Malika Ayane – Naïf Tour 2015

Oltre ad un altro disco d’oro per la sua collezione e una presenza radiofonica importante, il più recente album di Malika Ayane, Naïf, ha portato a una tournée teatrale di 30 date in due mesi, quasi tutte con il pienone.

di Douglas Cole

Malika AyaneProdotto da Massimo Levantini per Live Nation Italia e portato in tour dal direttore di produzione Salvatore Russo, il Naïf Tour è il lavoro di una squadra che è rimasta quasi perfettamente integra dalla prima tournée dell’artista, tra cui Marco Pallini alla regia audio in sala, Paolo “MacGyver” Fossataro come lighting e set designer nonché operatore luci in tour, Paolo Ojetti alla regia monitor, Alberto Alicandro come PA engineer, insieme al resto della squadra audio, luci e palco del service teramano DG Systems.
Ci siamo recati al Teatro La Fenice, a Senigallia, per intercettare la diciottesima data di questo tour de force e sentire dai diretti interessati i dettagli della nuova produzione.

Salvatore Russo – direttore di produzione

“Abbiamo cominciato l’allestimento a settembre – racconta Salvatore – al Teatro Cagnoni di Vigevano, dove ci siamo trovati decisamente bene. Ci abbiamo lavorato una quindicina di giorni, a cui sono da aggiungere le prove musicali a Milano.
“Malika aveva delle idee ben chiare. Sostanzialmente la regia è completamente sua, dall’inizio alla fine: come si sviluppa, come cresce, anche i cambi di scena sono farina del suo sacco.
“Poi, chiaramente, c’è stato l’innesto di Paolo Fossataro – continua Salvatore – che ha inserito alcuni elementi scenografici che si combinano nella regia. Tutto è stato inserito secondo le indicazioni di Malika; non è solo un concerto, è uno show che si sviluppa in modo più trasversale e meno lineare. Abbraccia campi dello spettacolo diversi: ci sono anche dei ballerini/coristi che fanno dei numeri insieme a lei.

Non è un po’ fuori dal suo idioma, questo?
Inizialmente avrei pensato la stessa cosa, ma mi sono dovuto ricredere: è una cosa che funziona in un modo che mi ha stupito.

In quanti siete in tour?
In tour siamo 30 persone, in totale, di cui ben 14 sul palco: nove musicisti, Malika e quattro performer che danzano e fanno dei cori. Poi ci sono dieci tecnici, tre persone in produzione, un personal assistant, una truccatrice e un autista per il camion. Nelle date in cui ci raggiunge Levantini, siamo 31.

In termini di trasporto, quanto è grande la produzione?
Abbiamo un bilico che sembra quello di Peter Pan: più bauli tiri fuori, più ne escono.
Siamo partiti con l’idea di fare una cosa interessante e diversa, visto che con le attrezzature di oggi è possibile caricare cento fari motorizzati in dieci metri cubi, per dire, ma poi la mano ci è un po’ scappata, specialmente a Paolo, e siamo arrivati ad un carico quasi estremo.

Come viaggiate, voi?
Per il persionale ci sono sei mezzi, in totale: un furgone a nove posti e cinque automobili.

È un calendario abbastanza tosto, no?
Le date sono 31 in totale, con parecchi back-to-back. Ci sono anche dei teatri un po’ difficoltosi. Però, nella media, si riesce a lavorare abbastanza bene. Ci vuole pazienza, abbiamo una scenografia che si potrebbe considerare anche piuttosto complessa... il montaggio è lungo; arriviamo alle 9.00 e il soundcheck è alle 18.00. Essendoci parecchi back-to-back a distanza con un load-in alle 9.00, cerchiamo di dividerci. Quasi sempre faccio io la ‘in’, così che i ragazzi possono arrivare un’oretta più tardi. Le chiamate sul posto dipendono dalla venue, dagli otto facchini al Teatro Nazionale di Milano dove si carica direttamente al palco, ai 16 del Teatro Augusteo di Napoli, dove il load-in è un incubo.

