Dardust

S.A.D – Storm and Drugs

Dardust

di Douglas Cole

Il 22 febbraio del 2020 eravamo invitati alla data zero di una tournée molto particolare: l’autore e produttore di grande successo nella musica italiana Dario Faini portava sul palco un progetto musicale firmato Dardust, uno dei suoi pseudonimi. La produzione si prospettava molto interessante, anche perché si trattava di un evento un po’ diverso rispetto ai consueti concerti pop/rock. 

Ma il 21 febbraio del 2020 le voci preoccupanti di una situazione sanitaria pericolosa erano in un crescendo infinito e il nostro direttore ci ha preventivamente vietato di viaggiare, anche solo a Bologna, per andare al concerto. Il nostro disappunto si è attenuato quando proprio il 22 febbraio è uscito il primo DDL con i divieti di spostamento e la dichiarazione dell’emergenza sanitaria. Quella sera lo show si è svolto lo stesso, senza di noi, ma la data zero è rimasta a zero con la successiva cancellazione della tournée. 

Quando a distanza di 15 mesi Stefano Luciani, direttore di produzione per BPM Concerti, ci ha informati della ripartenza del tour e delle prove generali in teatro ad Ascoli Piceno, per noi è arrivato veramente un segnale di speranza e la possibilità di ricominciare da dove ci eravamo fermati prima dei mesi di buio all’ombra di Covid. 

Dario Faini è un autore e produttore con una lista di crediti discografici impressionante, in particolare negli ultimi sei anni. Non li stiamo a elencare qui; è sufficiente dire che è letteralmente impossibile aver vissuto o visitato l’Italia dal 2016 a ora senza aver sentito multipli brani firmati da lui come autore o produttore. Un piccolo esempio: nelle ultime tre edizioni di Sanremo sono stati presentati otto brani scritti, co-scritto o prodotti da lui, compresa la canzone vincitrice nel 2019, Soldi di Mahmood, successivamente aggiudicatasi il secondo posto a Eurovision 2019. 

Dardust, invece, è un compositore, pianista e performer che combina stili tra neoclassica, minimalista con le più svariate vene di elettronica. Il terzo album di una trilogia concettuale di dischi strumentali è Storm and Drugs, uscito a gennaio del 2020. Il nome è una storpiatura in inglese del termine tedesco Sturm un Drang (tempesta e impeto), movimento filosofico del XVIII secolo che ha fortemente influenzato il Romanticismo tedesco. Se una parte del compositore Faini si è occupata della produzione del tormentone estivo Riccione, dei TheGiornalisti, sembra che l’altra parte abbia tutt’altro per la testa.

Infatti lo spettacolo omonimo “Storm and Drugs” è quasi didascalico al concetto di tempesta e impeto. Si divide in due movimenti distinti in termini musicali e visivi: una tempesta in arrivo che si scatena, seguita poi dall’impeto di una musica fortemente ritmica e degna dei migliori performer EDM.

Arriviamo nel pomeriggio appena in tempo per le prove generali – un run-through completo con piena produzione – al Teatro Ventidio Basso ad Ascoli. Questo show, ci ha spiegato in anticipo Stefano Luciani, oltre a concludere le prove, si svolge solo per gli addetti al lavori ed è un’ulteriore possibilità di filmare e fotografare la produzione intera com’è stata concepita per i locali al chiuso. Purtroppo, alcuni degli effetti speciali costruiti appositamente sarebbero impossibili da utilizzare nel circuito di festival outdoor, le uniche venue al momento disponibili.

Essendo una prova generale pomeridiana, in questa insolita occasione abbiamo la chance di vivere lo spettacolo prima di parlare con i tecnici. E lo show ci lascia – oltre che impressionati – con parecchie domande. 

