Quattro salti in Discoteca

Questa estate la nostra attenzione si è focalizzata sui DJ di musica elettronica che si sono esibiti a pochi passi dalla nostra redazione, così, approfittando della vicinanza, abbiamo pensato di continuare il tour alla (ri)scoperta delle discoteche romagnole, curiosi, questa volta, di conoscere meglio l’aspetto organizzativo e tecnico di quelle roccaforti del divertimento notturno che hanno saputo fare dell’innovatività la propria tradizione.

di Giulia Morelli e Alfio Morelli

Il Cocoricò

Cominciamo dal Cocoricò di Riccione, la cui direzione, a partire dal 2005, è stata affidata a Mauro Bianchi, classe ’74, giunto in Riviera dopo aver collaborato con diverse discoteche in giro per l’Italia. Siamo andati negli eleganti uffici del “Cocco” per fare due chiacchiere con chi, il mondo delle discoteche, lo conosce bene dall’interno, piacevolmente stupiti di trovare una sede operativa già dalla mattina.

Tu sei entrato a far parte dello staff del Cocoricò negli anni Duemila, ma già da prima ti occupavi di discoteche; come riassumeresti il cambiamento avvenuto in questo mondo nell’ultimo ventennio?
È cambiato molto sia nella gestione sia, soprattutto, per quel che riguarda l’aspetto tecnico. Ricordo che, quando lavoravo come tecnico in un locale in Abruzzo, il Plaza, l’attenzione alla parte tecnica era quasi maniacale, il materiale che era stato acquistato, visto il costo, doveva durare diversi anni. Quando, nel 2005, sono arrivato al Cocoricò, vista l’esperienza, abbiamo subito fatto un ragionamento molto semplice: quello che spendevamo in animazione, lo avremmo speso in tecnologia e, così facendo, siamo stati tra i primi in Italia a trasformare la postazione della console in qualcosa di più somigliante ad un palcoscenico. Poi, nel 2008/09, abbiamo installato un LEDwall fisso per tutte le serate, e forse siamo stati i primi in Italia a farlo, così come nell’acquisto di una console grandMA per gestire tutta la scenografia a livello multimediale... così facendo, abbiamo trasformato il Cocoricò. Con quei cambiamenti il locale si è trasformato da una normale discoteca ad un locale “mainstream”, in cui il pubblico, rivolto verso la console, assiste alla performance del DJ come se si trattasse di un concerto dal vivo, in linea con la nuova tendenza dei DJ a proporsi come show e non solo come musica.

Ma a questo punto lo show di un DJ è considerato come uno spettacolo danzante o un vero e proprio show?
In questo senso la normativa sta cercando di adeguarsi, anche se la battaglia è ancora aperta: gli eventi che abbiamo fatto questa estate all’Aquafan sono stati riconosciuti dalla SIAE come concerti: basterebbe dare un’occhiata alle schede tecniche per non avere dubbi a riguardo. Ma questa situazione, secondo me, sta arrivando ad un tale punto di esasperazione che prima o poi dovrà essere affrontata.

Vedo che sempre più state attingendo dal mercato professionale sia come tecnologia che come professionisti…
Assolutamente sì: ci siamo affidati al lighting designer Francesco De Cave che, nel mondo della musica dal vivo, è riconosciuto come uno dei più forti (Pausini, Antonacci ecc...) e con lui ogni anno ci incontriamo per capire che situazione proporre, e ogni anno è una sfida più ardua. Per le tecnologie audio ci appoggiamo invece a Roberto Schitti, della MPR Audio di Milano, che con i suoi mega-impianti ci assiste nei nostri spettacoli.

Com’è composto il vostro team di lavoro?
Quello che riconosco al Cocoricò è di essere una delle poche disco-aziende in Italia e forse anche nel mondo. Come vedi, mi trovo ora in un ufficio di mattina e durante la settimana faccio sempre orario di ufficio, anzi prolungato, perché siamo convinti che la strategia vincente per avere buoni risultati la notte sia quella di lavorare a tempo pieno di giorno. Il team di lavoro è un team molto ampio; ho, inoltre, la fortuna di avere una proprietà che è protagonista in prima persona – i proprietari sono Fabrizio De Meis, la mente artistica, e Marco Palazzi, proprietario storico –, dopo di che abbiamo una serie di collaboratori che ci permettono sempre di migliorare al fine di creare tendenze. Il bello del Cocoricò è che puoi osare, puoi fare praticamente tutto, e questo rende il lavoro facile e difficile allo stesso tempo. Ci tengo, poi, a sottolineare che puntiamo anche molto sulla sicurezza: abbiamo 64 telecamere ad alta definizione che riprendono ogni angolo del locale e abbiamo una settantina di uomini addetti alla sicurezza.

