Fabrizio Giannini

Manager di importanti artisti italiani, Fabrizio viene dal mondo della discografia, ambito in cui può vantare successi straordinari, come la scoperta di personaggi del calibro di...

di Giancarlo Messina

Manager di importanti artisti italiani, Fabrizio viene dal mondo della discografia, ambito in cui può vantare successi straordinari, come la scoperta di personaggi del calibro di Luciano Ligabue, Laura Pausini e Tiziano Ferro...

Ci incontriamo a Milano, in un caldo pomeriggio di luglio, in uno dei suoi “uffici” preferiti, cioè la Feltrinelli di Piazza Piemonte. Qui facciamo una lunga e piacevolissima chiacchierata: ci facciamo raccontare la sua storia professionale, ma anche il suo punto di vista sull’attuale industria dello show business e sul suo mestiere di manager.

“Tutto comincia nel 1980, l’anno più incredibile della mia vita – ci racconta –. Avevo 20 anni ed accadde tutto in brevissimo tempo: morì mio padre, mi sposai, finì gli studi al liceo artistico, nacque mia figlia, iniziai a lavorare in CGD, azienda nella quale mio padre era stato dirigente. In teoria avrei dovuto occuparmi di grafica, perché studiavo architettura, ma poi mi chiesero di occuparmi dei rapporti con le radio, aspetto allora non ben conosciuto ed ancora abbastanza marginale, ma che invece si rivelò il migliore per entrare nel settore operativo del marketing. Così lavorai cinque anni in CGD, occupandomi di promozione radio-TV, passando poi all’ufficio artistico, collaborando con Caterina Caselli. Purtroppo in CGD sentivo sempre il peso dell’eredità di mio padre, così accettai una proposta della CBS, in cui lavorai per altri cinque anni, girando fra marketing e settore artistico.

“Il passo successivo – continua Fabrizio – fu il trasferimento alla EMI, dove sono cresciuto come A&R (cioè “Artists and Repertoire”, colui che si occupa della scoperta di nuovi artisti per la casa discografica – ndr.), con il lancio del mio primo progetto di successo, un brano abbastanza improbabile ma che allora sfondò in maniera inaspettata: Faccia da pirla di Charlie. Il primo progetto serio fu invece “I Ladri di Biciclette” che portai a Sanremo; in EMI non vedevo però margini di crescita, così quando mi arrivò una proposta da WEA accettai, nonostante questa casa discografica avesse come unici artisti italiani solo Grazia Di Michele e Massimo Priviero. Però fino a quel momento ero sempre stato l’assistente del direttore artistico, mentre in WEA ero responsabile artistico unico, anche perché ero da solo. Erano gli inizi degli anni ‘90, e sentivo di aver fatto la gavetta necessaria, e forse non a caso iniziò un periodo incredibile. Basta dire che il primo artista che firmai fu Luciano Ligabue con “Balliamo sul mondo”, che dopo tre mesi sarebbe esploso in maniera incredibile, poi il Gino Paoli di Eravamo quattro amici al bar oltre a un “best” di Finardi che andò benissimo. Insomma: qualsiasi cosa facessi andava bene. Intanto la Warner aveva comprato la CGD e mi chiesero di andare a lavorare con loro, perché conoscevo molti artisti, così nel ‘92-93 tornai in CGD. La fortuna mi arrise ancora, perché il primo artista che firmai fu Laura Pausini, che divenne un successo clamoroso, e poi Irene Grandi. Diventai direttore generale della CGD, un ruolo molto importante ma che tutto sommato non mi piaceva, perché io non sono un politico, sono uno che deve stare sul campo. Così decisi di trasferirmi in EMI, ricoprendo il ruolo di direttore della divisione nuovi artisti. Andò bene ancora una volta, perché qui, nel 2001, iniziai subito con un altro colpo di fortuna: Tiziano Ferro, artista che esplose in maniera eclatante! Insomma... appena arrivavo in una nuova azienda firmavo subito un grosso colpo, tanto che, scherzando, mi proponevano di licenziarmi e riassumermi, visto nel giro di poco tempo trovavo un big!

