetto è praticamente uguale in ogni punto della stanza. Le onde stazionarie, i cui effetti si notano principalmente sotto i 200 Hz, influiscono invece in modo molto più aggressivo su alcune singole frequenze, e il risultato sulla FR dipende particolarmente dal punto in cui si trovano la sorgente e l’ascoltatore.

Anche i fenomeni legati alla riflessione (o per meglio dire all’interazione tra onde dirette e riflesse in generale) sono molto più evidenti per alcune frequenze e dipendono dalla posizione della sorgente e del punto d’ascolto perché si basano sulle distanze tra i percorsi diretti e riflessi (come abbiamo visto nel secondo articolo).

Durante la mia carriera di progettista acustico ho avuto modo di conoscere personalmente Aki V. Mäkivirta e Christopher Anet di Genelec e leggere il loro interessantissimo articolo A Survey Study Of In-Situ Stereo And Multi-Channel Monitoring Conditions presentato alla 111th AES Convention nel 2001, in cui riportano i dati delle misure di 372 monitor da studio in 164 top control room dislocate in tutto il mondo. Le stanze analizzate erano tutte costruite con big monitor, quindi, in media, estremamente più grandi di quelle di cui ho parlato io nei precedenti articoli. A parte i dati di riverberazione e altri parametri acustici interessanti, la cosa che colpisce maggiormente è proprio l’analisi della FR. Il risultato finale è che, considerando le buche relative a frequenze inferiori a 1000 Hz nella FR filtrata in terzi d’ottava, “la profondità media della buca è di 14,2 dB, ma buche di 30 dB non sono rare” e che “nel nostro materiale la frequenza più tipica per le buche è 100 Hz, ma le buche più profonde appaiono alle frequenze più alte”.

In effetti, saper “leggere” la FR è uno dei compiti più arditi per un acustico, perché non è intuitivo immaginare di quanti dB possa cambiare dopo una lievissima variazione nella sala (ad esempio lo spostamento di una cassa), allo stesso tempo è anche inquietante notare di quanto poco cambi con l’introduzione di una trappola acustica. Questo è dovuto proprio al fatto che, come abbiamo detto prima, i fenomeni che concorrono alla “colorazione” della risposta in frequenza sono di diversa natura.

Caso studio: auto-calibrazione digitale di casse identiche in stanze differenti (trattata e non trattata acusticamente)

Per spiegare meglio la mia esperienza con i sistemi di autocalibrazione devo far riferimento ad alcuni project studio su cui ho lavorato da poco. L’idea è quella di confrontare due control room con stesso tipo di monitor con autocalibrazione (Genelec 8260a), la prima trattata acusticamente (anche se ricavata in uno spazio molto piccolo e pieno di compromessi), la seconda completamente non trattata.

Tempi di riverberazione T30 delle due sale pre e post calibrazione. Notare la discrepanza tra i tempi di riverberazione a bassa frequenza delle due sale.

I tempi di riverberazione delle due sale sono estremamente differenti, pur essendo all’incirca delle stesse dimensioni. In particolare la sala non trattata ha tempi di riverberazione @ 63 Hz ben cinque volte più lunghi.

I center time nella sala non trattata sono troppo lunghi sulle basse frequenze, mentre per la sala trattata il grafico si pone perfettamente sulla media dei valori di cui abbiamo discusso nel primo articolo della serie.

Come si nota dai grafici, entrambi i parametri non vengono sostanzialmente modificati con la calibrazione.

Center time delle due sale pre e postcalibrazione.

Dalla risposta in frequenza della sala non trattata emerge subito un problema fondamentale, ossia un buco di circa 10 dB @ 53 Hz piuttosto stretto dovuto all’interazione della cassa con l’angolo e la parete sul retro. Frequenze vicine al buco erano invece particolarmente enfatizzate (30 Hz e 80 Hz) dai modi di risonanza della stanza. Il resto della risposta presenta numerosi comb filter, problemi alle frequenze medie e medio alte che un occhio esperto nota con facilità, tuttavia la risposta resta all’interno di ± 3÷4 dB tra 200 Hz e 20 kHz a conferma del fatto che una sala non trattata spesso ha una risposta che, se non analizzata attentamente, può sembrare anche “corretta”, ma in realtà i comb filter alle medio-alte frequenze, dove si ha il massimo della sensibilità dell’orecchio, sono molto fastidiosi!

L’autocalibrazione riesce a controllare alcune delle riflessioni alle medie frequenze (anche se non riesce a migliorare le riflessioni forti presenti a 800 Hz e i comb filter tra 2-8 kHz2) e a bilanciare l’energia sonora sul registro delle basse e medio-basse frequenze, rendendo effettivamente l’ascolto più controllato, ma paradossalmente il buco a 53 Hz viene leggermente peggiorata.

All’ascolto la situazione è migliorata, sembra sicuramente tutto più bilanciato, ad esempio non si nota più il booming della cassa, ma sulle basse non si ha assolutamente la percezione di cosa succede e a che frequenza, anche perché ricordiamo che il tempo di riverberazione è rimasto ovviamente estremamente lungo.

Risposta in frequenza della sala non trattata acusticamente prima (curva rossa) e dopo (blu) l’autocalibrazione delle Genelec 8260a.

Risposta in frequenza della sala trattata acusticamente prima (curva rossa) e dopo (blu) l’autocalibrazione delle Genelec 8260a.