Stefano Luciani – Direttore della produzione

“Con Dario – racconta Stefano – ho fatto il fonico diverso tempo addietro. Poi ci siamo rincontrati circa due anni fa: Dario aveva fatto il suo importante percorso e io lavoravo come direttore di produzione per BPM. Così abbiamo cominciato a costruire insieme questo show. 

“In questo momento Dario, che nasce come autore, è tra i più importanti produttori in Italia, parallelamente promuove anche questo progetto musicale. Lavora ad altissimi livelli in più ruoli, perché è una persona con un modo di lavorare molto attento al dettaglio. Ha idee molto chiare e cura tutto al millimetro. È molto stimolante lavorare per un artista così, perché occorre mettersi sempre in discussione, trovare sempre nuove soluzioni… è impegnativo e faticoso, ma abbiamo scelto questo lavoro perché cerchiamo nuovi orizzonti.

“Come sapete, abbiamo concepito lo show per partire la primavera scorsa per una serie di date nei club. Ma dopo la data zero a Bologna i locali sono stati chiusi per la pandemia. Adesso, invece, ripartiamo in una configurazione per esterno con una dozzina di date, per lo più in festival. La produzione outdoor non è troppo diversa, ma mancano alcuni elementi scenografici difficili o impossibili da replicare all’esterno. Diciamo che lo spettacolo rimane uguale per l’85% dell’allestimento.

“Questo show di oggi – aggiunge Stefano – aperto solo agli addetti ai lavori, era una semplice prova generale. Abbiamo rifatto l’allestimento dopo un anno di fermo e ci serviva in ogni caso una settimana di prove. Poi abbiamo rimontato gli effetti speciali – la pioggia e le foglie – che non verranno utilizzati all’aperto perché li abbiamo trasformati in contributi video”. 

Come avete lavorato per costruire questo show così particolare? 

Tutto è nato in un confronto molto forte con l’artista. Dario ha delle idee molto chiare. Il suo obiettivo è di fare dello show una vera e propria esperienza emozionale, cercando di portare il pubblico dentro la musica dell’artista, anche grazie agli effetti speciali: la cascata della pioggia, le foglie che volano, tutto il disegno luci studiato ad hoc. Abbiamo coinvolto Paolo Fossataro che ha lavorato molto vicino all’artista per creare sia il disegno delle luci sia la scenografia. Si è affiancato al lighting designer/operator Pietro Cardarelli, che lavora con l’artista da tempo, poi è subentrato Marco Malatesta che ha fatto tutta la programmazione, perché lo show è interamente sincronizzato in SMPTE, sia video che audio. 

I contributi video sono stati curati dal visual artist Luca Silvestri, che ha fatto da art director, poi quattro o cinque persone hanno lavorato per produrre i contributi. Hanno deciso di mettere delle riprese alla fine dei contributi di ogni persona che ci ha lavorato, un riconoscimento voluto fortemente dall’artista. 

È stata una sfida produrre questo show. Dario aveva moltissime idee e abbiamo dovuto centrare, trovare modo di realizzarle e farle entrare in un budget sostenibile. Non stiamo facendo dei palasport, ma c’è la volontà dell’artista di investire molto nel live e l’agenzia ha sostenuto questa scelta. 

Abbiamo fatto un lungo lavoro di produzione, molto curato nei dettagli. È tutto molto concettuale, per esempio nella console alla postazione di Dario, la grafica cambia con ogni brano, con una specie di scroller meccanico, ci sono i riquadri con le opere di Caspar Friedrich, il suo pittore preferito, usati anche in vari momenti nei contributi video. Il concept della scenografia è molto coerente per tutto lo spettacolo.

Chi sono i fornitori?

Le luci, il video e l’audio sono tutti di Audioextreme di Parma, di Giovanni Rosati. 

Che configurazione portate in tour?

Giriamo con praticamente un ¾ di produzione: abbiamo tutte le luci floor, tutto il backline e tutta la scenografia con i supporti customizzati da Paolo, abbiamo un LED wall e poi le regie. Per questo tour nei festival, ovviamente, troveremo l’audio main e le luci del tetto sul posto. 

