Noi e gli stranieri

Il Touring all’estero può essere più complicato e faticoso, ma è anche possibilità di crescere, incontrare persone, ed apprezzare luoghi e modi stranieri.

di Aldo Visentin


Il Touring all’estero può essere più complicato e faticoso, ma è anche possibilità di crescere, incontrare persone, ed apprezzare luoghi e modi stranieri.
Facciamo ordine e cominciamo dal principio: definiamo la parola straniero.
Nel senso comune, straniero/a, può essere applicato/a a qualsiasi cosa che non proviene dal proprio paese di appartenenza. Fin qui, tutto apparentemente bene.
Se poi giriamo il concetto al nostro ambito lavorativo, ho realizzato che spesso lo straniero non è solo quello che arriva da lontano lontano, bensì tutto ciò che arriva dal diverso, quindi anche se proviene da molto vicino.
A tutti noi è capitato di incontrare nelle proprie esperienze lavorative stranieri di ogni genere e provenienza, e a tutti noi è sicuramente capitato di affrontare la cosa in maniera diversa a seconda dei casi: diffidenza, pregiudizio, timore, ammirazione, entusiasmo.
Incontrare per lavoro degli stranieri (di tutti i tipi) può avvenire per due motivi: una produzione straniera (o considerata tale) approda a casa nostra e deve essere supportata oppure, viceversa, si appartiene ad una produzione che è in tour all’estero (o in terra straniera).
In entrambi i casi, per coloro i quali avviene l’incontro di certo non è mai amore a prima vista, il più delle volte sono colpi di fulmine di tipo inverso e di solito non ci si comprende completamente da subito.

Ai spic inglisch
Le produzioni itineranti straniere che portano lo show normalmente si pongono con il presupposto: “Siccome siamo noi il circo viaggiante, noi sappiamo come si deve fare il lavoro”.
La cosa è apparentemente corretta, con l’unica controindicazione che questo presupposto spesso diventa un postulato e da qui alle incomprensioni (giusto per essere diplomatico) il passo è breve.
Svariati anni or sono fui coinvolto in una produzione straniera (Franco-Canadese) come programmatore luci. La sera antecedente lo show, l’assistente del disegnatore luci venne per dare le indicazioni di programmazione, visto che l’artista era impegnato in un altro show.
Trovai questa cosa alquanto inconsueta, visto che normalmente esiste un team di advance-tour ben definito nel caso di show back-to-back. L’assistente, seppur non palesemente, apparve contrariato dal fatto che non era presente la console che evidentemente era stata richiesta, bensì un’altra con programmatore a corredo (il sottoscritto). Ci mettemmo all’opera cercando di realizzare ciò che le macchine noleggiate sul luogo potevano dare per lo show così com’era stato pensato. Tutto filò liscio fino al punto in cui l’assistente realizzò per suo conto la convinzione che parte della programmazione non potesse funzionare, causa la mancanza di alcune funzionalità della console. Non mancarono momenti di tensione tra la produzione locale e l’assistente stesso. Era notte fonda (come sempre). Calmatesi le acque, il problema fu risolto (come per magia) dopo aver realizzato che si era trattato di una mera incomprensione tra me e lui causa la terminologia utilizzata dall’assistente stesso. Il problema non fu la console, bensì fummo noi. Da un lato la mia non conoscenza di una terminologia non indigena (di origini Franco-Canadesi, tengo a precisare) dall’altro la non flessibilità dell’assistente a utilizzare parole diverse, nelle sue richieste di programmazione.

Mangiafuoco tira i fili
Di fatto Mangiafuoco (la produzione itinerante all’estero) detta le leggi e, in virtù del fatto che solo Mangiafuoco stesso conosce a menadito lo show, i malcapitati operatori locali sembra debbano inesorabilmente soccombere ad ogni errore, causa la non conoscenza di tutto il processo produttivo in cui vengono calati.
Nulla di più sbagliato!
Chi detiene i fili ha la responsabilità di fornire TUTTE le indicazioni agli operatori locali nella maniera più opportuna, anche le più ovvie e insignificanti, senza dare per scontato nulla sia sui processi produttivi, sia sugli equipaggiamenti eventualmente necessari su piazza. Non solo: chi porta una produzione all’estero ha il dovere di informarsi su tutto ciò che ciascun “universo straniero” contempla al fine di avere il più chiara possibile la visione d’insieme di dove si sta portando la produzione stessa.
Altro errore che io considero grave e che spesso i circensi commettono è quello di intervenire sui metodi produttivi locali. Ovviamente tutto deve essere vigilato al fine di rispettare i tempi, ma molto spesso lasciare ai padroni di casa la libertà di organizzarsi equivale a evitare una fatica nel cercare di imporre metodi diversi seppur collaudati.
Ogni paese che si attraversa ha la propria storia, cultura e spessore. Molto spesso capita di incontrare paesi ove la storia, la cultura e i mezzi a disposizione per lo spettacolo sono esigui rispetto ad altri. È in questi luoghi dove le produzioni straniere devono avere più attenzioni e precauzioni. È in questi paesi dove, invece, il più delle volte ho veduto l’arroganza (di stampo tipicamente razzista) di chi arriva e si fa sentire senza sentir ragioni.