“Nel 2007 ero vicepresidente di EMI – prosegue Fabrizio – crescevo come titolo ma non mi divertivo più: si parlava sempre di numeri, fatturati, bilanci, licenziamenti... eravamo costantemente intenti a ridurre il personale, o convincere gli artisti di progetti di cui io ero il primo a non essere convinto. Un giorno, parlando di questa situazione con Tiziano Ferro, mi propose di lasciare il lavoro e diventare suo manager. Una proposta non facile da accogliere: dopo tanti anni in discografia era un lavoro del tutto nuovo, ma stimavo così tanto Tiziano che decisi di accettare la sfida, lasciare il mio posto di vice-presidente e lasciare tutto quello che avevo costruito in quel settore. Improvvisamente mi trovai solo: non avevo più un’organizzazione alle spalle, dovevo fare tutto io, da pagare le bollette a guidare il motorino, visto che non avevo più la macchina aziendale con l’autista. Sono sincero: in seguito ho ricevuto diverse proposte per tornare in discografia, ma non le ho mai accettate, ed oggi sono davvero felice di questo, perché faccio un lavoro che amo, lavoro con gli artisti che mi piacciono, artisticamente ed umanamente, mentre prima dovevo lavorare con tutti quelli che mi imponeva la casa discografica. Oggi seguo Tiziano Ferro, Nina Zilli, una nuova artista per me eccezionale, e Giorgia. Con loro ho un confronto genuino, magari si discute, ma poi si porta avanti insieme il percorso scelto con entusiasmo.

“Qualche tempo fa – ci svela Fabrizio – Eros Ramazzotti mi ha chiesto di dargli una mano, quando era a fine corsa del disco precedente. Ci siamo frequentati per un anno, ma più andavamo verso il nuovo disco più crescevano le divergenze: Eros è una bravissima persona, ci passerei insieme le vacanze e ci andrei a giocare a pallone, ma purtroppo sul lavoro eravamo su frequenze diverse e non ci capivamo; gli ho fatto firmare un contratto molto importante in Universal, ma poi non eravamo fatti l’uno per l’altro e le nostre strade si sono separate. Ecco, vedi: se io avessi lavorato con una casa discografica non avrei potuto fare questa scelta di non lavorare con lui”.

Fabrizio, com’è cambiata oggi la discografia rispetto a 20 o 30 anni fa?

Negli ultimi anni la discografia, per quanto io mi reputi un discografico, è veramente una tristezza: non si fa più scouting, ci sono solo dei passacarte che soprattutto non ascoltano musica! Incredibile, ma negli uffici delle case discografiche non si ascolta musica! Negli ultimi dieci anni gli artisti che emergono sono quelli dei talent show, ed i discografici fanno a gara per andare in televisione a fare i giudici in questi programmi. La verità è che non hanno avuto il coraggio di puntare su artisti con percorsi diversi, ed oggi in classifica ci sono solo i giovani che vengono dalle televisioni; sono artisti usa e getta: ne lanciano 30 ma ne rimangono tre e solo per un po’, con dischi fatti in 20 giorni, con l’unico obiettivo di rispettare le uscite.

Secondo te quanto serve per produrre un bel disco?

Non c’è un tempo standard, ma certo 20 giorni sono pochi! Con Giorgia lavoriamo al nuovo disco da due anni, ed uscirà a novembre; con Tiziano lo stesso, perché serve tempo, serve tempo. Prendi ad esempio Chiara di X‑Factor: per me era un’artista interessante, ma le hanno fatto fare un album in 20 giorni per andare a Sanremo, con dei video sbagliati... ed hanno quasi bruciato un’artista potenzialmente fortissima, compresi gli spot della TIM che non sono stati una buona scelta per la sua crescita.

Manca il budget o la cultura musicale e artistica?

Tutti e due. Non ci sono più soldi da investire nei giovani (come fanno le squadre di calcio, per capirci, dai cui vivai poi escono i talenti). Ma se non c’è budget è altrettanto vero che c’è anche molta pigrizia, perché i talent show hanno ribaltato, in negativo, il nostro lavoro: una volta prima diventavi famoso e poi andavi in TV, oggi prima vai in TV e poi diventi famoso... e spesso è una gloria vana. Perché, vedi, l’artista deve sempre essere un po’ misterioso, non voglio vederlo piangere con la maglietta di Amici! Una quantità inusitata di promozione è deleteria, io preferisco la qualità; invece oggi contano solo le apparizioni televisive, più ne fai meglio è, si crede, ma non è così! Prendi Fabi Fibra, per me il numero uno: lo vedo ad Amici e mi demoralizzo! Vederlo fra i palloncini e le magliette colorate mi deprime, perché è fuori luogo, speravo che qualcuno resistesse. La TV e la fretta stanno facendo parecchi danni. Se un artista è forte può anche sbagliare un disco, come accadde a Ligabue col suo terzo LP, ma se ha del talento vero poi emerge di certo. Una forte come Chiara, se gestita meglio, sarebbe andata certamente più lontano. Ed infondo proprio questo è il compito del manager.

