Biagio Antonacci – L'Amore Comporta Tour

Il concerto di Biagio Antonacci del 105 Stadium di Rimini in novembre 2014: il nostro reportage sull'evento

di Douglas Cole

Il suo tredicesimo disco di inediti, L’Amore Comporta, è uscito ad aprile dell’anno scorso, piazzandosi ai vertici delle classifiche per qualche settimana e aggiudicandosi un disco di platino dopo solo nove settimane – certificazione  raddoppiatasi prima della fine dell’anno. Alla fine del mese successivo, Antonacci ha fatto un megaconcerto a San Siro, ospitando anche Laura Pausini ed Eros Ramazzotti sul palco. A completare un indaffarato 2014, ha portato in 23 palasport italiani durante l’autunno la prima tranche di una tournée che già prevede repliche primaverili in tutta la Penisola.

È stato proprio un anno notevole, il 2014, per il cantante milanese Biagio Antonacci: un disco in studio doppio platino, un concertone a San Siro (ed un cofanetto disco/DVD a commemorarlo) e da ultimo, ma non per importanza, un nuovo spettacolo molto diverso da quelli degli ultimi anni. Abbiamo apprezzato moltissimo la “portabilità” della produzione per la tournée precedente, senza appendimenti e costruita interamente intorno ad un palco con una lunga passerella ed una struttura Layher dietro che ospitava audio e luci. Conseguentemente, però, l’aspetto visivo dello show, in quel caso, si reggeva quasi esclusivamente sul personaggio dell’artista: senza video e con tutte le luci in quota sul fondo, la scena non aveva tante possibilità di variazione.
Questa volta abbiamo trovato qualcosa in più.
Prodotto da F&P Group, con la produzione esecutiva affidata a Mario Zappa, L’Amore Comporta Tour è un ottimo lavoro di una squadra che ha chiaramente voluto un valore aggiunto per i fan di Antonacci. È, senza dubbio, una tournée tecnicamente più impegnativa rispetto al tour precedente, ma la riuscita a livello “spettacolare” vale ogni cassa, lampadina, LED, telecamera e pezzo di ferro in più. Alcune cose sono costanti: audio e luci (ma anche schermi LED, questa volta) forniti da Agorà e strutture da Massimo Stage. Stefano De Maio è sempre il responsabile del suono in sala mentre lo show  design e le luci sono ancora di Francesco De Cave. La squadra che ha il compito di portare la produzione in tournée è variata poco, e comprende, comunque, veterani del tour precedente: il direttore di produzione Giovanni Chinnici, il site coordinator Aurelio Caponetto e l’assistente di produzione Fenia Galtieri.
Ci sono anche delle novità. Innanzitutto, questo show include anche il video, con riprese, regia e grafiche fornite dalla squadra di TeleMauri, di Maurizio Maggi. La scenografia di Igor Ronchese e Tekset è un altro fattore che contribuisce alla riuscita di questo show. Altra novità è che l’impianto audio è composto di sistemi L-Acoustics di ultima generazione – K1 e K2 – mentre vediamo in tournée per la prima volta la console digitale Cadac CDC Eight in regia FoH.

Noi siamo andati al 105 Stadium di Rimini alla fine di novembre, per vedere il concerto e per parlare con la squadra che lo realizza.

Stefano De Maio – Fonico FoH

Cominciamo con la squadra audio, parlando per prima cosa con il fonico di sala, Stefano De Maio, che soddisfa qualche nostra curiosità, in particolare sulla console Cadac.
“Innanzitutto – racconta Stefano – la band è abbastanza nuova. Già a San Siro, della vecchia band rimanevano solo il bassista e il chitarrista Gabriele Fersini. Gli altri erano nuovi. Poi, da allora, anche il batterista è cambiato di nuovo. Abbiamo trovato il batterista nuovo su Youtube attraverso un contest di batteria. Biagio aveva chiesto gente giovane, allora sono andato su Youtube e ho scoperto questo Bonanza Drum Contest gestito da Thomas Lang, e mi sono messo in contatto con il vincitore. Ha ventuno anni ed è una specie di fabbro, mi sa. Mena che è un piacere: siamo molto contenti di lui. Non solo è la sua prima tournée, è la prima volta che suona questo tipo di musica pop/rock. Una cosa impressionante: ha una memoria non dico da Pico Della Mirandola, ma quasi. Quando è arrivato sapeva più pezzi a memoria di chiunque”.

