Impedenza

Ogni volta che montiamo l’impianto abbiamo a che fare con vibrazioni meccaniche che si propagano nei solidi e con onde sonore che si trasmettono nei fluidi....

di Stefano Cantadori

 

 “Cos’è questo nuovo mondo che trovo alla fine delle pareti che finora mi hanno confinato? Fratelli dell’onda, andate avanti voi, io non riesco ad accoppiarmi e torno indietro. Mi dissiperò rimbalzando avanti e indietro e risuonando fra le pareti. Addio ! Addio!”

Da: “Vita in una tromba”.

Ogni volta che montiamo l’impianto abbiamo a che fare con vibrazioni meccaniche che si propagano nei solidi e con onde sonore che si trasmettono nei fluidi.

Prima ancora di accenderlo però, le prime cose che si oppongono alla nostra azione di montare l’impianto sono il peso dello stesso e le sue dimensioni.

Dobbiamo faticare.

A volte il camion è lontano dal palco, e la distanza è un altro impedimento che si frappone fra noi e il montaggio. A volte il connettore non si connette.

La nostra volontà e la nostra forza vincono gli impedimenti e l’impianto viene montato lo stesso. Non senza che venga dissipata una certa quantità di energia.

Il comportamento dinamico di un sistema è caratterizzato sia dalle caratteristiche delle parti che lo compongono sia dalle interazioni fra le parti stesse.

Qualche articolo fa (nel numero 59) avevamo parlato del cambio dell’automobile e di come questi agisse da trasformatore / adattatore di impedenza, analogamente ad una tromba posta davanti ad un altoparlante. Gli ingranaggi trasformano, interagendo l’uno con l’altro, di cambio di marcia in cambio di marcia, l’alta velocità di rotazione / bassa forza del motore in una minore velocità alle ruote ma con alto potere torcente.

In “prima” si ottiene il massimo potere torcente, raggiunta una certa velocità si inserisce la seconda per ottenere il nuovo giusto compromesso fra velocità e potere torcente e così via.

La tromba trasforma l’alta velocità / bassa pressione alla gola in bassa velocità / alta pressione alla bocca, mettendo via via in moto una quantità progressivamente maggiore di aria. Fino alla fine della tromba, dove all’onda sonora improvvisamente è richiesto di accoppiarsi ad una quantità di aria improvvisamente molto maggiore dell’istante precedente. Un brusco cambiamento. Un ingranaggio troppo grosso. Un rapporto che non riesco a tirare. Una quantità d’aria che fa letteralmente da tappo, anche se parziale, sulla bocca.

Infatti non tutta l’energia viene trasferita ed una parte è riflessa indietro nella tromba.

I silenziatori delle auto funzionano proprio così: i gas passano dal cilindro in un piccolo tubo poi “vedono” una violenta espansione e poi di nuovo un piccolo tubo. Energia riflessa e dissipata.

In un altro articolo parlavamo di come il suono trasmesso nell’aria fosse riflesso quando incontrava l’acqua, come se questa fosse una superficie solida. I due fluidi, l’aria e l’acqua, sono caratterizzati da impedenze completamente diverse e perciò rifiutano di trasmettersi energia uno all’altro. Il salto di impedenza è troppo brusco. L’energia viene riflessa quasi interamente (quasi come su una lastra di cemento) e se ne va altrove. A questo punto, se fossi veramente bravo dovrei addentrarmi nell’impedenza specifica, impedenza acustica complessa ecc ecc. ma evito. Oggi rimango sul generico altrimenti perdiamo il filo.

L’impedenza, infatti, assume varie forme.

L’impedenza meccanica, ad esempio, è il rapporto fra l’ampiezza – complessa – di una forza armonica rispetto alla velocità – complessa – del risultante moto armonico di traslazione, oppure tra un momento o coppia e la corrispondente velocità di rotazione (angolare).