Potere delle radio e “operazione Modà”: cosa ne pensi?

Certo che se i principali network italiani si mettono insieme possono imporre chi vogliono, hanno un potere enorme, ma d’altra parte ognuno può fare come gli pare. Io comunque non sono un esperto di anti-trust e non saprei cosa dire nello specifico. Certo che oggi le case discografiche non offrono più molto alle radio, le quali hanno acquisito molto più potere, e io metto fra quelli che questo potere glielo hanno dato, perché anch’io andai a Radio 105, ai tempi, per supplicarli di passare Ligabue!

Si parla di crisi del disco, ma la gente per i concerti spende molto di più!

Sì, c’è la crisi: ma la gente spende anche 40 o 80 euro per andare al concerto del suo beniamino; eppure la stessa gente non è disposta a pagare 99 centesimi per un brano, e questo, a prescindere dalla crisi, è una questione di mentalità. Il live non si può duplicare, è un evento unico, il brano si può rubare. C’è però di buono che oggi la musica ha più presenza di un tempo nella nostra vita, c’è ovunque. Per paradosso ne usufruiamo di più ma la paghiamo di meno.

L’attività live nel bilancio di un artista è diventata economicamente più importante del disco?

Per i miei artisti ancora no, ma ci siamo vicini, ed in futuro chissà... Poi bisogna anche vedere cosa vuoi fare: a me e Tiziano non piace l’idea di fare 60 date in Italia, perché non ci sono i contesti giusti, ed ovviamente, riducendo le date, si riducono anche le entrate e si alzano i costi di ammortamento della produzione. Inoltre le agenzie si stanno allargando, perché iniziano a chiedere i diritti per il merchandising, per gli sponsor... il live è un giro d’affari molto importante e supererà probabilmente l’aspetto discografico, sempre che la discografia non si inventi qualcosa di nuovo.

Come si fa a trovare il giusto equilibrio fra la personalità dell’artista, di solito molto forte, e la personalità del manager?

Io non faccio e non voglio fare PR con i miei artisti, perché con loro c’è un rapporto di grandissima onestà e trasparenza, ci capiamo al volo senza nemmeno parlarci: stima, fiducia, rispetto ed educazione, se c’è questo c’è tutto. Inoltre io non soffro di gelosia verso gli artisti, e viceversa. Vari manager hanno approcciato i miei artisti, ma la cosa non mi ha interessato troppo, perché io non vivo con gli artisti, non ho l’ansia di controllarli, per me il manager non è un accompagnatore: io metto a disposizione la mia esperienza, ma fare l’accompagnatore non fa parte del mio lavoro; è chiaro che se poi l’artista ha piacere che io vada con lui da qualche parte ci vado volentieri, ma non ho certo l’ansia di non lasciarlo da solo per paura che incontri un altro manager! Tiziano e Giorgia sono certo appetiti da tanti colleghi, ma a me non importa. Certo evito di fare quelle cose che so non gli farebbero piacere, così prima di iniziare a lavorare con un altro artista chiedo sempre un confronto: quando ad esempio ho proposto a Tiziano di lavorare con Giusy Ferreri, abbiamo scelto di produrre insieme il suo primo disco (e solo quello) che poi ha venduto mezzo milione di copie. Anche prima di lavorare con Giorgia mi sono confrontato con Tiziano, per una questione di rispetto; ed ovviamente non potrei mai avere assistiti artisticamente simili a Giorgia o a Tiziano. Credo che gli artisti capiscano che per me il denaro arriva dopo: prima viene il progetto artistico e poi arrivano i soldi. Se oggi io reputo che un disco non è pronto, che non è fortissimo come dovrebbe essere, preferisco spostare tutto, uscita e tournée, pur di non rischiare il nome e la faccia dell’artista, anche se questo significa rinunciare a degli introiti economici immediati. Ci vuole rispetto per il denaro, nessuno lo disprezza, ma non si può far del male ad un artista per dei soldi, e questo è fondamentale.

E di fronte alle divergenze?

È una cosa a cui lavoro da sempre anche da discografico. Io prima di tutto sono una persona educata, quindi per prima cosa non mi permetto mai di offendere nessuno, ma di motivare le mie idee. Con Tiziano non ci siamo mai trovati in disaccordo su scelte importanti, tipo un singolo o un video, magari sul quinto singolo ci possono essere delle divergenze, ma mai su scelte determinanti. In quel caso magari vinciamo un po’ per uno. Tiziano è una persona molto molto intelligente, è davvero bravo e capisce la realtà. Con Giorgia invece c’è un rapporto totalmente diverso: lei mi dà totale fiducia: le discussioni con gli artisti si fanno normalmente sulla scelta dei singoli, ma lei lascia chiaramente fare a me... oppure un altro elemento di discordia sono il look e le copertine, la grafica, e su quello io sono molto attento, ma ad esempio la copertina di Giorgia dell’anno scorso l’ha scelta lei, mentre io ho scelto il titolo dell’album.

