Torri e americane

Chi crede che la serie delle tragedie sia iniziata con l’allestimento di Jovanotti a Trieste sbaglia, e di grosso.

di Stefano Cantadori

Nel numero 67 di questa rivista (settembre 2007) scrissi, con la fondamentale collaborazione dell’ing Daniele Pellicelli, un articolo intitolato “Strutture Strutturate”. Affrontavamo, non senza aver avvisato della serietà dell’argomento, il problema della sicurezza delle strutture. Chi ha buona memoria storica o frequenta questo ambiente da abbastanza a lungo, sa che quell’articolo seguiva, anche se a una certa distanza, una serie di incidenti, alcuni dei quali fatali. Chi crede che la serie delle tragedie sia iniziata con l’allestimento di Jovanotti a Trieste sbaglia, e di grosso.

Siamo recidivi. Sbagliamo sempre e ripetutamente, sempre negli stessi modi, per inciviltà, incompetenza, trascuratezza e faciloneria.
Non mancano le professionalità: manca il metodo per applicarle e renderle efficaci.
Se lasciamo “al mercato”, questo mostro ammazzasette, la responsabilità di applicare norme di sicurezza e procedure che siano sufficienti a garantire l’incolumità degli addetti ai lavori, dovremo aspettare che a una struttura ci resti sotto un artista. Allora sì, che cambierebbero tempi e metodi.
Il mercato non ti porta a salvare vite, ti porta a offrire sempre a meno lo stesso servizio, e vince la gara quello disposto a rimetterci di più, nella speranza che un domani, quando avrà dimostrato non si sa cosa a chi, forse che lui è bravo, troverà commesse remunerative.
Non succede mai. Succede, invece, che chi ha preso il lavoro a una cifra troppo bassa non è in grado di fronteggiare le spese di gestione. Ecco che i montatori vengono scelti in subappalto per scaricare su di loro la responsabilità, ed extracomunitari per avere prezzi da disperazione.


Ero ancora ragazzo e, nelle prime grandi importanti tournée italiane, intendo con service italiani e artisti italiani, chi fisicamente montava palco e copertura alloggiava in carri bestiame. Non so se avessero o meno il permesso di soggiorno, a quei tempi non si vedevano per la strada neri o rossi o gialli. I neri li vedevi in televisione nei telefilm americani o nei documentari. Gli indiani e i pakistani li vedevi anche come manovalanza al circo e nei carri bestiame al seguito di alcuni concerti.
Mi chiedevo già allora come facessero artisti di sinistra e pure i cattolici a chiudere gli occhi, a far finta di niente. Questi schiavi dormivano in letti di paglia nei carri bestiame: ricordo di aver pensato che cosa sarebbe successo se fosse scoppiato un incendio mentre erano dentro a dormire.
Dicevo che queste cose avvenivano quando ero giovane. Dovrebbero essere solo ricordi.
Mi dicevo che l’Italia sarebbe cresciuta, sarebbe diventata un paese civile, e anche il nostro mestiere ne avrebbe tratto giovamento. Sognavo un futuro in cui i lavoratori dello spettacolo, anche quelli live, avrebbero avuto pari dignità con le altre categorie.


Decidete voi che Italia abbiamo oggi. Decidete voi. L’Europa si è allontanata e siamo rimasti indietro, su questo non c’è dubbio.
Vedi, esimio lettore, c’è più di una ragione per cui mi sento tanto coinvolto nelle strutture e nel problema della sicurezza. Millanta anni fa, ero già un vile mercante, mi adoperai per supportare un mio cliente a comprare dall’Inghilterra una struttura usata, americane e torri, che era nientepopodimenochè quella che avevano usato i Genesis. Le torri nel resto del mondo non si usavano quasi più, si appendeva praticamente ovunque, era molto più sicuro. Meno che in Italia. Si stupirono di ciò e ci diedero le torri che erano in disparte da tempo. Chiedemmo anche un paio di loro tecnici per imparare come si faceva, e vennero in tour con il mio cliente. Andai anch’io, volevo imparare. Erano tra le prime strutture in alluminio entrate nel nostro paese.
Le torri stavano ritte su larghi piedi appoggiati sul palco e, orrore, il ring di americane era basculante. Capii molto velocemente che era una situazione di enorme rischio. Pericolo, pericolo! Come sempre, alla produzione andava benissimo così.
Capii che il mondo dello spettacolo aveva bisogno di qualcosa d’altro per tenere su le americane.
Dopo qualche tempo Luciano Vinciguerra mi parlò di un sistema di cui divenni il distributore per l’Italia: si trattava delle prime torri con carrello. Il carrello scorreva sulla torre guidato da ruote in gomma realizzando così un giunto semirigido al quale poi innestare le americane. Fu copiato in tutto il mondo ed ancor oggi non è cambiato nulla. Quello è il modo per il momento più corretto per sollevare le americane.
Parecchi anni dopo, lo stesso cliente realizzò il primo grande tetto in alluminio con copertura in PVC. Rimase in copertina sul catalogo della ditta per anni e praticamente ogni altro costruttore in giro per il mondo lo copiò. Qualcuno all’estero lo fece malamente, introducendo aspetti di pazzia pura, eppure ci fu chi comprò quelle variazioni. L’ignoranza non è solo italica.
Quella grande struttura fu montata con un giorno d’anticipo. Era bellissima, all’Arco della Pace a Milano, rimasi ad ammirarla per ore, nei riflessi dell’illuminazione urbana e nella magia dell’onda lunga della notte.
Ad un tratto, senza altri testimoni, le lunghe gambe si mossero torcendosi come se fossero di gomma. Fu impressionante, mi si fermò il cuore. Il sistema, evidentemente, sottoposto a varie tensioni, le aveva scaricate trovando probabilmente una migliore stabilità.