“Non va trascurato – aggiunge Salvatore – che questo è un tour nel quale ci vogliamo bene. Siamo tutti sereni e tranquilli”.

Paolo Fossataro – lighting & set designer

“Malika – dice Paolo – è ormai come una vecchia amica; l’abbiamo vista crescere. Abbiamo cominciato a lavorare con lei dal primissimo tour e il rapporto è andato avanti fino a oggi, per fortuna. Ha le idee molto chiare su quello che vuole dallo spettacolo e dà delle indicazioni. Io, poi, cerco di interpretarle e di ricondurre il tutto alla realtà e a cose fattibili, magari mettendoci anche un po’ del mio.
“Ci sono tanti musicisti sul palco e posizionarli è stato un po’ problematico. Lei voleva una cosa con uno stile “Broadway anni Settanta”, un po’ stile big-band. Addirittura, all’inizio, pensava anche a dei leggii... ma chiaramente lo spazio non lo avrebbe permesso. Come motivo particolare ci sono i cerchi, che ricordano un po’ lo stile del cartone animato I Pronipoti. La linea di questi viene un po’ ripresa dalla forma dei pannelli in alto e intorno alla pedana per i musicisti
“Abbiamo delle proiezioni – ci dice Paolo – sul fondale e su un siparietto in tulle che mettiamo davanti ai musicisti. I primi cinque o sei brani si svolgono con i musicisti nascosti. L’effetto è un vedo-non-vedo, finché non si apre il sipario.
“Ci sono anche i numeri con quattro ballerini: Malika si è buttata un po’ in questa nuova avventura del ballo sul palco e si mette in gioco così, facendo anche dei cambi d’abito in scena. Considerando il suo personaggio, questa cosa è molto coraggiosa.
“Le proiezioni sono minimali: le usiamo una volta con le fotografie dell’artista durante un pezzo, proiettate sul tulle e anche sul fondale in dissolvenza; e un’altra volta in un pezzo particolare, proiettando una galassia. Vengono fatte da quattro Robe DigitalSpot 7000DT, posizionati ai lati, usati senza media server – le immagini vengono direttamente caricate sui proiettori e vengono controllate in DMX.
“Un altro momento importante – dice Paolo – è il brano Lentamente, che lei canta all’interno di una serie di anelli che sembrano ruotare uno sopra l’altro. Questi si illuminano e scendono per uno special su una singola canzone. L’idea per quell’effetto è venuta dall’illusione ottica degli anelli galleggianti. Tutto viene abbassato e ruotato manualmente, perché trovare un motore elettrico con un riduttore che potesse far ruotare tutto così lentamente sarebbe stato costosissimo e comunque non si sarebbe arrivati al singolo giro in tre minuti.
“Poi – continua Paolo – c’è un’intera sezione del concerto nella quale i brani vengono scelti ‘a caso’. C’è una ruota della fortuna con la quale viene scelta la scaletta. È veramente divertente: alcuni spettatori vengono chiamati sul palco per dare una botta con un martellone e mettere in moto la ruota dei singoloni, che poi indica il brano successivo tra i grandi successi. Poi c’è la girandola dei ‘Calimero’, cioè dei singoli meno riusciti, dalla quale viene scelta una singola canzone.
“Chiaramente, tutto questo sarebbe un bel problema per me, per l’audio, per la band, per tutti... così non è esattamente fatto a caso. Lei, prima dello spettacolo, sceglie un numero di brani e ce lo dice prima. Io li devo andare a selezionare perché sono io che controllo la ruota, e devo fare finta che i brani vengano su a caso”.

Quali proiettori stai usando?
Il service DG System ha fornito materiale nuovissimo, buona parte del quale acquistato proprio per questa tournée. Il parco luci, per la maggior parte, è Robe. Infatti devo proprio ringraziare RM Multimedia per la loro disponibilità per quanto riguarda il materiale in questo tour. Per cominciare, ho 34/35 Pointe.