È bello vedere come continua a tornare utile il cambio dell’automobile nonché forza e velocità di rotazione per comprendere il concetto di impedenza.

In acustica, l’impedenza mette in relazione l’ampiezza – complessa – della pressione del fluido (o la forza corrispondente) con l’ampiezza – complessa – della velocità delle particelle nel fluido (o con la velocità di volume).

Quando le parti di un sistema sono collegate, se si vuole impedire trasmissione di energia occorre rendere le impedenze fra le giunzioni molto diverse fra loro. E viceversa se si vuole una trasmissione efficiente.

Se prendiamo in esame un altoparlante, noteremo che oltre alle impedenze meccaniche e a quelle acustiche dovremo considerare quelle elettriche. Questa però sarà roba per un’altra puntata.

Nel numero 68 invece c’è un refuso (grazie Remo), anzi un piccolo mostro. La frase che dice “l’impedenza di un tweeter è prevalentemente capacitiva” non doveva esserci, ma anche nel caso la frase giusta sarebbe dovuta essere: “un tweeter piezoelettrico è caratterizzato da una impedenza prevalentemente capacitiva”. Avevo però deciso di non parlare di impedenze e circuiti equivalenti in quella occasione ritenendo di dover fare prima un discorso introduttivo o due.

Uno, appunto, è stato quello di oggi.

Seconda parte

Bene, siccome l’articolo è troppo corto ma non ha senso diluire il brodo, dovrò parlare di qualcosa d’altro. Non è il caso di dare inizio ad un altro argomento tecnico per cui si va di costume. Anzi, con l’abito delle grandi occasioni.

Molti anni fa, all’Arena di Milano, si fece il concerto per Demetrio.

Da Parma partimmo in tre: Marco Gius, Roberto Zana ed io, con un furgone a noleggio. Arrivammo la mattina presto per dare una mano agli organizzatori che, tra parentesi, erano quasi tutti amici.

Si aveva nel furgone un bel mixer inglese e quello era il nostro contributo. Spartaco aveva anche lui portato il suo mixer, uguale al nostro, ed in sala finì quello, con nientepopodimenoché lo stesso Spartero Robespierre di Mattei ai bottoni.

Sulla carta, le casse dovevano portarle altri, una serie di costruttori italiani e qualche service, ma con il passare delle ore fu chiaro che non si sarebbe presentato nessuno. In furgone avevamo alcune cassettine piccole piccole e le tirammo fuori. Si fecero due line array di 8 casse appoggiate una sull’altra, per cercare di spremere fino all’ultimo dB di pressione.

C’era poi anche il vecchio impianto della Premiata, che in quel periodo non era in tour, ma funzionavano solo alcune casse.

Il tempo si mise al brutto e qualcuno trovò dei teli in un negozio di un quartiere vicino solo dopo che la pioggia aveva colpito. Comprammo alcuni asciugacapelli, si smontarono i coperchi dei finali e per precauzione portammo l’interno degli stessi al bello secco.

Tutto a posto, ma si alzò improvvisamente il vento. Le colonnine crollarono sotto la forza degli elementi, complici i trabattelli traballanti. Le casse rimbalzarono sull’erba. Le rimettemmo in piedi assicurandole con corde e volontari. In serata gli elementi si calmarono.

Cominciò ad entrare la gente, dalle porte più lontane. Mamma mia ragazzi, come erano piccoli quelli che entravano. Solo allora ci rendemmo pienamente conto di quanto era lungo il posto. E la gente continuava ad entrare, così tanti che la commozione ci faceva un nodo in gola: era il concerto per Demetrio, non una cosa a scopo di lucro. E non avevamo potenza. Non avevamo quasi niente, se non la dignità delle buone intenzioni. Ci guardammo in faccia presagendo un casino. Avremmo spiegato, ci dicemmo, e così si fece. La gente capì. Un mare di gente, gente speciale che era lì per portare un tributo all’amico scomparso.

Cose così non succedono più.