Per quanto riguarda la comunicazione, immagino che ora avvenga tutta sui social network.
Sì, la comunicazione tradizionale per giornali o radio è praticamente scomparsa. Siamo al 90% concentrati sul discorso social, ma la mancanza di contatto umano si fa sentire. Io ricordo che, quando avevo diciassette anni, partivo con il mio zainetto a portare flyer nei bar, nei centri benessere, ecc. Conoscevo gente, ci scambiavo due chiacchiere e il sabato sera ritrovavo quelle persone nel locale, e a volte nascevano anche amicizie. Questo si sta perdendo, molti nuovi pseudo-PR stanno su Facebook a spammare e finisce lì.

Tornando al discorso live, mi è parso di capire che ultimamente, come locale, siate più legati al nome del DJ che ad una clientela affezionata.
Assolutamente sì, l’inseguire il grande nome a discapito dell’identità del locale è una moda di cui, in parte, abbiamo colpa. Anche se, da un annetto a questa parte, stiamo lavorando proprio su questo; infatti il nostro progetto invernale si chiama Cocoricò Experience: tutte e cinque le sale nuovamente aperte, ognuna con una propria identità ben definita grazie alla collaborazione di DJ e artisti nostrani conosciuti e apprezzati dai giovani della zona e non solo. Poi è normale che, come Cocoricò, dobbiamo cercare di avere sempre i nomi migliori, ma solitamente questi sono concentrati nel calendario estivo, quindi riusciamo a fare l’una e l’altra cosa.

Come funzionano i calendari per quanto riguarda i grandi DJ?
Funzionano come nel rock, solo che diventa sempre più difficile ingaggiare i grandi nomi a causa dei festival che continuano a venir fuori e che hanno un potere d’acquisto più forte rispetto ad una discoteca. Fino a poco tempo fa i grandi nomi passavano per l’Europa in estate, seguendo quindi le temperature favorevoli; ora l’America si è messa a farci concorrenza anche in estate con tre grossi festival organizzati a Las Vegas, e penso sia proprio Las Vegas ultimamente a far gonfiare i cachet degli artisti in modo impressionante.

Pensi che anche in Italia arriveranno i grandi festival di musica elettronica?
Penso che in Italia faranno fatica ad attecchire, perché manca la cultura del festival, ma anche a livello burocratico e legislativo si trovano molte difficoltà. (pochi giorni dopo è uscita la notizia di una collaborazione tra il Cocoricò e l’Unipol di Bologna per portare i DJ del tempio riccionese in un’arena da 10.000 posti – ndr).

Da quel che ho visto, esiste anche una collaborazione tra discoteche, vedi sempre questa estate quella tra voi e Aquafan, e anche questo mi sembra un atteggiamento abbastanza nuovo.
È il modo che abbiamo trovato per “fare sistema”, cosa di cui la Riviera ha assoluto bisogno, perché subiamo gli attacchi di Ibiza, della Croazia, di Mykonos e altri posti che sono più economici e più facili da raggiungere perché meglio organizzati. Basti pensare all’aeroporto di Ibiza, superfunzionale perché appena ristrutturato, mentre a Rimini non lo abbiamo neanche più, un aeroporto. Già con questo avrei spiegato molte cose legate al calo del turismo in Riviera. Per questo motivo bisogna lavorare bene insieme per fare in modo che un ragazzo che viene in vacanza abbia la possibilità di visitare un locale diverso a sera, perché siamo consapevoli che, se rimaniamo solo in pochi a galla, siamo destinati a diventare cattedrali nel deserto.