Allora non è così teatrale come impostazione...
No, per niente. Di materiale prettamente teatrale ho solo nove sagomatori. Avrei voluto usare dei LED Beam 100, anche come personality light, perché non ho dei puntamenti definiti. È tutto molto sfocato, anche i gobo rimangono quasi sempre sfocati, volutamente.

Mi sembrerebbe anti-intuitiva questa scelta: con tutte quelle superfici bianche nella scenografia, avrei dato per scontato di proiettarci i gobo sopra.
No. Infatti, su quelle non proietto niente di definito. Le cose sono poche: c’è l’arco dietro che posso illuminare in controluce, poi c’è un truss di fari per illuminare i musicisti direttamente e poi c’è una luce per lo stage davanti. Comunque, a me non piacciono le cose troppo elaborate. In un brano, se faccio dieci memorie, mi sono già allargato. Ci sono brani, per esempio, dove passo da tutto acceso a due sagomatori... e basta, niente altro.

Per il resto dei proiettori?
Fondamentalmente, ho un problema: ho un bianco che non mi soddisfa molto. Originalmente avevo chiesto dei Robe LED Wash 600, ma il service aveva già fatto un grandissimo sforzo per fornire altri materiali qui; così ho dei wash Red Lighting per il bianco: come potenza sono abbastanza adatti, ma il bianco lascia un po’ a desiderare. Provo a scaldare la luce da questi con i DWE, ma non sono posizionati molto bene per farlo e mi illuminano anche cose non volute.
Ho anche due seguipersona Robert Juliat Ivanhoe solo sull’artista, che li ha voluti con decisione. Di solito non mi piacciono molto, ma in questo caso mi fanno molto comodo, perché lei vuole andare dove le pare sul palco, senza costrizioni. Però nella prima parte dello spettacolo con il tulle davanti alla band mi creano il bollo bianco dietro, che non è bellissimo... ma non si può avere tutto.
La mia regia è collegata ai dimmer alla vecchia, cioè via cavo di rame. Poi, le quattro linee escono dagli splitter in parte wireless e in parte su cavi DMX. Per i LED sugli anelli, ad esempio, aveva senso solo andare in wireless: la prima e l’ultima americana sono collegate in wireless, perché spesso usiamo il front truss del teatro che a volte non è neanche cablato in DMX. Il sistema wireless è di Wireless Solution: abbiamo due linee, ma una la teniamo come spare. Da aggiungere rimangono solo due macchine da nebbia Swefog.

E le barre a terra davanti sul palco?
Queste barre sono autocostruite – “MacGyver Production”. Sono delle normalissime lampade con riflettori dicroici. Mi serviva qualcosa di leggermente più morbido. Io uso dei DWE come piazzato, ma con questi scaldo il palco davanti.

Chi fa parte della squadra luci?
Andrea Loveti è il capomacchinista, poi c’è Roberto Giansante dimmerista/elettricista e Nicola Luciani, elettricista. Andrea si occupa anche dei movimenti scenici, apertura e chiusura del siparietto, e fa muovere fisicamente gli anelli.