Come ti trovi con il Cadac?
Io mi trovo molto bene, perché mi piace lavorare “all’antica” e questa è una console digitale assolutamente in sviluppo, per ora, ma si usa come un’analogica. La qualità del suono è ad un livello superiore rispetto alle altre console digitali, non ha nessun problema di affidabilità e sì, mancano ancora delle cose a cui adesso si sono abituati tutti, ma che a me non servono. In più quando Corsello (Andrea Corsellini – ndr) mi ha portato a vederla a Londra mentre era in fase di sviluppo e ho visto gli schermi grandi, essendo “ciecato”, ho detto: “la voglio, punto!” Non è ancora pronta per un utilizzo nel quale serva avere tutte le memorie, eccetera; in questo senso è ancora in fase di sviluppo, infatti se tu guardi la mia, trovi un’unica memoria che si intitola “lo show”. Quindi è analogica, perché vado a mano come si faceva un tempo e anche il tipo di suono, sia della preamplificazione, sia dell’EQ, lo definirei analogico. Ha due tipi di EQ: uno è come quello delle console J‑Type e l’altro ha quattro bande completamente parametriche.

A proposito del modo di lavorare all’antica, noto anche dell’outboard analogico.
Per quanto riguarda il Lexicon 480L, quando mi presenteranno un riverbero che suona meglio, io sarò contento; quelli della console, perché li ha anche interni, per certe cose vanno bene, ma per quanto riguarda la voce preferisco il 480.
Ho anche il compressore Neve 33609. A me serve comprimere, equalizzare e poi ricomprimere. Nella console ancora non si può mettere la compressione prima e anche dopo l’EQ. Questo inconveniente fa parte di una lista di cose da mettere a posto che stiamo riferendo al costruttore. Pian piano, stanno mettendo a posto queste cose per versioni future del software.
Poi ho due Empirical Labs Distressor da usare sul basso. Uno di questi è in bypass. Ho il MaxxBCL sul master, ma dipende dalla serata... qui è in bypass. Ci sono quei palazzetti dove si montano poche casse e in quei casi lì mi aiuta, anche se viene utilizzato appena appena.
Il de-esser SPL è qui, ma in realtà è spento perché l’ho usato una volta e ho deciso che non serviva.
C’è anche il registratore Nuendo per il virtual soundcheck, ma l’ho usato solo a Morbegno per l’allestimento.

A parte la console, avete altre novità?
Siccome Biagio si muove e fa muovere molto i musicisti sul palco e questo comporta un uso pesante di collegamenti radio, abbiamo sposato la filosofia Kemper per le chitarre. Ognuno ha il suo Kemper più uno spare. Questo ci ha risolto milioni di problemi. Prima di tutto, ha eliminato qualsiasi bisogno di isobox e microfoni. Poi, visto che dovevamo utilizzare l’SMPTE per forza per sincronizzare i video, ci ha eliminato anche il problema del musicista-velocista che deve correre ai pedalini. Adesso i chitarristi suonano e basta, i suoni vengono cambiati automaticamente.
Per il resto, è tutto molto standard, microfoni e tutto. Una particolarità è l’uso dei radiomicrofoni Axient, che sono macchine di alto livello. È un sistema che richiede un certo budget ma, in particolare con le chitarre, si attacca il jack e il suono è già lì, quasi come un cavo. Anche Biagio usa un trasmettitore Axient, con la capsula Beta 58. È una capsula “ignorante”, ma è una via di mezzo che va benissimo con la sua voce. Certo che altri microfoni potrebbero dare una resa forse più bella, se Biagio stesse fermo su un palco normale, ma con un palco con passerelle lunghe come questo e con un personaggio come Biagio che in qualsiasi momento potrebbe cominciare a dare il microfono alla gente, un D:Facto o altra capsula a condensatore certamente non conviene.

Per la passerella hai sempre la mano sul panpot con la voce?
No, perché, potendo appendere l’impianto e non mettendolo nel Layher, non ho mai avuto sentore di fischi, zero problemi! Non so cosa faccia Davide, ma funziona benissimo. Neanche i segnali tra le casse dell’impianto sono divisi... una cosa che non mi piace mai fare perché, secondo me, distrugge un po’ il concetto del line array. Forse è una combinazione tra l’uso dei nuovi radiomicrofoni e il fatto che siamo riusciti a portare l’impianto un po’ più in alto.