Tu hai una visione in particolare di come sarà la discoteca in futuro?
A me piacerebbe che tornasse ad essere quella di una volta, ma ne dubito. Penso che locali come il Cocoricò o l’Altromondo continueranno ad essere dei grandi contenitori di eventi per quel che riguarda la parte estiva, mentre in inverno continueranno ad essere luoghi in cui vivere nella realtà quello che si vede su Facebook. Poi c’è il discorso della drinkcard con cui, secondo me, è cominciato il declino delle discoteche, e il tutto è nato dall’ennesima follia della legislazione italiana perché, se fai pagare al cliente il biglietto d’ingresso, lo Stato ti chiede il 20%, mentre se gli fai pagare solo la consumazione te ne chiede il 10%. Ai locali viene, quindi, quasi imposto questo metodo, ma io vorrei che si tornasse alla discoteca di una volta, quando si pagava il biglietto, perché è come se tu vai al cinema e non paghi per entrare ma sei obbligato a pagare popcorn e bibita: il valore di quello che è stato speso per produrre il film si perde completamente.

L'Altro Mondo Studios

Continuiamo il nostro giro facendo tappa all’Altromondo Studios di Rimini, dove incontriamo uno dei proprietari, Enrico Galli, sempre alle prese con gli annuali lavori di ristrutturazione. Ripercorriamo brevemente gli esordi di un locale che ha fatto la storia della vita notturna italiana: nato da un’idea di Guerrino Galli e Piero Bevitori che, nel ’72, lo acquistarono da Amati, pare sia stata la prima discoteca a fare musica completamente con i dischi, in altre parole la prima discoteca d’Italia. Alcuni ricordi sono più che sufficienti a far comprendere la novità di queste serate danzanti: ad un certo punto della serata, la musica di sottofondo lasciava improvvisamente spazio ad una sigla in stile Star Wars creata ad hoc in studio di registrazione. Si spegnevano le luci e sulla pista una nebbia di fumo prendeva vita tramite un gioco di laser colorati mentre, a diversi metri d’altezza, le cubiste (s)vestite da aliene aprivano le danze sospese per aria all’interno di un tubo orizzontale trasparente. In corrispondenza dell’area adibita a console, una navicella spaziale emergeva dal pavimento, portando con sé un’invasione di inquietanti figure mascherate che sembravano fuoriuscite dai set di George Lucas. Forse non serve aggiungere che, per quei tempi, l’impatto scenico era tutt’altro che ordinario.
Ma, tornando al presente, chiediamo anche ad Enrico in che modo, a suo avviso, è cambiata la discoteca dagli anni Ottanta ad oggi:
“Possiamo dire – ci dice Enrico – che è cambiata com’è cambiato il mondo dei giovani da quarant’anni a questa parte: ai tempi di mio padre, come sfogo dopo una settimana di lavoro, c’era quasi solo il locale da ballo e, di conseguenza, le aspettative di divertimento erano facilmente soddisfabili; oggi, invece, i giovani escono più volte a settimana e, oltre a questo, internet rappresenta una sempre più allettante alternativa al divertimento fuori casa. Il risultato è che i giovani faticano a divertirsi”.

All’inizio facevate anche molte serate con attrazioni o gruppi live; ricordo i Genesis, i Rockets, la Bertè... praticamente tutti i nomi più famosi dell’epoca. Poi cos’è successo?
All’epoca ero un po’ piccolino, ma dai racconti di Bevitori posso riferirti che i concerti ebbero un appeal fino agli anni Ottanta; poi, al rinnovo del locale, si decise di cambiare direzione e si puntò più sulle trasmissioni televisive, dal Capodanno con la RAI ai diversi festival di musica e programmi vari.