Marco Pallini – fonico FoH

“In totale abbiamo 48 canali – racconta Marco – la maggior parte dei quali microfonici e tanti di questi a condensatore, soprattutto sulle percussioni. Sul palco ci sono delle percussioni classiche – marimba e vibrafono – microfonate con dei Neumann KM 84 da sopra. Ci sono anche congas, cajon, balafon e altro... solo per le percussioni impieghiamo 16 canali!
Poi c’è la batteria, ovviamente. Quindi c’è la sezione dei fiati: sax, trombone, tromba e flicorno... in più fanno anche dei cori, così ci sono microfoni separati per quello.
Chitarre, sia elettrica che acustica, mentre il basso viene ripreso dallo strumento e dall’amplificatore. Per questo non c’è una cassa, ma prendiamo il segnale dall’uscita di potenza dell’ampli, trasformato e mandato in una DI, ottenendo un mix del basso pulito con il segnale semidistorto dall’amplificatore. Suona anche un contrabbasso, preso dall’uscita di linea, perché è uno strumento muto.
“La batteria può definirsi classica fino ad un certo punto, perché il batterista usa tre rullanti: oltre a quello principale, un secondo rullante serve come effetto, poi ce n’è un terzo, montato al posto del secondo tom, che viene usato sia come rullante profondo che come tom. C’è un set di tastiere: piano stereofonico più un mix di tastiere da cui arriva un pre-mix suo. Poi ci sono un violoncello e delle piccole percussioni.
“Infine – dice Marco – ci sono quattro radiomicrofoni per i coristi, sistemi Shure con SM58.
“Per quanto riguarda la regia – dice Marco – sia per gli ingombri sia per la complessità abbiamo scelto un mixer digitale, un Soundcraft Vi6. Al palco c’è un Vi1 e il sistema è concepito così: c’è lo stagebox Soundcraft/Studer sul palco con 56 ingressi; in fibra ottica manda in MADI i 56 ingressi a me e a Paolo (Ojetti, fonico di palco – ndr). Il guadagno lo controllo io, e lui ha il trim per la compensazione sul suo banco.
“A parte il Vi6 – continua Marco – in regia abbiamo un Distressor come compressore sulla voce di Malika, ma non uso molte outboard: un Bricasti M7 come main reverb e un Empirical Lab Fatso come compressore sul master, per compattare le dinamiche che tendono ad andare un po’ troppo su e giù.
“Il resto, per lo più plugin Lexicon e BSS, è tutto all’interno del banco: parliamo di una console pensata più per il broadcast che per il live, ma ci si lavora comunque bene. Con il vecchio Midas Heritage qualche anno fa eravamo forse un po’ più a nostro agio, ma certe comodità valgono la pena”.
“I preampli di questo banco vanno molto bene; quello che manca, secondo me, è quella parte di aria... proprio la profondità del suono: i suoni sono molto fermi, sembrano dei campioni. Quindi manca un po’ di realtà che, in questo tipo di concerto, non guasterebbe.
“Stiamo anche registrando con Pro Tools, ma solo per archivio e per il virtual soundcheck”.

Come fai con la sua voce in questo setup?
Abbiamo cominciato con un radio Shure con capsula KSM9, ma abbiamo cambiato la capsula durante le prove generali perché il risultato era troppo aspro e metallico. Ci abbiamo messo una capsula Beta87 che è più contenuta. Subito a valle del ricevitore abbiamo un Avalon 737, di cui uso solo la preamplificazione e un pochino di compressione. Da quello usciamo a livello di linea ed entriamo direttamente nello stagebox Soundcraft.
Nella console, uso un filtro passa-alto come primo stadio, intorno ai 160 Hz. Poi c’è un’equalizzazione con cui di solito tolgo un po’ di medie intorno a 1,5-2 kHz, secondo la sala. Aggiungo un po’ di alte estreme sopra, intorno ai 10 kHz, in shelving. Poi, in insert c’è il Distressor, per tenerla bella ferma. Come riverbero, uso una Room sul Bricasti, poi sui pezzi larghi uso una Hall.
“Quello che è cambiato sostanzialmente dall’ultimo tour – conclude Marco – è l’impianto. Quest’anno ci hanno dato questo JBL VTX che va molto bene, ma ancora dobbiamo capirlo a fondo: Alberto lo potrà spiegare meglio di me”.

Alberto Alicandro – PA engineer

“Questo impianto è composto di otto nuovi moduli VTX V20 JBL per lato, con otto sub S25 in totale. Rispetto al Vertec, che è molto aggressivo, nel VTX hanno modificato un po’ la parte alta. Monta un doppio 10”, un doppio driver a compressione e quattro medi. L’impianto funziona molto bene, ma, essendo nuovo, stiamo ancora cercando di fare amicizia e conoscere i vari preset e le configurazioni.
“Con gli array e i sub molto separati, come qua, uso dei VRX appoggiati sui sub e sotto il bordo del palco per riempire un po’ in mezzo per le prime file.
“Il tutto è amplificato con dei finali Crown I-Tech 4x3500, con i processori interni.

