Mettiamo dei confini

Prendiamo ora la nostra sorgente semplice, che irradia uniformemente in tutte le direzioni e poggiamola a terra, su una superficie rigida e riflettente...

di Stefano Cantadori

Nell’altro numero abbiamo trattato le sorgenti semplici in condizioni di propagazione libera, senza ostacoli in nessuna direzione.

Prendiamo ora la nostra sfera ideale pulsante, (o sorgente semplice), che irradia uniformemente in tutte le direzioni e poggiamola a terra, su una superficie rigida e riflettente.

In pratica un subwoofer in un grande parcheggio, avendo cura di sceglierne uno senza muri intorno (condizione detta di semispazio, o 2 π steradianti).

L’energia irradiata verso il pavimento non potrà attraversarlo e quindi rimane confinata al di sopra dello stesso. Se camminiamo intorno al sub con il nostro microfono di misura in mano, verificheremo che la pressione sonora è 6dB superiore a quando il sub era sospeso in aria (cioè in propagazione libera

su 4 π steradianti). L’energia passante per il punto dove abbiamo messo il nostro microfono è infatti raddoppiata a causa dell’energia riflessa dal pavimento.

Erigiamo nel parcheggio un muro molto alto e molto largo (per non sbagliare circa 10 volte la lunghezza d’onda che vogliamo considerare) e appoggiamo il sub fra pavimento e parete.

Abbiamo creato un angolo diedro e in questa porzione di spazio (π) l’incremento sarà di 12dB rispetto al sub sospeso per aria.

Se mettiamo un altro muro a 90° con il primo, ed il sub all’intersezione, avremo dimezzato nuovamente la porzione di spazio in cui l’energia è irradiata ed avremo un ulteriore incremento di 6 dB per un totale di 18 dB su π/2 rispetto alla condizione di 4 π sterad. Ecco spiegato perché una cassa messa in un angolo ha molti più bassi. Ora sappiamo anche quanto di più.

L’ argomento non è affatto esaurito, è fondamentale e lo riprenderemo prossimamente con cipiglio più scientifico. Invece di tenere il microfono in mano proveremo ad appoggiarlo a terra e proveremo anche a cambiare sorgente. Io sono molto indisciplinato per cui ora infilo un’altra porta.

Abbiamo finora notato che lo stesso “motore”, cioè lo stesso sub, ha inviato al nostro microfono di misura sempre più energia man mano che questa veniva confinata in una porzione di spazio più piccola.

È il momento di saltare di palo in frasca

Pensate ora ad un driver a compressione che certo non è una sorgente semplice. Per usarlo in modo efficace dobbiamo collegarlo ad una tromba. È intuitivo capire che una tromba con piccola dispersione farà registrare al microfono di misura posto in asse una maggiore pressione sonora rispetto ad una tromba con dispersione maggiore (a parità di “motore”, ricordiamoci).

Abbiamo così un primo punto di vista, benché assai incompleto, sulle trombe.

Impareremo che lo stesso fenomeno potrà essere osservato da tanti punti di vista tutti interessanti ed assai diversi fra loro.

Che cosa è una tromba? Una tromba è un trasformatore. Funziona come il cambio di un’automobile.

Se tenti una “partenza in quarta” il motore si spegne. È infatti in presa diretta, in grado di girare ad alto numero di giri ma ha basso “torque”, potere torcente applicato sull’asse delle ruote.

Occorre una serie di ingranaggi in demoltiplica per trasformare l’alto numero di giri del motore in un basso numero di giri alle ruote ottenendo così un alto potere torcente. Si partirà “in prima”, raggiunta una certa velocità ottimale si innesterà la seconda ecc. al fine di applicare ogni volta il giusto compromesso fra velocità di rotazione e forza torcente.

Similmente, una tromba è caratterizzata alla gola, all’imboccatura del driver, da alta velocità/bassa pressione.[1] Alla bocca si ottiene (almeno si spera) l’ inverso, cioè bassa velocità e alta pressione. Che è quello che ci serve. Gli ingranaggi in demoltiplica sono rappresentati dalle pareti della tromba che allargandosi man mano trasmettono energia a una quantità sempre maggiore di aria.