Davide Grilli – PA Engineer

Davide, invece, risponde a qualche domanda sull’altra novità in questa produzione: il nuovo impianto L-Acoustics.

Questa volta misto, K1 e K2?
Questa volta misto perché K2 è progettato per essere utilizzato come downfill sugli array di K1. La cosa bella è che ha la tromba che si apre anche a 110°, quindi quasi uguale al KARA o al dV-DOSC, però ha lo stesso identico hardware e larghezza, che non fa altro che migliorare la direttività delle altre casse e creare un array molto più massiccio. Suona benissimo, sia come impianto, sia come downfill per il K1. Usiamo array di K1 fino ad un totale di 12 elementi, poi aggiungiamo fino a quattro K2 downfill. Per il resto della copertura acustica, abbiamo come frontfill delle casse Proel Edge, un prodotto riuscitissimo, e anche delle L-Acoustics 8XT che riempiono il vuoto generato dalla forma della passerella.

La configurazione per le basse frequenze sembra molto diversa dalle tua solita.
Un particolare di questa tournée – che si è rivelato immediatamente efficace e ha entusiasmato i miei capi e anche tante altre persone – è che abbiamo i sub appesi. Un po’ per necessità e un po’ per scelta del fonico, perché abbiamo un palco molto largo e potevamo mettere pochi sub a terra.
Qui a Rimini abbiamo nove sub per lato a terra, arrangiati nella mia solita configurazione GASS (Grilli Audio Sub System – ndr). Questi fanno gli infrabass sotto, quasi emulando dei 21”. Quelli sopra, invece, sono disegnati in modo da seguire con coerenza la fase dei 15” del K1, però sono spinti sotto. Quando c’è un power chord sulla chitarra, è una bomba. Nei medio-bassi ha la resa di un 18” e gli faccio fare un po’ da sub, ma anche l’accoppiamento con i K1 davanti. In questo modo, abbiamo un effetto cardioide nella parte bassa e medio-bassa del K1, mentre la parte sub rimane omnidirezionale. Essendo sospesi, rendono un po’ meno di quanto farebbero se fossero a terra, ma vanno ad aiutare anche le tribune adiacenti... avendo i side quasi in linea, si trovano anche in fase con i side.
La cosa bella è che frontalmente c’è un effetto cardiode nella parte bassa e medio-bassa e una grande spinta, poi c’è una resa dei sub molto più omogenea rispetto a terra, che produce lobi diversi rispetto a quelli appesi. Trovando le giuste sovrapposizioni dei lobi, si ottengono delle basse praticamente omogenee in tutto il palazzetto.

Usate direttamente LANet per controllare distribuzione ed equalizzazione?
Siamo partiti con il Galileo di Meyer Sound da Roma, dove la location era particolarmente impegnativa, perché riusciamo ad avere un suono molto più potente rispetto a quello che otterremmo usando direttamente gli LA8. È l’unica cosa che ancora manca agli LA8. Per il resto vanno benissimo. Poi, pian piano, lo sto adattando. Ho dovuto pensare, tra l’altro, ad un modo affidabile di avere un backup; me lo sono studiato e, alla fine, ho inserito tutti i ritardi e tutte le proporzioni di volume nel LANet, quindi le fasi e tutto il resto sono comunque salvati anche lì. Poi equalizzo con Galileo perché, partendo da Roma, avevo bisogno di un equalizzatore veramente potente. Questo pilota tutti i canali ‘A’ dei finali; ai canali ‘B’, invece, ci va il mixer direttamente. Nello scenario peggiore, in caso di disastro, perdo gli EQ, ma potrei passare sugli ingressi ‘B’ e ripassare gli EQ al volo tramite LANet. Questo sistema mi rende abbastanza sereno. Nel Galileo, invece, ho anche un ingresso alternativo con un mix dalla console di palco per coprire l’eventualità di un problema con il banco FoH.
Sto facendo ulteriori esperimenti: provando ad usare il Galileo solo come distributore e facendo il resto in LANet, si sente già una bella differenza, ma una cosa che abbiamo scoperto nell’invertire il sistema di backup – indirizzando l’uscita del banco agli amplificatori e tenendo il Galileo come spare – è che con tutti i 30 amplificatori linkati insieme (in analogico), si perdono 0,05 dB di segnale su tutti i finali e il suono si ammoscia un po’.
Una cosa interessante è che ho costruito una scatoletta, che inizialmente avevo fatto per Daniele (Tramontani – ndr) per Baglioni. Volevo lavorare solo con LANet, e sono andato a trovare un circuito pensato per i DJ che vogliono usare dei finali da 1000 W con le cuffie, che riesce a prelevare un segnale di potenza all’uscita di un amplificatore da inserire nell’analizzatore di spettro. Uso un amplificatore spare, che prende il segnale da altri punti del sistema, e nell’analisi riesco a confrontare quello che entra con quello che effettivamente esce in tempo reale. Posso indirizzare a questo ampli uno qualsiasi dei vari segnali destinati alle varie parti del sistema. Questo ha aperto un mondo, perché dà trasparenza a quello che sta facendo LANet. Mi sorprende che L‑Acoustics non produca una cosa simile di serie.