Ricordo, a proposito, un episodio buffo: io ero ancora discografico, Tiziano venne insieme a Michele Canova, il produttore artistico, con i provini di un pezzo che mi lasciò sconvolto! Tiziano ancora ride ricordando la mia faccia mentre ero appiccicato al muro cercando di inventare qualcosa di diplomatico da dirgli! Adesso quel pezzo è un classico del suo repertorio e piace tantissimo! E poi io non so dire le bugie... appena dico una balla mi scoprono subito! Anche perché non ho la pretesa di essere infallibile, anch’io ho fatto un sacco di errori: in un ufficio avevo una finta porta dove tenevo tutti i progetti miseramente falliti, tipo “scheletri nell’armadio”!

In base a cosa con gli artisti preferite un’agenzia per il live piuttosto che un’altra?

Ci sono tanti fattori, come il modo di lavorare e lo stile, poi ovviamente le economie, quanto investi sulla produzione, il trattamento verso l’artista, che deve essere messo a proprio agio. Ma ad alti livelli parliamo di dettagli: alla fine quello che conta davvero è il rapporto umano. Io vado spesso a vedere i concerti italiani e stranieri, perché per me il live è un mondo nuovo, che ho approfondito da quando mi occupo di management, e sto scoprendo l’importanza degli stili delle varie agenzie e la presenza del manager sull’artista.

Cosa rispondi a chi accusa gli artisti di chiedere troppo denaro sottraendo risorse per la sicurezza dei lavoratori?

È un’accusa che mi lascia perplesso, perché non sono in grado di dirti se davvero vengano sottratte risorse alla sicurezza, ma francamente non credo assolutamente che ciò accada: stiamo parlando di agenzie al massimo livello che non rischierebbero mai in questo senso. Se noi scoprissimo una cosa del genere ne saremmo indignati, perché non si scherza sulla vita dei ragazzi e perché, alla fine, è il nome dell’artista che va avanti per primo, come quando trovarono dei posteggiatori di un palazzetto in nero ed i giornali parlarono di “lavoratori in nero” nella produzione dell’artista! Assurdo. Comunque ben vengano i controlli, noi siamo i primi a volerli.

Ritieni più importante il cachet dell’artista o l’investimento sulla produzione?

L’artista vuole prima di tutto la produzione bella ed innovativa, tanto che a volte alcuni artisti aggiungono risorse proprie al budget del tour pur di avere certe cose, come Giorgia che ha voluto i laser nello spettacolo e se li è pagati da sé. Il cachet è importante, ma l’artista vuole principalmente far felice il proprio pubblico, quindi la produzione è più importante. Poi dipende dall’artista: Springsteen può fare San Siro chitarra e voce, Beyoncé ha bisogno di uno show pazzesco, fa parte del suo personaggio.

Nel live è più importante il suono o la scenografia?

La parte audio è la cosa più importante di tutte: la gente che viene deve sentire da dio della gente che sa suonare, quindi band e diffusione audio sopra ogni cosa, poi tutto il resto in base ai soldi che rimangono. Band, impianto audio e fonico devono essere il massimo. Quando a un concerto sento male mi viene il mal di stomaco. Devo dire che De Luca di Live Nation, durante l’ultimo tour – non a caso “Best Show 2012” per la vostra rivista – è stato davvero brillante: a Roma volevamo fare qualcosa in più rispetto a quanto già progettato e lui, senza guardare ai costi, ha portato fiamme alte 20 metri e coriandoli, quelle cose che sembrano stupidaggini ma che aumentano tantissimo il valore aggiunto del concerto. Inoltre, progettando il lo show, non ci ha mai detto “questo non si può fare perché costa troppo”, pur rispettando le economie che avevamo a disposizione.

Arriviamo al nostro tormentone finale: il sogno nel cassetto di Fabrizio Giannini?

Mi ritengo molto fortunato sia con il lavoro sia per la mia famiglia, sono convinto di avere gli artisti più forti che ci siano in Italia e non li cambierei con altri artisti italiani; ecco: forse mi stuzzica l’idea di lavorare con un artista straniero di livello internazionale, sarebbe una sfida tosta, in un mondo nuovo tutto da scoprire. E a me piacciono tanto le nuove sfide!