L’equazione velocità = giri   pressione = potere torcente è una semplice analogia assolutamente corretta.

È normale descrivere un fenomeno elettrico o elettroacustico con l’equivalente meccanico. Sono aspetti dello stesso fenomeno.

Propongo ora un altro punto di vista, meno classico ma che mi è sempre piaciuto.

Prendiamo una grande bacinella piena d’acqua. Applichiamo un disco di legno ad un manico di scopa, impugniamo il tutto e cominciamo a “potacciare” nell’acqua menando fendenti su e giù. Molti spruzzi, acqua dappertutto ma con il disco non disturberemo che una certa quantità d’acqua ad ogni operazione.

Prendiamo ora il nostro disco di legno con manico, applichiamogli una guarnizione ed infiliamo il tutto in un tubo a tenuta. Immergiamo il dispositivo nell’acqua e andiamo su e giù con il disco con le stesse escursioni di prima. Osserveremo che il dispositivo ad ogni movimento sposterà una grande quantità di acqua, assai maggiore di prima. Abbiamo infatti creato una pompa.

Bene, ora sappiamo che per aumentare l’efficienza di trasduzione di un altoparlante è sufficiente applicare di fronte ad esso una cavità. Che, tra l’ altro, è anche descrivibile come uno spazio confinato.

Il disco a tenuta nel tubo è una “tromba a pareti parallele” (che divertente follia) mentre il semplice disco senza tubo è un altoparlante a radiazione diretta. Ecco trovato un altro efficace punto di vista per spiegare la differenza di efficienza fra un reflex a radiazione diretta ed una tromba.

La casse con i buchi

A questo punto, visto che ci siamo, sembra logico parlare del funzionamento di un reflex. Niente di dettagliato, siamo in piena frenesia da divulgazione. Vogliamo solo sapere perché si fanno casse con i tubi. Una volta in HI-FI c’erano anche le casse chiuse e si diceva che il reflex “rimbombava”. Buffamente, il reflex funziona molto meglio di una cassa chiusa proprio in quella che una volta era ritenuta la miglior caratteristica delle casse chiuse. Cioè avere un basso preciso e frenato. Le casse chiuse anche in HI-FI sono infatti progressivamente scomparse in favore dei reflex.

Se prendo un woofer, solo il componente senza cassa, osservo che una parte è fissa, composta dal cestello e dal magnete, e una parte è mobile, composta dal cono, dalla bobina avvolta attorno al suo supporto, dallo spider e dal bordo esterno. Per gli esempi che seguono, assumendo che il cono sia perfettamente rigido, ci interessa sapere che la parte mobile è governata dalla sua massa (il peso) e dalle caratteristiche delle molle che la vincolano al cestello. Le molle non sono altro che le sospensioni, cioè l’insieme dello spider – detto anche centratore – e del bordo.

Dovremo anche considerare due o tre (mila) altre cose, come l’impedenza acustica[2], la temperatura della bobina, la non linearità delle sospensioni... ma per il momento le trascuriamo.

Propongo infatti un’analogia semplice: avvitiamo un gancio ad una trave e fissiamogli il capo di una molla. All’ altro capo della molla applichiamo un peso.

Tiriamo il peso verso il basso, tendendo la molla, e poi lasciamolo andare. Vedremo che il peso va su e giù, fino ad esaurire l’energia immagazzinata per poi fermarsi. Ora stacchiamo la molla dalla trave e prendiamone in mano il capo. Teniamo il braccio e la mano fermi, abbassiamo il peso, lasciamolo andare e il sistema ovviamente funzionerà come prima, quando il tutto era fissato alla trave. Se però cominciamo a muovere il braccio su e giù, potremo trovare un ritmo (cioè una frequenza) per la quale il braccio scende incontro al peso ma il peso sale incontro al braccio. Quando il braccio si allontana anche il peso si allontana. Si tratta della risonanza fondamentale del sistema.