Comunque ti tocca proprio lavorare sodo in questa venue qui, no?
Questa sala proprio non è facile. Siamo rimasti tutti stupiti dai miglioramenti al palasport di Forlì.  E non è solo il nostro punto di vista: ho degli amici che non comprano più biglietti a Rimini se lo show viene fatto anche a Forlì. Questa è una considerazione importante nello show business... chi fa investimenti nelle strutture a livello di suono pian piano si troverà le venue piene. A Rimini dovrebbero cominciare a pensarci.

Massimo Manunza - Fonico di palco

Massimo Manunza ci spiega il setup sul palco e per il monitoraggio.
“Uso un Avid Venue Profile  – ci dice Massimo – perché le esigenze non sono particolari, con i plugin Waves all’interno. Per quanto riguarda il monitoraggio, è il solito sistema IEM. Infatti, non ci sono casse da nessuna parte, anche perché, con questa passerella, sarebbe impossibile per l’artista usare i monitor. Gli IEM sono Sennheiser Serie 2000 e per gli auricolari, c’è chi usa delle standard, chi usa Livezone, chi usa Ultimate Ears… ognuno ha le proprie, giusto per rendere il mio lavoro più facile!
“I mix sono otto stereo per la band, più i vari servizi, in totale 15 mix più gli effetti, che sono tutti dentro il waves.
“Questa volta come radio abbiamo gli Axient e gli ULX‑D per gli strumenti. Stiamo usando gli XTA per sdoppiare i segnali; uno va al Cadac e uno da me.
E poi la novità di quest’anno sono i Kemper che vengono usati per tutte le chitarre, mentre il basso usa Line6. È tutto molto sintetico, ma di grande impatto”.

Quanti musicisti ci sono?
Batteria, basso, due chitarre, percussioni; in più Emiliano suona due chitarre, gestisce le sequenze e un campionatore che suona manualmente, poi c’è Magri che ha tutto il set di tastiere.

Antonacci come preferisce l’ascolto, un mix ascoltabile o da cantante?
È un mix ben bilanciato, vuole ascoltare più o meno tutto, senza richieste particolari. Comunque, io preferisco sempre lavorare partendo da questo: si crea un mix musicale d’ascolto che poi viene regolato secondo le richieste del musicista.

Mi ricordo che spesso usava solo un singolo auricolare...
Prima era abituato a toglierne uno per sentire il pubblico in alcuni momenti. È meglio evitare di togliere e rimettere gli auricolari: si danneggiano i fili, nella fretta e senza aiuto si rimettono male o con aria eccessiva intrappolata nell’orecchio, dopodiché non solo non suonano bene, sono scomodi e diventano un problema anziché una soluzione. Per evitare che l’artista faccia così, ho aggiunto dei microfoni panoramici per riprendere il pubblico.

La squadra di palco da chi è formata?
Da me e da tre backliner: Paola Bertozzi per batteria, percussioni, basso e una chitarra, Michele Vannucchi per le chitarre, Dario De Vido che segue le tastiere e, durante lo show, segue anche l’artista.