Ad Ascoli, all’aperto, avremo il nostro PA, un sistema Adamson, perché è già qui, ma troveremo un sistema di luci residente, lo stesso usato in tutta questa settimana.

In tour gireranno una decina di persone: fonico di sala, datore luci, due persone del service, i due musicisti, Dario, il driver di Dario e io che coordino la produzione. I mezzi sono una motrice per i materiali e poi alcune auto, perché partiamo tutti da diverse parti d’Italia.

Come risponde il pubblico ad un concerto di questo tipo in questo periodo? 

Domani è sold out e le prevendite per le altre date stanno andando fin adesso discretamente bene. Seppur l’artista abbia fatto anche dei grandi numeri all’estero, qui in Italia questo è un progetto forse ancora da considerare di nicchia, rispetto a un cantautore mainstream. Comunque, nel frattempo, abbiamo partecipato a Sanremo come ospiti il sabato sera del Festival: nonostante sia stato un anno difficile dall’uscita dell’album, Dardust ha comunque avuto dei momenti di visibilità interessanti. 

Quali sono le precauzioni anti-covid che voi, come produzione itinerante, dovete adottare? 

Nel nostro Safety Book, formulato da un apposito ingegnere per la sicurezza in tour – c’è un nuovo capitolo dedicato completamente alle norme anti-pandemiche e alle misure necessarie da adottare… come qualsiasi altro tipo di rischio nelle produzioni. C’è una linea guida per le varie situazioni. I pernottamenti devono per forza essere in camere singole, con numeri limitati di persone nelle auto… tutte considerazioni che in effetti hanno anche un impatto sul budget del tour. Poi per il pubblico c’è l’obbligo della mascherina anche all’aperto, la misurazione della temperatura all’ingresso e massime capienze ridotte a 1000 persone, come da decreto.

Cosa avete dovuto firmare per poter far piovere in teatro? 

L’ingegnere si è divertito. Anche se, ho scoperto, la pioggia è effettivamente meno problematica di altre cose. Anch’io, quando ho chiamato l’ingegnere immaginavo un delirio per poter realizzare questo effetto, invece, visto che rimane in uno spazio contenuto, non ha comportato particolari problemi. 

Infine, come mai avete scelto Ascoli Piceno per le prove? 

Perché Dario è di Ascoli, nonostante abiti a Milano da tanti anni.

Federico Occhiodoro – Fonico FoH

“Essendoci sul palco solo l’artista e altri due musicisti – spiega Federico – seguo dal FoH anche il monitoraggio. Lavoro con l’artista dal 2017, un po’ prima della sua crescita esponenziale. Dario era già in tour e io sono subentrato al posto di Stefano, che ora fa il direttore di produzione. 

“In questo tour, le date per la maggior parte sono nei festival, perciò arriviamo con regia, palco e IEM e troviamo sul posto l’impianto main.”

Innanzitutto, cosa arriva dal palco da mixare? Sembra che ci sia molto suonato rispetto alle sequenze…

Lavoro con 24 canali di suonato e 8 canali stereo di sequenze. C’è molta musicata suonata live: Marcello Piccinini suona un set di percussioni e dei pad elettronici, tutta la parte dei suoni percussivi; Dario suona il pianoforte Nord, più una serie di synth – un Moog, un Korg Minilogue e un Access Virus; Vanni Casagrande suona altri synth e mi manda una serie di stem di sequenze – ampie tracce di ritmica, altra elettronica e delle voci. Tutto quanto si gioca su mixare la parte di sequenze con la parte suonata, cercando di valorizzare la parte suonato dal vivo.