In questo ultimo periodo, oltre alle serate in discoteca vi state cimentando anche in serate all’esterno, vedi la data di Hardwell in fiera, o le serate al Bandiera Gialla. Perché?
Per fare questo lavoro è necessario soddisfare, anzi anticipare, le richieste del pubblico. Fortunatamente siamo riusciti a creare due tipi di pubblico nettamente distinti nelle mode e nelle esigenze di divertimento: i giovani e gli over-trenta. Per quanto riguarda i giovani, non si può essere insensibili alle mode e alle tendenze musicali. In questo ultimo periodo la musica elettronica si sta spostando in spazi molto più grandi di una discoteca: all’estero fanno dei festival con cinquanta o centomila persone, e noi proviamo a fare altrettanto per quel che il contesto italiano ci consente. Hardwell è – se così possiamo dire – un nostro amico di vecchia data: quando ancora non era particolarmente famoso lo abbiamo ospitato più volte all’Altromondo a fare serate come DJ poi, nel giro di qualche anno, avendolo ritrovato al primo posto della classifica dei DJ più famosi al mondo secondo DJ Mag, abbiamo pensato di richiamarlo per fare qualcosa di assolutamente innovativo per la scena italiana. Abbiamo creato un nostro marchio, il Too Loud Festival, trovando nella Fiera di Rimini il partner ideale al nostro scopo: realizzare la più grande pista da ballo d’Italia e richiamare gente da ogni provincia per un one-man show di alto livello tecnologico. Visto che la prima edizione è andata molto bene, penso che ripeteremo l’iniziativa. Per l’altra fascia di pubblico, gli over trenta, già da due inverni la serata “remember” del venerdì sta avendo un successo strepitoso. E visto che questa estate il fenomeno, in termini di affluenza, è centuplicato, abbiamo pensato di riaprire il Bandiera Gialla, parco storico sulle colline di Rimini, che per questo tipo di clientela è l’ideale.

La Baia Imperiale

In conclusione del nostro itinerario alla riscoperta del mondo del clubbing, facciamo tappa alla storica Baia degli Angeli, oggi Baia Imperiale.
La chiacchierata fatta con il direttore generale del locale Carlo Capone ci ha fatto ben capire che, in pochi anni, in materia di gestione le cose hanno subìto un vero e proprio stravolgimento.
“Innanzi tutto – ci spiega Carlo – è cambiato il modo di vivere la notte: una volta bastava aprire un locale e questo, anche senza ospiti, era sempre pieno e non serviva l’aiuto di una gestione esterna perché si può dire che il locale funzionasse da solo. Era l’epoca in cui i gestori facevano le discoteche; poi sono arrivati i PR, ovvero quelle figure a cui il gestore si affida ma che, come oggi portano la gente nel tuo locale, domani potrebbero portarla in quello di un altro. Oltre a questo, c’è chiaramente il discorso dei DJ, che rappresentano una voce sempre più importante negli investimenti di un locale, se questo vuole soddisfare le aspettative del pubblico e avere un programma accattivante. Parliamo di cachet a quattro o anche cinque zeri (si vocifera che il compenso di Hardwell si sia aggirato attorno ai 120.00 euro e quello di Guetta intorno ai 200.000 – ndr), quindi, come immaginerai, non è più un giochetto come una volta, quando un locale si apriva con dieci camerieri e cinque cambusieri. Ora si lavora anno per anno: quando, a settembre, si chiude, si comincia a lavorare sulla programmazione dell’anno successivo. Altro problema per il mercato nazionale nasce dal fatto che gli artisti stranieri sono abituati ad esibirsi in festival molto popolari con un’affluenza di pubblico dieci o venti volte le nostre possibilità, dove riescono a far pagare un biglietto fino a cento euro, cosa che in Italia è impossibile, visto che i prezzi arrivano al massimo a trenta o quaranta euro. La richiesta ha fatto però lievitare i cachet dei DJ in maniera esponenziale e in questo mercato globale gli organizzatori nazionali fanno sempre più fatica, rischiando sempre più dei ‘bagni di sangue’”.
“Inoltre – continua Carlo – questi personaggi hanno certe schede tecniche da capogiro: quest’anno abbiamo chiamato DJ che in classifica sono tra i primi quaranta al mondo – parliamo di Antoine, dei Bingo Players, ecc – i quali hanno richiesto un sistema LEDwall fisso sullo sfondo, teste mobili di un determinato tipo e un impianto audio molto importante: noi abbiamo dovuto modificare il locale in base alle loro esigenze. Nella sala grande abbiamo cambiato praticamente tutto e il prossimo anno sono previsti altri lavori perché qualcuno, per essere nuovamente ospitato, ha richiesto ulteriori modifiche all’impianto audio e al palco.
“Ma noi gestori  – conclude Carlo – siamo costretti a star dietro a questi artisti perché, per noi, è fondamentale tenere alto il prestigio della Riviera che, anche se a fatica, continua a tenere il passo di Ibiza o Mykonos”.

 

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