Marco Bartolini

Quattro chiacchiere con un personaggio ben conosciuto in tutta Italia, soprattutto fra le rental company e i lighting designer nel mondo del live, del teatro e della televisione.

di Giancarlo Messina

Il personaggio di questo numero è ben conosciuto in tutta Italia, soprattutto fra le rental company e i lighting designer nel mondo del live, del teatro e della televisione. Per curiosità, abbiamo fatto un giro di telefonate chiedendo a qualche amico i primi aggettivi associabili al suo nome. Non per piaggeria, ma davvero non ne abbiamo raccolto nessuno negativo: simpatia, generosità, affidabilità, serietà sembrano essere le doti più riconosciute di Marco Bartolini, specializzatosi in oltre vent’anni nelle vendite di materiale professionale per lo show business, fino ad aprire la propria azienda di distribuzione con cui sta mietendo ottimi successi.

Quando finalmente riusciamo entrambi a trovare qualche ora libera fra i nostri mille impegni, vado a trovarlo direttamente nel suo ufficio, nella zona industriale di Cattolica (RN), dove ha sede RM Multimedia.
Iniziamo una piacevole chiacchierata ripercorrendo il suo percorso professionale e cercando di capire meglio il suo punto di vista sul mercato di oggi e le sue prospettive.

Come sei entrato proprio in questo settore?
Ho cominciato proprio per merito (o per colpa, chissà) del tuo editore Alfio Morelli, perché, finiti gli studi, andai a lavorare alla Coemar Rimini, gestita allora proprio da Alfio. Fu lui a presentarmi ad Antonio Italiani, insieme al quale intrapresi la carriera di rappresentante. Italiani era un vero personaggio e con lui entrai nel mondo delle vendite trattando prodotti Bose, come sub agente, ed accessori audio e video della IAL Sound, costruiti proprio da Antonio e suo fratello.
A circa 27 anni, mi ritrovai così con una certa esperienza di vendita e con una conoscenza dettagliata del mercato in varie regioni italiane.

Quando passasti al mondo delle luci?
Nel 1994 fui contattato da Gabriele Giorgi, titolare di SGM, che mi propose di lavorare per lui. Accettai senza titubanze, sebbene il settore delle luci fosse per me poco conosciuto; ma grazie all’affiancamento con l’allora rappresentante di SGM con cui ci dividemmo le zone di competenza, iniziai subito ad entrare in questo mondo, scoprendone pian piano tutti gli aspetti.

Credo sia indubbio che il tuo contributo abbia influito parecchio all’espansione del marchio SGM in quegli anni: che situazione trovasti allora in SGM? Quali furono i passi decisivi?
Rispetto al mercato consumer la situazione era estremamente differente: ad esempio nel consumer una piccola percentuale di sconto era molto significativa, mentre in questo settore si usava fare sconti impensabili ed anche poco pianificati. Ma allora la mancanza di prodotti e di prezzi standard lasciava molto spazio ad una certa improvvisazione; io venivo dalla politica commerciale di Bose, molto precisa e pianificata, mentre nel settore del professionale c’era molto da creare e proporre.

Bisogna anche ricordare che allora SGM non produceva ancora lighting!
Sì, SGM produceva solo centraline, dimmer ed accessori, ed il mercato principale era costituito non dalle rental company ma dai locali e dalle discoteche. Solo successivamente arrivarono i primi proiettori marchiati SGM, prima costruiti da terzi e poi prodotti da noi: lo scanner Galileo, il Victory e poi la serie fortunata dei Giotto che ci fece fare un bel salto. Il prodotto più azzeccato, che trovò molto spazio anche nel circuito televisivo, fu il Giotto 250 che aveva una grande resa luminosa e zoom variabile e che quindi si poteva inserire nella fascia di prezzo di un prodotto superiore; fu seguito dal Giotto 400, ancora più apprezzato, soprattutto in televisione, che fece registrare numeri di vendita interessanti.

Intanto era cambiato anche il target…
Sì, siamo nella seconda metà degli anni Novanta, la discoteca ed i locali non erano più i principali clienti, ma lo erano diventati i service e le rental company, sui quali anche noi ci focalizzammo. Chiaramente il mercato del lighting era occupato da marchi di importanza mondiale, quindi noi fummo molto bravi a cercare, trovare spazio ed affermarci fra questi mostri sacri.