Le sequenze non sono solo cori o aggiunte come nel pop o altri generi: sono una parte importante e molto ben prodotta, come si immagina qualcosa fatta da un produttore come Dario. A quelle non devo fare praticamente niente… solo trovarne il giusto equilibrio. I suoni sono molto belli, molto ben calibrati, c’è un gran crescendo di dinamica e di intensità, la parte delle basse e delle infra cresce con il procedere dello spettacolo. È l’artista stesso che produce questo effetto in preproduzione. 

Un vantaggio è che ci sono pochi microfoni: un paio di condensatori per i piatti, due per Marcello e due per Vanni – perché anche lui suona una parte di percussioni – poi ci sono le percussioni di Marcello: la cassa e il surdo fanno le parti gravi, poi la conga e i bongo. L’ultimo microfono è per la voce di Dario. Diciamo che rischio poco i rientri. 

In realtà, è meno banale di quello che potrebbe sembrare. I suoni sono tanti. Lo stesso Moog o lo stesso Virus possono produrre sonorità completamente diverse. Ho dovuto abituare l’orecchio a ritrovare bene cosa sottolineare nel mix, perché non è un mixaggio tipico della musica elettronica, dove si mette tutto dritto a zero e si aspetta che finisca. C’è stato un attento lavoro, fatto insieme a Dario, in preparazione: devo seguire l’andamento del brano, valorizzando il giusto equilibrio fra le sequenze, che costituiscono una base, e tutti i synth e gli strumenti suonati sopra.

Uso la SD9 in regia e solo il processing interno, sfrutto abbastanza le possibilità di raggruppamento e routing interno, ma con la maggior parte degli ingressi composti di tracce prodotte al massimo del livello, oppure suoni synth della massima qualità, sarebbe superfluo pensare di usare dei plug-in esterni. Non è che non comprimo o non equalizzo, ma lo faccio solo per adattare le sonorità del disco all’impianto e alla sala. 

Presumo che ti sei facilitato questo compito facendo una serie di snapshot brano per brano…

No. È stata una scelta ben specifica. Ero preparato per farlo, naturalmente. Poi, soprattutto durante i primi giorni di prove, mi sono reso conto che in effetti preferisco seguire il flusso della musica anche all’interno dello stesso brano. Lavorando con l’artista dal 2017, conosco ormai i pezzi e preferisco seguire in questo modo. Mi è rimasta la possibilità di fare delle snapshot per i loro ascolti. Poi abbiamo preso un’intera mattinata per curare le loro cuffie e ci siamo resi conto insieme che, in effetti, trovati i livelli anche per gli ascolti – con qualche piccolo aggiustamento durante lo show – preferisco farlo alla vecchia maniera, segnandomi sulla scaletta quei due o tre aggiustamenti.

A dire la verità, uso un paio di macro, che la DiGiCo mi permette di fare, in due brani che richiedono parecchie regolazioni, poi torno alla configurazione precedente. Perché in un certo momento la snapshot fa comodo, ma è un elemento in più da tenere sotto controllo e una potenziale fonte di problemi. In un contesto in cui c’è anche l’SMPTE effettivamente potrei semplicemente mandare avanti le scene, però preferisco seguire la musica. 

L’SMPTE è usato essenzialmente per la sincronizzazione di luci e video. Vanni, oltre a gestire le sequenze, manda il timecode che arriva a me e che io rigiro a luci e video. In più dalla sua postazione esce una serie di stream MIDI con i quali triggera i cambi di scena e i cambi di programma dei synth di Dario e dei suoi. Quindi tutta questa parte è sincronizzata in timecode. Abbiamo un computer di backup e cablaggi ridondanti per tutte queste funzioni. 

Poi devi gestire anche il monitoraggio…

Tutti i musicisti usano un monitoraggio stereo in-ear, Shure PSM1000. In aggiunta abbiamo dei sidefill nei quali mando giusto un po’ di ritmica, perché ogni tanto Dario toglie uno degli auricolari… anche se lo fa sempre di meno. Questi servono anche per fargli sentire un po’ di movimento fisico dell’aria sul palco, in particolare durante i pezzi più spinti. Come ascolti, ognuno ha un mix piuttosto completo. In realtà Dario privilegia il suo suonato – piano e synth – così come Vanni e Marcello i loro mix. Un mix di monitoraggio comunque piuttosto rifinito. 