Nella sala trattata le cose sono invece differenti. Pur trattandosi di una sala di piccole dimensioni, e quindi con modi di risonanza particolarmente ravvicinati in frequenza, è stato effettuato un certo trattamento acustico per controllare le basse frequenze (in particolare sul soffitto, sul retro della sala e sui lati) che porta l’ascolto in generale già a buoni livelli. In questo caso l’autocalibrazione ha portato la sala a dei livelli professionali, migliorando sostanzialmente la linearità sulle medie frequenze in cui erano presenti le riflessioni del banco e degli outboard, e controllando tutte le risonanze e la cosiddetta “minimum phase low frequency boost3

In poche parole, la collaborazione tra l’autocalibrazione e il trattamento acustico ha permesso al cliente di avere un ascolto full-range professionale e bilanciato, in una sala di altezza 2,50 m e superficie inferiore ai 20 m2, ovvero in un ambiente che fino a ieri avremmo detto che non sarebbe stato assolutamente idoneo a diventare uno studio di registrazione professionale.

Cosa si può migliorare con l’autocalibrazione?

Quel che ho notato nella mia esperienza è che molti sistemi di autocalibrazione funzionano splendidamente nel registro medio-alto, mettendo a fuoco le casse e dando la giusta brillantezza anche in situazioni d’ascolto in cui non vi sia la giusta diffusione nelle frequenze medio-alte. 

Inoltre lavorano molto bene anche per tutti i problemi relativi all’interazione con superfici rigide come le grandi console, e i rack tipici dei piccoli studi moderni pieni di outboard vicini al punto d’ascolto. Questi problemi si presentano generalmente tra 500 Hz e 2000 Hz. 

Sulle basse frequenze invece l’efficacia è strettamente relativa al problema. Sicuramente qualsiasi sistema di calibrazione serio lavora molto bene nel contenere le basse frequenze che vengono enfatizzate dalla vicinanza di una superficie rigida come succede quando si accostano le casse al muro o si montano nel muro direttamente (in poche parole quando si devono effettuare delle equalizzazioni a minimum phase low frequency boost). Se però sono presenti dei fenomeni a fase-non-nulla molto forti, come quelli generati dalle riflessioni verso le superfici della stanza (ad esempio le riflessioni dalle pareti) l’autocalibrazione generalmente ha dei problemi. In queste situazioni i software di calibrazione si comportano in modo differente, e quelli più “intelligenti” mi sembra che “capiscano” che su alcune cose… sia meglio non intervenire!

Un altro fenomeno che generalmente crea dei problemi all’autocalibrazione è quello delle onde stazionarie, perché è strettamente legato al punto di misura. In questo caso, l’SPL relativo alla frequenza dell’onda stazionaria passa da un massimo a un minimo (con variazioni che raggiungono facilmente i 20 dB) magari in pochi cm in alcune stanze trattate male, e chiaramente, se il nostro sistema di autocalibrazione si basa sul posizionamento del microfono in un solo punto d’ascolto, forse si riesce a ottimizzare l’ascolto in una zona veramente molto piccola, peggiorandolo nel resto della sala.

Per questi motivi preferisco utilizzare generalmente un sistema multipoint.

Miti sfatati sul trattamento acustico e l’auto-calibrazione

Tornando quindi ai nostri miti…

8. La calibrazione non serve a niente se una sala è trattata beneFalso. Quello che ho notato è che i sistemi di autocalibrazione danno il meglio di sé proprio in situazioni come gli home e project studio, dove si hanno dei limiti fisici per poter garantire i risultati con il solo trattamento acustico.
Inoltre lavorano egregiamente per il fine tuning del “minimum phase low frequency boost” e per controllare le riflessioni sul desk e sul resto dell’outboard, che è molto utile anche in situazioni più professionali con casse a muro.
Una nota la devo spendere sui subwoofer. Dopo tutto quello che abbiamo scritto anche negli articoli precedenti, se la fase e il livello del subwoofer non sono perfettamente calibrati, è meglio non avere il subwoofer! Più è complicata l’acustica della sala e più è difficile avere una corretta integrazione del subwoofer. Il nostro orecchio è molto poco preciso alle basse frequenze, per fare un esempio a 35 Hz abbiamo bisogno di 9 dB per apprezzare una variazione di SPL. Per questo motivo, una corretta integrazione del subwoofer non può avvenire senza uno strumento di misura, infatti nella quasi totalità delle control room che ho misurato prima di un setup, l’allineamento del subwoofer era completamente sbagliato. Anche in questo caso l’autocalibrazione (e in particolare l’autophase) è realmente utile.

9. Il trattamento acustico non serve a niente se ho la calibrazioneFalso. Ad oggi, l’autocalibrazione, a mio parere, non è in grado di risolvere tutti i problemi di una stanza, perché, per la sua stessa natura, non è in grado di intervenire su alcuni dei fenomeni che creano i problemi stessi. Come ho mostrato nel caso studio, questo tipo di autocalibrazioni non si sostituirà mai ad una corretta correzione acustica. Forse in futuro, quando alcuni sistemi di correzione acustica attivi verranno commercializzati, si potrà effettivamente avere un grande passo in avanti tecnologico anche nel design acustico degli ambienti di ascolto critico.


Note:

1. Tipicamente un sine-sweep, la cui tecnica è un’italianissima invenzione a cura del prof. Angelo Farina dell’università di Parma.

2. Questo per scelta del costruttore che preferisce non agire automaticamente in correzione sulle frequenze superiori a 2000 Hz, scelta che personalmente condivido.

3. Vedi articoli precedenti.

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