Merito del commerciale certo, ma anche della bontà dei prodotti. Come devono interagire in maniera corretta i reparti di marketing e di ricerca e sviluppo?
Gli anni in SGM sono stati una grande scuola per me sotto questo punto di vista. Chiaramente chi fa marketing vorrebbe un prodotto migliore di quello della concorrenza e vendibile ad un prezzo più basso! Ma, ovviamente, non è così semplice. Lavorando a stretto contatto con gli ingegneri ho acquisito molte nozioni tecniche e progettistiche, quindi so benissimo come anche pochi dettagli possano variare molto la qualità e il prezzo di un prodotto. Inoltre, raramente gli specialisti delle vendite possono prevedere con certezza il volume di vendite, cosa che limita molto la progettazione, perché dover costruire 1.000 o 10.000 unità dello stesso prodotto cambia radicalmente l’approccio. È insomma fondamentale che chi fa marketing possieda alcune nozioni base di ingegneria e viceversa: sono due mondi che devono interagire positivamente, evitando sterili contrapposizioni.

Conosci e sei conosciuto da decenni in tutto il mercato professionale italiano, prima lavorando per altri, oggi con la tua azienda: quanto è importante quello che hai seminato in credibilità in questi anni?
Mi ritengo una persona corretta a prescindere dal lavoro e ho sempre trasferito questo aspetto nella mia professione, sempre affrontata con un’etica anteposta al fattore economico. Inoltre il lavoro occupa una parte significativa della mia vita, ma l’ho sempre vissuto con entusiasmo, quindi dando tutta la mia disponibilità e la mia dedizione. Queste caratteristiche di affidabilità, serietà e disponibilità credo siano riconosciute oggi dai clienti, e se da sole non bastano a chiudere delle vendite, senza dubbio sono un buon presupposto.

La conoscenza del mercato maturata in questi anni ti consente di intuire la validità di un prodotto o di un progetto?
Nessuno ha la sfera di cristallo, ma certamente l’esperienza consente di scegliere in che direzione andare. Ad esempio sono uscito da SGM perché non credevo più in quella azienda anche se all’epoca era al massimo del suo splendore, mentre ero davvero fiducioso nei progressi che immaginavo potesse avere ROBE: non a caso dal 2004 ad oggi l’azienda ceca ha avuto un incredibile incremento di vendite, conquistando posizioni importanti in tutto il mondo; ed è così ben strutturata che, a mio avviso, è destinata a crescere ulteriormente. Un’evoluzione che fortunatamente avevo intuito e che mi ha portato oggi a rappresentarla in Italia.

Come nasce quella che è oggi la tua azienda di distribuzione?
Conclusa l’esperienza in SGM, entrai come responsabile vendite in Robe Italia. Dopo alcuni anni, in accordo con Simone Rodella e con la casa madre Ceca, decisi di curare la distribuzione Robe per il centro-sud Italia creando una mia propria azienda, la Robe Multimedia appunto, coinvolgendo anche il mio socio Ermanno Tontini. Solo in un secondo momento, nel 2008, Robe mi propose di curare la distribuzione in tutta Italia, cosa che accettai molto volentieri, visto l’ottimo rapporto con i titolari dell’azienda e la grande fiducia nei prodotti del marchio.

Essere esclusivisti ROBE ti consente comunque di completare il catalogo con prodotti non in concorrenza?
Sì, certo, negli anni abbiamo cercato di completare il nostro catalogo con prodotti complementari a Robe e Anolis come il marchio Jands-Vista per le consolle luci, LEDwall Infiled, Litecraft, Work Lifters e SFAT per gli effetti speciali, media Server MX Wendler e prodotti molto specifici e professionali come BB&S. Uno dei miei obiettivi è proprio quello di migliorare sempre più la nostra offerta e dal prossimo anno avremo una ragione sociale neutra (RM Multimedia) per meglio promuovere tutti i prodotti che distribuiamo per il mercato italiano.

Al di là delle chiacchiere: come nella MotoGP contano i punti, nel business conta il fatturato. Qual è stato il trend della tua azienda in questi anni di crisi?
Nel 2007, appena partiti, abbiamo subito avuto un incremento del 50% rispetto al consolidato fatto con Robe Italia nel centro-sud Italia, nel 2008 ancora un incremento del 30% però su tutto il mercato italiano, poi nel 2009 un calo del 20% subito recuperato l’anno successivo; nel 2011 ancora un incremento del 25%, ripetuto in pratica nel 2012, mentre nel 2013 abbiamo confermato i risultati dell’anno precedente.
Siamo partiti proprio all’inizio della crisi, quindi abbiamo avuto la fortuna di rapportare l’azienda che era in crescita ad un mercato in calo e ciò ci ha permesso di non avere particolari difficoltà. Considerando la congiuntura economica negativa, siamo davvero soddisfatti del lavoro svolto.