Da sx: Marco Malatesta, programmatore luci; Paolo Fossataro, stage & lighting designer; Pietro Cardarelli, lighting designer.

Paolo Fossataro – Stage & Lighting designer 
Pietro Cardarelli –
Lighting designer 
Marco Malatesta –
Programmatore luci

Raggruppiamo i tre responsabili della scenografia, effetti e illuminotecnica per una chiacchierata sullo show visivo. Cominciamo con il nostro amico di vecchia data, Paolo Fossataro.

“Il progetto – racconta Paolo – è partito subito dopo il Natale del 2019, quando mi hanno chiesto di prendere in mano la scenografia di questa produzione e di creare qualcosa che si potesse anche portare in giro nei club, allora si pensava a un tour europeo. Abbiamo avuto una serie di incontri e l’impronta era la ‘tempesta’. Dario è una figura molto presente in tutte le decisioni e in tutta la programmazione. È stato di fianco a tutti notte e giorno, seguendo tutto per filo e per segno. L’idea era di creare un set con un aspetto molto naturale – anche se è tutto di ferro. Ci dovevano essere degli alberi, con l’idea iniziale di fare un albero in mezzo, ma abbiamo capito che il modo migliore di abbracciare il pubblico era di distribuire questo concetto per tutto il palco. Così perfino i supporti per gli strumenti sono customizzati in ferro con forme organiche.

“Ci sono delle soluzioni altamente tecnologiche – continua Paolo – e altre molto più rudimentali. Abbiamo fatto piovere, ma in modo molto semplice: ci vogliono poche nozioni di idraulica per far piovere, per il resto ci pensa la forza di gravità! Come sempre ho cercato di trovare le soluzioni per gli effetti più compatibili con il budget e con la praticità. 

“Parlando di luci, partiamo da un assetto prevalentemente a terra. Di fondamentale importanza per lo show visivo sono i contributi video, perciò c’è una schermo dietro da 3 m × 6 m. Il tetto in verità è come se non ci fosse, perché a parte i cinque beam che fanno i controluce, i proiettori in alto saranno quelli che troveremo nelle varie venue in cui andremo a suonare quest’estate. Poi, vista la natura precisa e sincronizzata dello show, abbiamo lavorato parecchie notti per mettere a punto i 2000 e passa cue dello show, per quanto riguarda luci e video quasi completamente in SMPTE, e per quanto riguarda gli altri effetti rigorosamente a mano: i pochi effetti speciali sono veramente classici effetti teatrali.

“A parte il set e il disegno – ho deciso io dove posizionare le sorgenti – la programmazione è farina macinata da tutti insieme: Marco ci ha messo la parte tecnica, Pietro ha l’esperienza con la musica perché segue Dario da sempre e ha una sensibilità simile a quella dell’artista. 

“Per quanto riguarda le scelte dei proiettori – ci spiega Pietro – a terra abbiamo dei Robe Pointe e degli Spiider, oltre agli X5 SGM nel ruolo di strobo. Il lavoro importante era ricreare quella sensibilità e quello stile che abbiamo sempre cercato negli show di Dario.

“Soprattutto nella prima parte, lavoriamo su delle atmosfere più ‘eleganti’ o comunque legate a un immaginario della pittura del Romanticismo tedesco del 1800, riprendendo i quadri di Friedrich e usando le macchine per cercare di ricreare quelle suggestioni pittoriche. Le opere che si vedono usate e manipolate nei contributi video di Luca Silvestri sono sempre di Friedrich. Questo ci ha portato a usare la tecnologia per creare una visione antica e tavolozze naturali durante la prima parte dello show, con un’iconografia ricercata; la seconda parte è invece più ritmica, con accenti e immagini associati all’elettronica moderna. Questa seconda parte ci lega anche agli show precedenti dell’artista ed è costruita per far divertire il pubblico.