Come gestite i segnali tra banco ed impianto?
Eravamo partiti con L/R+Sub separati, ma adesso stiamo lavorando solo con left/right. Dal banco, passiamo per un Galileo, che sostanzialmente fa solo da matrice, per me una comodità: escono 16 canali, di cui otto di sub, perché ogni finale va ad un sub.

Riuscite ad appendere l’impianto in ogni venue?
Non dappertutto. Questo tour è fatto di un giro di andata e un giro di ritorno, 16 date in un mese e 16 il prossimo. Fino ad ora l’abbiamo sempre avuto appeso nel giro di andata. Nel giro di ritorno, però, avremo parecchie date in cui sarà appoggiato. Con l’impianto appoggiato, siceramente, non cambia molto: dobbiamo solo lavorare di più, in particolare sulla separazione.

Paolo Ojetti – fonico di palco

“Usano quasi tutti degli in-ear monitor – ci dice Paolo –. C’è un rack di 12 in-ear: dieci musicisti, uno per me e uno spare. Per chi lo ha voluto, abbiamo preferito il cavo, per un discorso qualitativo, e per la sensazione di compressione che gli in-ear danno.
“Ho 12 mandate stereo solo per gli in-ear, ed uso quindi 24 uscite, cioè tutte quelle disponibili sul Vi1. Usando 12 mandate stereo, mi aiuto con il left e right per le madate ai monitor Meyer UPJ che fanno da side-fill per i ballerini, infatti non volevamo complicare le cose ulteriormente mettendo gli IEM anche ai ballerini. Il batterista ha anche un sub come drum-fill, a cui aggiungo solo cassa e un po’ di basso. Anche il center delle uscite main lo uso come canale per il sub: perciò, la console è strapiena.
“Sono dodici canali radio di in-ear – spiega Paolo – più sei radiomicrofoni. A livello di radio sembrerebbe abbastanza pieno, ma diversi dei musicisti usano l’ascolto tramite cavo dall’uscita cuffie dei trasmettitori IEM Sennheiser, che, effettivamente, è un’ottima uscita. Così, riesco utilizzare quei trasmettitori in modo che non emettano segnale a RF. Questo semplifica molto il lavoro con le frequenze. Infatti, riesco benissimo a utilizzare le funzioni di scansione incorporate nei ricevitori.
“Non ci sono sequenze, per niente; solo un click che viene mandato a tutti, perché in diversi brani ci sono diverse parti musicali che pilotano le altre.
“Il mix è abbastanza completo – continua Paolo – c’è un po’ di tutto, soprattutto in quello di Malika, che ha uno spettro sonoro più completo di tutta la band, anche perché questo è un concerto in cui ogni strumento ha la propria importanza. Dinamicamente, lei ha bisogno di appoggiarsi delle volte sulla chitarra, delle volte sulla marimba, altre volte sulla base ritmica... quindi ha un mix molto simile a quello della sala.
“Per aiutarmi in questo – precisa Paolo – utilizzo riverberi, molto i pan per dare spazio a tutto, rispettando anche il discorso della disposizione delle sorgenti sul palco. Aiutano Malika ad avere una prospettiva reale. Anche la batteria ha un mix molto da studio.
“Uso solo tre effetti stereo: una room sulla batteria, una small hall un po’ per tutti, e una hall, sempre abbastanza corta per dare a lei un po’ di spazialità. È piuttosto semplice fare un bellissimo suono di voce per Malika perché parte tutto da lei, è il suo strumento.
“Per il suo ascolto faccio un mix in cui la voce è compressa due volte: una volta dall’Avalon direttamente dal ricevitore; poi la trattengo un po’ sul canale nel banco. La sua voce ha una gamma dinamica molto ampia, quindi ho bisogno di tenerla ferma su alcune parti.
“Visto che c’è questa doppia compressione, per darle la sensazione di naturalezza, al riverbero assegno un canale che non è compresso. Questo fa sì che, quando Malika canta molto piano, il riverbero quasi non c’è, mentre quando spinge l’ambiente apre molto.
“Ovviamente – conclude Paolo – con così tanti condensatori sul palco, nonostante l’uso del monitoraggio in cuffie e IEM, c’è un po’ di sporcizia sui microfoni che entra dagli altri strumenti sul palco. Chi ne soffre di più è il musicista stesso al quale serve quel microfono, essendo quello generalmente abbastanza esaltato nel proprio mix, mentre questo va ad influire poco sull’ascolto di Malika, per esempio. Per evitare questo mi aiutano moltissimo le scene di mute, che mi permettono brano per brano di tagliare gli ingressi che non servono. Uso le scene più o meno solo per questo... tengo tutti gli altri parametri in safe e richiamo solo i mute”.