Mi resi conto che anche questo sistema non era sufficiente e proposi di vincolare le torri fra loro con due giri di americana, a due diversi livelli, ma le mie raccomandazioni andarono inascoltate.
Ci fu un primo incidente in Sud Italia e mi svegliarono durante la notte. La struttura si era sollevata e spostata di un metro. Era rimasta in piedi ma le zampe, in seguito allo spostamento, ricadendo a terra non avevano trovato gli appoggi che pare fossero realizzati con spessori di legno. Era montata in una piazza in discesa, con il fondo irregolare, ovviamente gli spessori erano rimasti dov’erano.
Mi resi conto che l’intera struttura non era stata ancorata a terra, per quanto insieme alla struttura avessimo consegnato le prescrizioni, i cavi d’acciaio e gli accessori per tenderli, vari tipi di piastre con relativi picchetti per il fissaggio a terra e, in caso di mancanza di punti di ancoraggio, era specificato l’uso di zavorre. Non c’era in quel montaggio nessun tirante, nessun ancoraggio, per quanto la piazza fosse esposta al vento del mare e la copertura in PVC era in pratica una vela di 24 x 12 metri.


Qualche giorno dopo i pezzi smontati arrivarono da me a Parma e fu organizzata una squadra di ingegneri iscritti all’albo che controllarono l’integrità di ogni singolo pezzo.
Il tutto fu riconsegnato e allo spettacolo successivo mi recai sul posto con l’ing. Pellicelli. Verificammo che nuovamente non erano stati installati gli ancoraggi a terra e che parecchi conci di torre sembravano non essere stati connessi correttamente. Inviammo uno sherpa di fiducia che si arrampicò sulle torri verificando che una trentina di Camloc non erano stati tirati.

In sostanza, egregio lettore, i problemi erano di due tipi:
-    si sarebbe dovuto impiegare personale
    preparato e responsabile.
-    la struttura era comunque perfettibile.
Verificai a quel tempo che non c’erano le condizioni per garantire la sicurezza secondo i miei standard personali e smisi di vendere strutture. Troppe ne avevo viste prima e troppe ne avrei viste dopo.

Oggi nulla è cambiato rispetto ad allora. Non abbiamo corretto gli errori.
Non solo alla perdita di un sostegno o alla precarietà delle torri sono dovuti gli incidenti. Anzi, siamo al cospetto di una grande varietà di errori tecnici fatti sul posto dai montatori, insieme a circostanze sfortunate. In questo paese, lo ripeto, dobbiamo fare in modo che le competenze, che ci sono, possano essere applicate anche nel mondo dello spettacolo.
Nel precedente articolo citato, l’ing. Pellicelli finiva così: “Ste’ si è dimenticato però di dire che la cosa più rischiosa in assoluto nelle installazioni per spettacoli non sono le travi ‘americane’ bensì gli elementi verticali: torri, torri audio ed insiemi di strutture che formano il telaio. Questo avviene perché sembra manchino nel portafoglio dello spettacolo i concetti di zavorra e controvento. Spesso si trovano elementi strutturali in situazioni di pericolo per ribaltamento”.

Ecco, questa volta il mio contributo di esperienza personale sugli elementi verticali l’ho portato.