Il Sol Levante
A conferma dei miei pensieri a proposito di produzioni in terra straniera, quella in Giappone è, tra le esperienze più rappresentative, quella che ricordo sempre con molta ammirazione e stupore. Il tempo di setup del nostro show è di circa 12 ore. Normalmente, quindi, si iniziano i lavori alle sei del mattino per terminare all’apertura delle porte al pubblico, alle diciotto della sera. Siamo a Budokan Arena, Tokyo. Alle otto del mattino l’arena è vuota. Tutto tace di un silenzio sordo.
Sulla campata centrale del tetto è appesa un’enorme bandiera del Sol Levante. Stupore, risatine e commenti sarcastici di alcuni colleghi preannunciano la cronaca di quello che si profila un montaggio delirante.
Un signore dall’aria indaffarata entra in sala (l’unico) alle otto appena trascorse. Ha un foglio in mano. Ci caccia via in maniera non molto ortodossa dalla nostra posizione ancora incredula. Apre lo sportello di un invisibile quadro a muro e, girando alcuni interruttori, sveglia una macchina infernale sottostante che fa sollevare dal pavimento il palco a strutture modulari idrauliche della dimensione richiesta. Alla giusta quota.
Tempo di allestimento piattaforma palco: cinque minuti. Stupore generale.
Da quel momento si scatena l’inferno. Si aprono le porte di sicurezza ed entrano “plotoni” di tecnici inquadrati, allineati e coperti, ognuno incaricato ad una specifica mansione: facchini di load-in, riggers, montatori, tecnici audio, tecnici luce, elettricisti. Il tutto sotto il comando del sergente di giornata. Tra i soldati anche un gruppo di individui di sesso femminile difficilmente riconoscibili a vista d’occhio. La macchina produttiva si mette in moto e raggiunge gli obbiettivi con precisione scientifica e strategicamente perfetta. I colonnelli che detengono le cartografie del terreno di battaglia (i Plots) si consultano periodicamente col Sergente di giornata per controllare le azioni in tempo reale e verificare gli obbiettivi presi. Apparentemente i soldati si muovono secondo una dinamica relativa simile a quella delle formiche. In realtà non si intralciano mai, e ciascuno porta a compimento la propria missione senza esitazioni o ritardi di sorta. Ovviamente gli squadroni via via non coinvolti restano immobili e allineati nel parterre in attesa del comando per portare il proprio assalto. Alle sedici del pomeriggio l’ultimo soldato lascia il terreno di battaglia. Tutto l’impianto è finito e funzionante. Fortunosamente nessun kamikaze si è dovuto immolare per la causa. Non nascondo che a quell’ora la cosa non mi avrebbe sorpreso qualora si fosse verificata.
Fu una lezione per tutti.

Bastone o Carota?
Essere a capo di un dipartimento (nel mio caso Luci) nell’ambito di una produzione in terra straniera è una mansione che implica lo sviluppo di abilità di governance che si affinano nel tempo attraverso i vari paesi. Già, perché i tecnici che si trovano su piazza non sono mai gli stessi, sono ogni volta diversi e sconosciuti. È necessario, perciò, ad ogni occasione, osservarli nel campo mentre remano “da soli” nelle prime fasi dell’allestimento, per capirne qualità e punti deboli. Una volta definito ciò, attraverso un’attenta scansione del modus operandi, si deve intervenire in maniera chirurgica (qualora sia necessario) senza comunque destabilizzare l’equilibrio nel gruppo ed i rapporti tra LD e gruppo stesso.
Al proprio gruppo di lavoro va sempre dimostrata autorevolezza e conoscenza di ciò che si deve realizzare e non muta autorità. Se si spiegano le motivazioni valide per le quali sono tenuti a realizzare allestimenti a volte difficili, sapranno di dover fare qualcosa di necessario e non una fatica apparentemente inutile, per il semplice volere frivolo o estetico da parte del Designer di turno.
Dimostrare una certa flessibilità verso il loro lavoro (nel giusto compromesso) e fiducia nella loro conoscenza tecnica rende il gruppo coeso verso la meta finale e quindi pronto a fare l’impossibile in caso di problemi gravi o dell’ultimo minuto. A mio modesto avviso, far condurre il lavoro delle proprie squadre in modo univoco e cieco può portare a controindicazioni costose.
Mille precauzioni e preparativi non scongiurano mai del tutto i problemi.
Ogni qualvolta si mette in onda uno spettacolo all’estero, si rappresenta anche il proprio paese in terra straniera, presso tutti coloro che lo hanno realizzato oltre che presso tutti quelli che lo hanno visto.