Lo show

Non ci hanno mai deluso nel passato le produzioni create a supporto di questa talentuosissima cantante e questa volta non è diverso... beh, lo spettacolo è ben diverso da quelli del passato, ma è sempre una gradevole serata di musica fatta come si deve, scenografia bella e gustosa, con il giusto tocco di giocosità che orbita attorno alla sua voce incantevole. Anche se, a sentirla descrivere, sembrerebbe proprio un allontanamento tangenziale dal suo personaggio artistico, l’inclusione dei numeri con i ballerini funziona. La coreografia porta ulteriore attenzione sull’artista, senza richiedere alla stessa di tentare cose straordinarie, e quel che fa, lo fa con naturalezza... soprattutto senza sottrarre niente alla sua impeccabile performance vocale. Cioè, l’impatto non è (e non sembra voler essere) da Paola Abdul ma più da Le Chat Noir. Il pubblico nella serata a Senigallia è piuttosto caloroso e questo fa funzionare la gag della “ruota della fortuna” che sceglie diversi brani in mezzo allo spettacolo. Infine, un aspetto importante – che dipende sempre un po’ dal pubblico – è notevolmente migliorato in questo spettacolo, rispetto a quelli del passato: l’artista ora ha una scaletta intera di canzoni sue o da lei intepretate ben conosciute dal pubblico.
L’audio non ha pecche. Il mix in sala è molto discografico e la voce, giustamente, mantiene la prominenza nell’esecuzione dei testi, mentre si amalgama perfettamente con i cori quando questo è l’effetto desiderato... forse questo dipende dall’orecchio dell’artista quanto dipende dal fonico, ma il risultato ottimo è merito di entrambi. Il PA JBL, che sembrava piuttosto stridente durante il soundcheck, ha mostrato un carattere molto più caldo e bilanciato durante lo show.
Per quanto riguarda le scenografie e le luci, questo show è meno sperimentale di quello di Grovigli, ma il look classico da “bandstand” è ben adatto ad una piccola orchestra con così tanti musicisti in posizioni statiche. La visuale generale propone un’architettura notevolmente neofuturista – con le superfici bianche e curvate sul palco e sopra – che decisamente si trasforma in un design della scuola Googie per il brano Lentamente, con l’entrata in scena degli anelli rotanti.
Lo spettacolo evolve bene, con una prima fase nella quale la band è nascosta e gli effetti visivi e luminosi dipendono molto dalle proiezioni. Nella seconda fase, vengono sfruttati la scenografia fisica e dei bei quadri di luce. Poi, verso la fine, viene proposto qualche lightshow vero e proprio.
Oltre ai complimenti a Fossataro, dobbiamo notare che questa è la prima volta che vediamo una produzione con un’illuminotecnica in cui il Robe Robin Pointe fa da protagonista e si dimostra veramente un proiettore versatile in grado di ricoprire più ruoli di quanti ci si possa aspettare da una singola tipologia.

 

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