Sembra una grande sfida creare delle scene studiate e raffinate senza frontali, senza tagli e con proiettori a terra quasi tutti in controluce…

Esatto – risponde Pietro – ci sono anche, sparsi nella scenografia, dei Pixelbar Showtek che anno una luce molto “chimica” e che sono molto più legati alla seconda parte dello show, ma aiutano anche con le scene più statiche della prima parte.

Marco, invece, ci spiega l’aspetto tecnico del controllo dello show: “Stiamo usando una grandMA3 compact XT, rigorosamente usata in modalità grandMA2, perciò solo la superficie è MA3. Per il trasporto, stiamo utilizzando switch a fibra ottica HP ProCurve, a 24 porte, tra sala e palco. Siamo connessi in fibra con due trunk a 10 Gbit; abbiamo main e backup, nel caso di guasto, e usiamo due VLAN separate per MA Net e Art Net. Sul palco c’è un nodo Art Net di Luminex, LumiNode12.

“Lo show – continua Marco – è costruito per potersi adattare ai parchi luci appesi che troveremo nei vari allestimenti dei festival. Quindi possiamo fare tutto il lavoro di cloning per aggiungere il necessario alla sincronizzazione del nostro show, senza andare a intaccare la parte artistica iniziale, prevalentemente progettata per usare solo le luci del floor. 

“Abbiamo impiegato due o tre giorni per la programmazione a casa con il visualizzatore, oltre a un paio di notti in compagnia di Dario, il quale ci tiene a essere presente nella progettazione della parte artistica dello show visivo. 

“Sia il video sia le luci sono sincronizzati in timecode. Lo show si svolge in sei blocchi di timecode che vengono lanciati da Ableton sul palco e passati in MIDI alla regia audio e poi sincronizzati con noi.

“Il timecode – aggiunge Marco – scorre dall’inizio alla fine dello spettacolo, consentendo di sincronizzare qualsiasi cue o accento a qualsiasi momento dello show. Questa cosa ci ha preso un po’ la mano durante la programmazione e siamo arrivati a oltre 2000 cue”.

Alessandro Rosati (sx), responsabile tecnico per Audioextreme, e Giovanni Rosati, titolare.

Alessandro Rosati – Responsabile Audioextreme

“Per la tournée – ci dice Alessandro – supportiamo la produzione con il parco e la regia luci, il LEDwall Wave&Co con passo 2,9 mm, il sistema intercom, due cannoni spara-corriandoli e l’audio del palco e della regia. 

“Per l’allestimento qui ad Ascoli, per le prove e la data zero, abbiamo anche fornito l’impianto main Adamson. Il sistema qui in teatro è abbastanza essenziale, mentre nella piazza, domani, sarà composto da un totale di 24 elementi S10: due array di dieci diffusori per lato, più quattro per le prime file. I side sono coperti da un paio di P12. Per le basse frequenze, abbiamo 16 sub S119 in configurazione end-fire, così da stringere il fuoco dei sub ad arrivare sino in fondo alla piazza. Gli S10 sono pilotati da quattro ampli Lab.gruppen PLM 12k44 e i sub da due PLM 20k44. 

“Per il trasporto tra sala e palco abbiamo utilizzato due switch HP ProCurve collegati l’uno con l’altro tramite fibra ottica multi-modale. Gli switch sono stati configurati in maniera da avere quattro VLAN separate, così da compartimentare i flussi di rete per ogni utilizzo: luci, audio, intercom e controllo del LEDwall. 

“Per la comunicazione tra tecnici utilizziamo i sistemi di comunicazione Green-Go. Disponiamo per il tour di quattro Beltpack X wireless e un’interfaccia a quattro fili per la comunicazione con il fonico, direttore di produzione e per avere un feedback direttamente dal microfono di Dario”.