In regime di risonanza un sistema tende ad azzerare le proprie resistenze.

Si potrebbe (uffa) citare il famoso esempio del ponte di Tacoma, nello Stato di Washington, che entrò in una serie di paurose oscillazioni innescate da particolari combinazioni di raffiche di vento, fino a distruggersi. Il ponte di Tacoma aveva una sua massa, una sua elasticità ed era appeso a cavi, anch’essi dotati di propria elasticità e massa. Determinanti in quel caso per l’innesco del fenomeno furono le caratteristiche aerodinamiche, se il ponte non fosse stato messo in movimento da qualcosa sarebbe ancora là. Un sistema molto complesso che ancor oggi occupa gli studi di parecchi analisti.

La parte mobile di un altoparlante in aria libera, come dicevamo, ha una propria massa ed è vincolata da supporti elastici ed ha, come tutti i sistemi meccanici, una propria frequenza di risonanza. Più l’altoparlante è pesante più la frequenza di risonanza è bassa.

Se eccitiamo l’altoparlante proprio a quella frequenza, ad esempio con un amplificatore ad esso collegato, entrerà in risonanza, e tenderà ad annullare le proprie resistenze. In presenza di sufficiente energia tenderà a distruggersi per eccesso di spostamento. Quando un altoparlante è montato in una cassa, l’ aria contenuta all’interno della stessa modifica le caratteristiche meccaniche del sistema e agisce, tra l’altro, da molla aggiuntiva. Si avrà un nuovo sistema con una nuova frequenza di risonanza.

In una cassa reflex, oltre all’equipaggio mobile del cono, considereremo anche la massa d’aria contenuta dentro il tubo (se insisti mi ricorderò che c’è aria anche dentro e fuori dalla cassa).

Non c’entra nulla, ma giacché ci siamo, se vuoi accordare una cassa più in basso allunga il tubo.

Alla frequenza di risonanza del sistema, quando l’altoparlante va in avanti (verso l’esterno della cassa) l’aria esce dal tubo e va verso l’esterno, creando una depressione all’interno del mobile. Quando l’altoparlante si muove verso l’interno della cassa, anche l’aria dal tubo entra nella cassa stessa, producendo una sovra pressione. Ed ecco che abbiamo “frenato” un altoparlante altrimenti libero di muoversi senza controllo. Tra parentesi, alla frequenza di risonanza del tubo (un classico risuonatore di Helmotz) lo spostamento del cono è minimo. Se il sistema è eccitato con un tono puro (una sinusoide) troverò una frequenza alla quale lo spostamento del cono è nullo e con il tubo potremo allegramente spegnere una candela.

Già che ci siamo, facciamo un altro paio di osservazioni: visto che il cono è fermo, non genererà forza elettromotrice verso l’amplificatore e l’impedenza dell’altoparlante sarà la minima possibile (cioè il valore puramente resistivo della bobina). Sarà perciò anche il punto in cui l’ampli dovrà erogare il massimo della corrente. A proposito: sotto la frequenza di accordo l’altoparlante non è più caricato dal reflex ed è libero di muoversi: con le casse reflex è buona norma usare filtri passa alto per evitare sovra escursioni dannose che danneggerebbero l’altoparlante (che tra l’ altro in quella zona nemmeno emette energia utile). Giocando sui parametri degli altoparlanti, sulla dimensione della cassa e frequenze di accordo, è relativamente facile progettare un sistema reflex per ottenere curve di risposta e fattori di merito noti, grazie principalmente all’approccio sistematico di Neville Thiele e Richard Small, il cui grosso dei lavori fu pubblicato fra il 1971 ed il 1973 – e non trascurava le casse chiuse.

Il loro lavoro analizza il comportamento degli altoparlanti, le interazione fra loro e con l’aria dentro e fuori dalla cassa. Si è passati dal calcolo a mano ai programmini per le prime calcolatrici tascabili (Small e Margolis) in grado di scrivere la curva sul rotolino di carta termosensibile, fino ai potenti programmi di simulazione odierni. Non è necessario costruire la cassa per conoscerne la risposta, ma è sempre meglio farlo se ti interessa ascoltarla.