Emanuele Vangelatos - Operatore luci

Alla regia luci a Rimini troviamo Emanuele Vangelatos, operatore luci che molto spesso porta in tour gli spettacoli progettati da Francesco De Cave.
“Faccio l’operatore luci – spiega Emanuele – per conto di Francesco, che ha ideato il progetto illuminotecnico. Io gestisco la console luci, i Catalyst, seguo la movimentazione delle sfere che rappresentano delle lune, anche se, in realtà, a movimentarle è Davide Altobelli; io mi limito a dargli direttive e cue durante lo show.
“Il palco e la passerella, visti dall’alto, hanno la forma della costellazione dello Scorpione, con ogni pedana a rappresentare una stella, più i vari raccordi che, da accesi, uniscono la costellazione.
“Abbiamo quattro cerchi – continua Emanuele – più un semicerchio posteriore, che fanno la gran parte dell’illuminazione; è stato un po’ complicato per Francesco cercare di incastrare i fari in modo da non interferire con le sfere. E anche io, quando faccio i focus, faccio cambiare la scena in base al focus che devo fare per non avere interferenze. I quattro cerchi sono fissi, il problema è che le sfere occupano un certo volume nell’aria e, quando scendono, bisogna stare attenti a non sbatterci dentro perché, se vengono illuminate dal punto sbagliato, si perde l’effetto. Le sei sfere bianche hanno all’interno un cilindro illuminato in RGB, mentre abbiamo la luna scura e quella bianca che hanno all’interno rispettivamente una lampadina calda e una fredda. Ad esempio, sul brano Se è vero che ci sei, il momento in cui tiriamo giù la luna bianca, vedi questa luna scendere e fermarsi a due metri da terra mentre lui canta e ci gira intorno e alla fine del brano risale e scompare.
“Poi dietro abbiamo lo Starcloth, un fondale pieno di LED, che aiuta perché dà quell’effetto di sfondo stellato. Oltre alle sfere abbiamo poi una mirrorball che scende durante un brano, fa il suo bell’effetto specchiato e riscompare.
“Le sfere hanno delle posizioni concordate – aggiunge Emanuele – ovviamente a seconda delle quote che troviamo nei palazzetti italiani che variano da sette metri a ventisei. Dobbiamo ogni giorno adattarci per non impallare troppo gli schermi, per non essere troppo fuori... facciamo il tutto per avere sempre lo stesso effetto. Qui abbiamo un’altezza buona, ma in alcuni palazzetti, dove non riusciamo ad andare molto in alto, lo show rende sempre, ma non ha lo stesso impatto”.

Quali sorgenti state utilizzando?
Strobo a sufficienza, una trentina di Atomic 3000 della Martin con cambiacolori, trentuno ClayPaky Alpha Profile 1500 che fanno principalmente controluce, trentasei Sharpy e dodici A.leda K20 che usiamo in modalità estesa con la parte RGB mappata con Catalyst.
Abbiamo preso lo stesso contributo che appare sugli schermi in cui c’è il live che si sposta e un blu che pulsa in modo diverso a seconda degli schermi, poi abbiamo preso lo stesso contributo diviso per cinque schermi e lo abbiamo messo sulla mappatura degli A.leda, quindi gli A.leda pulsano con lo stesso colore. Ogni A.leda ha 37 celle RGB, quindi puoi fare un po’ quello che vuoi. Poi abbiamo dei Alpha Spot 700 della ClayPaky a terra, dei Robe 1200 per fare il fondo in controluce da sotto e dei MAC Aura che usiamo come wash, sia per fare i frontali sia i controluce. Tutte le pedane in opalino hanno sotto dei PARLED e, quando vengono illuminate, viene resa visibile al pubblico la forma della costellazione. Le tengo sempre accese, almeno ad un minimo, per rendere visibile la passerella anche all’artista. Essendo larga solo un metro, nel buio, non è impensabile che qualcuno che ci cammina sopra la manchi.

Invece, non sembra che gli schermi vengano pompati più di tanto.
No, li stiamo tenendo al giusto equilibrio. Per la maggior parte del tempo c’è del live, anche effettato, ma l’idea è quella di trovare un equilibrio tra la luminosità del video e quella delle luci; diversamente sarebbe come darsi la zappa sui piedi.

