Antonio Paoluzi

Da grande voglio fare quello del PA

paoluzidi Alfio Morelli

Un lavoro raccontato da chi da tempo lo fa con successo: Antonio Paoluzi.

Chi si occupa dell’impianto audio? Qual è il ruolo del system engineer? e quello del PA manager? e quello del PA man? Cerchiamo di capirlo con Antonio Paoluzi, ormai da anni fra i più quotati professionisti italiani.

Iniziamo col dire, per i neofiti, che l’acronimo PA sta per “Public Address”, cioè quella parte dell’impianto di diffusione audio destinata a sonorizzare il pubblico; diversa, ad esempio, dal monitoraggio di palco, ed ovviamente di vitale importanza per la buona riuscita del concerto. A gestire questo aspetto troviamo diverse persone in differenti ruoli, sui quali non sempre c’è la necessaria chiarezza, anche perché la terminologia adottata è prevalentemente quella inglese. Vediamo quindi di fare chiarezza: si parte dal “Systems Engineer”, cioè colui che ha il compito di progettare l’installazione audio in una determinata location. Questo signore, quindi, disporrà, fra i vari strumenti, di software di simulazione e di CAD per scegliere dove e come meglio posizionare gli elementi del PA che riterrà necessari. Una volta realizzato il progetto, sarà compito del “PA manager” gestirlo al meglio, cioè equalizzarlo, settare gli eventuali delay, interfacciarsi col fonico (sound engineer) e tenere sott’occhio il comportamento della diffusione durante l’intero evento. Attrezzi di questo professionista saranno gli strumenti di controllo dell’elettronica, insieme ad analizzatori software e/o hardware, da Smaart al SIM.

Ma è ovviamente necessario che qualcuno queste casse le monti! È questo il compito dei PA man, degli addetti, appunto, all’installazione fisica dei sistemi audio e di tutto l’occorrente per il loro funzionamento. In Italia raramente i ruoli sono del tutto distinti e spesso il systems engineer è poi anche PA manager (e, nei casi meno evoluti, perfino PA man!) e non raramente responsabile audio nei confronti della produzione.

Ma qual è il percorso professionale da compiere per ricoprire questa delicatissima mansione? In cosa consiste realmente questo lavoro? Quali qualità occorrono? È questo che abbiamo chiesto ad Antonio Paoluzi.

“Sono sempre stato molto interessato alla musica – ci ha raccontato – prima a quella suonata, poi all’aspetto tecnico. Con il passare degli anni mi sono iscritto all’università, facoltà di ingegneria, ma poi per ragioni “morali”, visto che stavo per diventare padre, ho dovuto mettermi a lavorare. Dopo un periodo di lavori tra i più disparati, il mio futuro suocero, che sapeva della mia passione, mi segnalò la pubblicità di un corso per “ Programmatore di sistemi d’automazione musicale” con specializzazione in campionamento, ai tempi detto “Midi Fonico”. Così frequentai questo corso, molto intenso, patrocinato dalla Regione Lazio e dalla Comunità Europea, per 9 mesi, 8 ore al giorno. Finito quel corso, con merito, venni contattato dalla Midiware che mi assunse come specialista di prodotto, cioè colui che tramite telefono cerca di risolvere i problemi degli utilizzatori che hanno acquistato prodotti distribuiti da quel marchio. Nel frattempo, nella loro show room, facevo esperienza nell’uso di tutti i prodotti in catalogo. Iniziai anche ad uscire dalla ditta, facendo consulenze presso i rivenditori o gli studi di registrazione, per poi essere presente anche alle fiere di settore. In quel periodo entrai in contatto con tantissimi personaggi e musicisti di primo livello nel settore della musica, ed un giorno mi arrivò la proposta di Pasquale Minieri, allora produttore musicale di Claudio Baglioni, di andare in tour con loro, come programmatore e backliner. Da cosa nasce cosa: infatti, grazie a quella occasione, conobbi Willy Gubellini di Nuovo Service, che forniva il materiale per quel tour, il quale mi propose di lavorare prima al tour di Zucchero, poi al tour mondiale di Ramazzotti. Accettai dopo aver riflettuto circa un nanosecondo! Per me era un sogno, fare un lavoro che avevo sempre desiderato! paoluzi

Nel ’95 venni contattato da Agorà: ai tempi era già un bel service, ma non il leader incontrastato di oggi. Qui feci la gavetta che mi era mancata all’inizio: iniziai a scaricare i camion, a tirare i cavi, a montare le casse... cose che in verità facevo molto volentieri, perché imparavo moltissimo e completavo la mia formazione. In questo periodo si iniziarono ad usare dal vivo le sequenze e, vista la mia esperienza in quel campo, fui arruolato per il tour con la Pausini in veste di tecnico specializzato sulle sequenze”.

Insomma prima di arrivare al PA occorre una bella gavetta!

Sì, bisogna conoscere bene il mondo in cui vuoi lavorare. Ma il mio primo amore erano sempre i diffusori, tanto che mi appassionai sempre più al montaggio e alla taratura del PA. Qui devo menzionare una figura fondamentale per la mia crescita professionale, purtroppo scomparsa: Pino Melluso, il quale mi iniziò all’installazione dei sistemi Meyer, MSL 3 e 4, poi le più grandi MSL 5, ed anche all’utilizzo del SIM, insomma un vero e proprio maestro. Devo anche riconoscere che nella mia crescita hanno avuto un’importanza fondamentale i fratelli De Amicis, che mi hanno dato tanta fiducia nel provare e sperimentare alcune soluzioni, così come Daniele Tramontani, con cui, nel ’99, feci il corso V‑Dosc in Francia. Se Pino mi aveva insegnato le basi di questo lavoro, Daniele ha raffinato il mio sapere.

Cosa consigli oggi a coloro che vogliono intraprendere il tuo percorso?

Dare consigli può sembrare un atteggiamento un po’ presuntuoso, quindi preferisco fare delle constatazioni che poi ognuno interpreterà come crede. Quando io ho iniziato, il livello medio era molto più basso, in giro per i tour si incontrava proprio “la legione straniera”, una serie di personaggi incredibili; oggi invece si trovano dei ragazzi con una base culturale molto più elevata, tutti più o meno sanno usare un computer e le tecnologie digitali, quindi partono avvantaggiati. Ma quello che rimane alla base del nostro lavoro è sempre lo studio: bisogna continuamente rimanere aggiornati, specialmente in questo periodo in cui il digitale la fa da padrone e le tecnologie mutano da un giorno all’altro. Credo che le parole chiave siano queste:

Passione – È la vera linfa vitale, perché parliamo di un lavoro anomalo che può dare tante soddisfazioni ma che richiede anche tantissimo sacrificio.

Cultura – Bisogna sapere il più possibile di tutta la tecnologia che ci circonda. Altra cosa basilare è la lingua inglese: se non la si conosce abbastanza bene si rimane esclusi dal grande giro.

Umiltà – Avere voglia di imparare, fare tanta gavetta. Bisogna sapere un po’ di tutto, e poi specializzarsi in qualcosa di specifico. Io, per esempio, so stare sul palco perché ho fatto il backliner, so stare giù dal palco perché ho fatto il fonico, tanto che qualcuno ha avuto il coraggio, anche in qualche tournée importante, di farmi mixare. Però la mia passione rimane progettare l’installazione PA e farla funzionare al meglio. Sperando di avere imparato qualcosa e di apprendere sempre di più.