Tutto il mondo industriale occidentale subisce oggi l’aggressività dei produttori orientali. Come convinci i tuoi clienti ad acquistare un prodotto di marca, come ROBE, piuttosto che una cineseria?
Effettivamente, proprio in questo momento di mercato, è necessario spendere qualche parola per contrastare l’effetto immediato e ammaliante del primo prezzo proposto da molti (oggi forse da troppi); in realtà basta fare qualche semplice riflessione e i conti con carta e penna per capire che (come dicevano le nonne) “chi più spende meno spende”.
Il primo punto è che i prodotti a scarsa tecnologia e qualità non hanno quelle caratteristiche tecniche necessarie per essere utilizzati in tutti i settori in cui un service potrebbe lavorare e questo già esclude l’acquirente da una bella fetta del mercato del lighting.
Ma, anche se non si lavora in questi campi e non si ha l’ambizione di crescere, c’è da considerare l’aspetto della svalutazione, dell’affidabilità (che è il fiore all’occhiello di Robe) e dell’obsolescenza del prodotto su cui si è fatto l’investimento.
Un prodotto di qualità, come ROBE, dopo oltre quattro anni ha ancora una propria vita, è possibile avere assistenza e pezzi di ricambio e mantiene un valore residuo poiché ha un’ottima rivedibilità in tutto il mondo anche se di seconda mano.
Al contrario, è difficile ricordare anche solo il nome di un prodotto economico più vecchio di un anno. Tradotto in cifre, questo significa che il 30% o 40% risparmiato all’acquisto scegliendo un prodotto di bassa qualità e tecnologia si perde ampiamente fra l’impossibilità di accedere ad una fetta del mercato e di rivenderlo come prodotto usato.
Installazioni nei locali a parte, quindi, il parco luci di un service dovrebbe essere considerato come un vero attrezzo del mestiere che mette in grado l’azienda di affrontare qualsiasi tipologia di lavoro (televisione, teatro, live, installazioni fieristiche ecc) e non si deve mai fermare o creare problemi.
Ci sono ancora tante motivazioni che portano all’acquisto di un prodotto professionale e tutte importanti, ma voglio concludere con una considerazione che entra nell’economia di un service.
Prendiamo come esempio un qualsiasi evento e ripartiamone i costi totali da sostenere per fornire il servizio quindi dal capannone alle tasse, passando per il personale con eventuale vitto e alloggio, le spese vive come carburante e autostrada, le tecnologie audio-video-luci, i power-box ma anche i cablaggi, ecc. e diamo un valore in percentuale ad ogni voce.
Si evince immediatamente che la voce relativa all’investimento fatto per l’acquisto delle tecnologie (anche se di alto livello), non è quella più impegnativa e non può fare la differenza, anche perché il costo va spalmato nel lungo periodo di attività (consentito però, solamente da un prodotto riconosciuto come professionale).

Visto che hai come riferimento il mercato delle rental company, hai mai pensato di ritornare alle origini e proporre anche un marchio audio?
Ti dirò che ci ho pensato davvero, anche perché qualche volta capita che ci chiedano delle forniture complete; ma non ci possiamo permettere delle improvvisazioni, quindi prima di un passo del genere andrebbe creata all’interno dell’azienda una struttura ad hoc con degli specialisti di prodotto e delle persone dedicate al pre- e post-vendita. Trovando la situazione giusta, non è una cosa che escludo a priori.

Per chiudere usiamo il tormentone di Morelli ai nostri personaggi: qual è il tuo sogno nel cassetto?
Professionalmente e realisticamente è mantenere e consolidare quanto fatto fin adesso, specie in un momento in cui molte aziende devono ristrutturarsi. Il sogno invece è quello di completare la gamma di prodotti distribuiti e crescere come struttura per dare un servizio sempre migliore alla clientela e creare migliori condizioni di lavoro per tutti. Così forse anch’io riuscirei a ricavarmi un po’ più di tempo libero per staccare un po’ e dedicarmi qualche volta alle mie passioni ed alla mia famiglia.

contatti: RM Multimedia

 

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