A proposito: se qualcuno si ricordasse dove io ho letto gli esempi della bacinella e della molla, gli sarei grato se me lo facesse sapere. Mi sono sempre piaciuti tantissimo ma ne ho dimenticato



[1] Dalla fisica delle medie, ricorderemo che il rapporto PxV=K.

In altre parole il rapporto Pressione moltiplicato Velocità è Kostante.

Se in qualche modo incremento la velocità, la pressione nel sistema diminuirà della stessa quantità.

[2] L’ impedenza acustica che carica la faccia di un pistone in movimento, montato su baffle infinito è il rapporto fra la pressione media su quella faccia e la velocità di volume emessa.

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IL SERVICE? NON ESISTE

E nemmeno il “ring”.

Se proviamo a dire che “siamo un service” ad un collega americano, tedesco, inglese, belga o francese, nessuno capirà a cosa ci stiamo riferendo. Certamente penseranno che non siamo del mestiere.

Da ragazzino ho lavorato forse per il primo noleggio italiano propriamente strutturato, con uffici, magazzino e dipendenti, la Wilder di Willy Davoli. Allora, un manifesto su una parete ci definiva “Hiring company” ma anche quella definizione era sbagliata, come ebbi a comprendere anni dopo. Il termine inglese corretto per definire il nostro odierno service è “Rental company”. Il service insomma non esiste se non in Italia.

E non esiste nemmeno il “ring”.

Significa “anello”, mentre noi, io compreso, lo usiamo da sempre per definire un sistema di americane a pianta rettangolare. Il “ring” non è altro che una malintesa storpiatura di “rig”, che in uno dei suoi significati sta per “attrezzatura meccanica”. Il termine “rigging” invece, in gergo teatrale, fa riferimento ai sistemi di manovra degli scenari.

C’è da pensarci sopra.

Un’intera categoria in un intero Paese si definisce con un nome inglese che non corrisponde alla stessa categoria nel resto del mondo. Che stranezza. Siamo su un isola sperduta? Nel corso degli anni mi sono convinto che sì, per certi versi il nostro settore è slegato dal resto del mondo.

Il problema principale è che non abbiamo studiato l’inglese (a “squola”). Ovviamente non leggiamo le riviste estere ed anche il web ci è più oscuro che ad un francese.

Non dobbiamo vergognarcene. Non abbiamo avuto le stesse opportunità degli altri. Il mondo per noi oggi è meno globale. Spesso non ci accorgiamo di cosa accade negli altri paesi, aspettiamo di vederlo in Italia.

Ciò è vero per i trend tecnologici, nuovi linguaggi espressivi, tutto ci viene imposto da fuori. È perciò normale muoversi in ritardo un po’ su tutto. Fatte, naturalmente, le debite – ed evidenti – eccezioni.

Com’è nato allora il termine “service”? Ho una mia teoria, ma non parlerò neanche sotto tortura.

Ancora sulla scuola

Pensate che in Germania il Tonmeister è un mestiere riconosciuto e rispettato. Puoi scriverlo sulla carta d’identità. Ci sono apposite scuole pubbliche come per diventare ingegnere edile o perito elettronico.

Lo stesso in Inghilterra. Ci sono Università che menano vanto dei loro dipartimenti di acustica ed elettroacustica. Interi centri di ricerca sono dedicati ad una singola specialità. Anche chi ha intrapreso indirizzi in elettronica in Italia ha avuto poche possibilità di incappare nell’audio. Non esiste un corso di laurea in acustica od elettroacustica. Abbiamo di conseguenza, come “sistema Paese”, maggiori difficoltà a comprendere ed analizzare le tecnologie che dovremmo usare. E magari produrre ed esportare.

Spesso ci rifugiamo nell’acquisto del prodotto più caro (“deve essere il migliore”). Si cerca così di acquistare prestigio, non tecnologia, proprio come si fa per una griffe. E sono cose ben diverse.