Lo show

È sempre un piacere e una meraviglia vedere uno show ambizioso costruito ed eseguito secondo una visione chiara e con una cura millimetrica. Merita ancora più stima quando si tratta di una produzione di dimensioni umane e senza un budget da stadio, con l’utilizzo delle risorse ottimizzato per ottenere risultati fuori misura. 

Per quanto riguarda il programma, il concetto di “Storm and Drugs” rappresenta i due fondamentali tempi del concerto. Un messaggio scritto inizia lo spettacolo, incoraggiando il pubblico a rimanere fermo a contemplare il primo movimento “tempesta”, e di muoversi in piedi a piacimento per la sezione “drugs”. Come descriviamo questa progressione musicale e visiva? Per fare qualche paragone con il mondo musicale – e lo intendo assolutamente come complimento – potremo affiancare lo show una serata con Vangelis e i Sigur Ròs che aprono un concerto dei Chemical Brothers. 

La “storm” arriva e si svolge con un coinvolgente minimalismo pilotato da pianoforte ed elettronica, lunghi pad di sintetizzatori e cambiamenti graduali musicali e visivi, crescendo fino a un picco di vento, lampi, “tuoni” (non cascando nella banalità di effetti sonori ma più accennati nella musica) e pioggia. Questo, come ogni tempesta passa con un sollevante denouement e il ritorno della calma. Questa sezione rappresenta un vero e proprio viaggio per l’ascoltatore. I paesaggi di Friedrich nei contributi video, alcuni gradualmente manipolati, aiutano a creare l’atmosfera di “tranquillità inquietante” giusta rappresentativa del meteo inclemente.

È in questa sezione che vengono giocati gli effetti pratici e la maggior parte delle trovate. Con l’illuminazione fornita per lo più dallo schermo in fondale, insieme a proiettori a terra in controluce, gli effetti delle foglie nel vento e poi della pioggia si mischiano con l’effetto totale in modo armonioso, senza protagonismo, sono efficaci senza diventare il centro dell’attenzione. Durante questa sezione viene usato anche l’effetto dell’artista che prende in mano i raggi di un laser multi-beam, già visto e rivisto, ma non del tutto fuori posto. Forse un fumo più fitto poteva aiutare questo momento.

Il secondo movimento dell’opera, “drugs”, cambia il tono in modo drastico, introducendo ritmiche più spinte sempre più dinamiche nelle basse frequenze (infatti parti nascoste del vecchio teatro all’italiana si sentivano vibrare in simpatia attraverso le porte delle gallerie). Anche qui non mancano le trovate interessanti, per esempio un intero pezzo molto efficace con rullanti da campo suonati dai tre musicisti sul palco insieme a una cornamusa e gli stessi musicisti moltiplicati in video e sequenze. I rullanti sul palco dotati di proiettori a LED all’interno, sincronizzati con il resto, sono una ciliegina sulla torta di questo momento. Una piccola critica, giusto come segnalazione: ovviamente i cambi di costumi durante lo show rendono molto meno in un contesto di illuminazione senza frontali o tagli. In un altro momento culmine, i cannoni sparacoriandoli annuvolano la scena di farfalle colorate… dove gli effetti pratici della prima parte sono volutamente sottotono, questo invece è piacevolmente esagerato.

Di nuovo, l’attenzione al dettaglio va anche oltre quello che potrebbero notare parecchi spettatori: ad esempio la postazione del pianoforte di Dardust, quasi perpendicolare al pubblico, ha una grafica che cambia secondo il brano, coordinata con la scenografia; questo effetto non è realizzato con uno schermo o con dei LED, ma con immagini disegnate su un telo, cambiate con uno scroller motorizzato. 

Preso nel suo complesso, lo spettacolo è un’esperienza da vivere di persona, perché nessuna fotografia o ripresa potrebbe rendergli giustizia. 



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