Si sta imparando sempre più ad usare i video in maniera integrata alle luci, no?
Sì, assolutamente. Prima c’è stato il periodo tutto luci, poi sono usciti i LEDwall, quindi il periodo LEDwall “a manetta” e, per le luci, o ne avevi 1500 strette sparate o non le vedevi; ora stiamo trovando il giusto equilibrio.

Il media server è solo per gli A.leda?
Mandiamo grafiche anche al video, ma nessun contributo reale. Alcuni pezzi li gestisco direttamente io da Catalyst, oltre ad usare, come dicevo, il Catalyst per fare il mapping degli A.leda, ovvero usando gli A.leda come se fossero dodici schermi video. Uso una console Whole Hog 4, ormai un classico.

In quanti siete nella squadra luci?
Cinque tecnici luci, un rigger ed io. Diciamo che il rigging viene “spartito” tra noi e i rigger a seconda della fase del montaggio. Al mattino entriamo con il mothergrid al seguito per questioni di posizionamento. Trovo, personalmente, che quella del mothergrid sia una soluzione molto furba, sia per far fronte alle ovvie difficoltà dei palazzetti italiani, sia per quelle imposte dal calendario del tour.

Quanto ci mettete a montare il tutto?
Siamo partiti che era abbastanza dura, ora stiamo migliorando e dipende sempre dal posto in cui ci troviamo: nel palazzetto sbagliato il minimo problema diventa una grande difficoltà.

Marino Cecada – Regia video

In una combinazione che si vede sempre più spesso, l’aspetto video di questo show viene seguito da Agorà per quanto riguarda l’output (cioè gli schermi LED) e da TeleMauri, di Maurizio Maggi, per quanto riguarda l’input – telecamere, regie e contributi. Stasera, anche Mauri è in America in tournée con Laura Pausini, e a prendere il suo posto alla regia è Marino Cecada.
“Faccio la regia video per TeleMauri – spiega Marino – e in preproduzione abbiamo fatto le grafiche che vengono mescolate insieme alla regia live. Il concetto visivo e grafico è partito dal disegno del palco a forma di costellazione dello scorpione.
“I brani solo con contributi sono meno rispetto alle canzoni in cui c’è il live misto con grafica. Alcuni pezzi hanno solo grafiche da atmosfera, tipo Se è vero che ci sei, dove abbiamo solo lasciato queste costellazioni per richiamare il tema del palco.
“Le grafiche sono state fatte appositamente per questo tour. Richiamano il mondo di Biagio. De Cave ha seguito un po’ la direzione artistica/visiva dello show. Ci ha guidato nella produzione delle grafiche e ci siamo confrontati sempre sull’aspetto visivo.
“Gli schermi sono cinque. Tecnicamente li gestiamo con un unico segnale, ma concettualmente per noi sono cinque schermi che possono essere l’unione di un’unica cosa come possono essere cinque pannelli divisi. Il concetto grafico è partito da questo, il giocare sia con cinque superfici sia con un’unica superficie dove gli spazi si azzerano. Il live viene concepito nello stesso modo.
“Le telecamere sono sette – continua Marino – di cui tre presidiate e quattro remotate. In regia siamo in due. Io gestisco la messa in onda, poi la parte grafica e le telecamere remotate sono seguite da una seconda persona. Una parte dei contributi rimangono gestiti direttamente dalla console luci con Catalyst.
“Stiamo lavorando sempre di più  – aggiunge Marino – ad usare il live come se fosse grafica, quindi mescolando dei concetti grafici con il live in diretta. Solo nell’ultimo pezzo, dove viene scoperto tutto, usiamo il live puro. Altrimenti le riprese sono sempre filtrate attraverso qualcosa che distorce un po’ la realtà.
“Con Maggi e la squadra TeleMauri, stiamo sviluppando dei plugin da inserire nella nostra regia nel live per fare un passo in più in quello che sono la grafica e il live: far diventare live la grafica stessa seguendo il movimento, facendo il motion tracking in tempo reale con la grafica che si adatta direttamente alla ripresa. Abbiamo sviluppato dei plugin che permettono di fare in maniera abbastanza agevole cose che sarebbero molto complesse con sistemi più potenti. C’è un pezzo dove il live viene scomposto in tanti quadri e ruotato come se fossero tante fotografie, poi ricomposte. Per fare questo abbiamo sviluppato un plugin apposta. In realtà, in questo tour, per questo contesto abbiamo messo solo una piccola parte di queste idee. Artisticamente, qui siamo andati un po’ in un’altra direzione”.

Quando abbiamo parlato con Maurizo Maggi, lui ha voluto aggiungere qualche parola: “Dopo aver curato la regia video – dice Maurizio – della parte live negli show degli stadi di Bari e San Siro per Biagio, la produzione mi ha riconfermato anche per la parte di tour invernale, dove era richiesta anche la creazione di parti grafiche. Ho coinvolto quindi con piacere Marino, con cui collaboro spesso (vedi anche nei tour di Elisa) con ottima sinergia. Tra l’altro mi ha sostituito nel periodo in cui mi sono assentato per le date americane di Laura Pausini.
“Nel corso del tour c’é stata una rotazione di operatori delle camere, così vale la pena citare tutta la squadra insieme. Nella tournée, alle telecamere ci sono stati Alessandro Antonelli, Eleonora Zamuner, Alessandro Bidinelli, Domenico “Ippo” Ippolito e Ornella Bonaccorsi (camera e A.D.). Giovanni Benassi è stato il responsabile del gobbo elettronico, mentre Marino Cecada si è occupato delle grafiche e della regia.

Lo show

In questo tour, Antonacci gode di una produzione che offre molto di più anche allo spettatore che cade un po’ fuori della demografica predominante tra i suoi fan: scenografia elaborata, video live e preprodotto, un ricco aspetto visivo anche per i posti nelle tribune e, soprattutto, una regia che offre situazione, crescendo, culmine, denouément e conclusione, tutti con un tema legante. Rimangono, però, gli elementi immancabili del personaggio Biagio Antonacci, in particolare una passerella che comunque concede al massimo numero delle spettatrici in parterre l’accesso ad ogni goccia di sudore che l’artista riesce a produrre nel corso di un paio di ore, oltre ad una corta gittata per lanciare la propria biancheria intima.
C’è chiaramente un motivo per cui De Maio è rimasto con Antonacci per tanti anni: riesce a dare il suono pop/rock preciso e appropriato all’insieme che complementa lo stile dell’artista. Inoltre, nonostante la difficile venue di Rimini e la passerella che si estende molto davanti all’impianto, l’audio è ben sotto controllo. Passando anche nelle tribune di fianco al palco, questa configurazione dell’impianto presenta un equilibrio eccezionale. Insomma, un ottimo lavoro di tutta la squadra.

Francesco De Cave – Lighting/show designer

Il giorno della nostra visita alla produzione, Francesco era in America con la produzione di Laura Pausini. Al suo ritorno ci ha dato qualche informazione sul concetto e sull’ideazione della produzione.

“L’idea nasce – racconta Francesco – dal trio abbastanza consolidato composto da me, dal produttore esecutivo Mario Zappa e dallo scenografo Igor Ronchese. Tutti e tre abbiamo un background per poter dire certe cose ed insieme costruiamo il progetto. Il concetto nasce dal segno zodiacale di Biagio, lo scorpione, e pian piano è cresciuto sul fondo stellato con i LED in alto e con le sfere gonfiabili che vanno a riempire e creare l’ambiente astrale che fa da contorno al tema del palco. Purtroppo, per questo show, sono molto più favorite le file rialzate, infatti il concetto si capisce bene dal primo gradino in su, perché si vedono i palchetti circolari che formano la costellazione.
“Lo show è cresciuto insieme all’artista – continua Francesco – perché Biagio ci ha messo del suo. Alcuni contributi video dove si vede lui sono stati pensati dall’artista e realizzati dalla produzione. C’è stata, quindi, un’ottima collaborazione con Biagio che, forse per la prima volta, ha avuto uno show un po’ più pensato, in cui niente è lasciato al caso. Ogni cosa che succede l’abbiamo ragionata insieme a lui”.
“Come show designer, mi sono occupato a 360° dello show, e la creazione dei contributi è stata una collaborazione stretta con tutti i ragazzi di TeleMauri. Marino Cecada mi ha proprio stupito per quanto riguarda la creazione delle grafiche e degli effetti – molto bravo ma anche eccezionalmente veloce in quello che fa. Abbiamo collaborato molto. Io avevo in mente il progetto e lui mi proponeva delle cose, andando al volo a chiarirle, scurirle, contrastarle. Il contributo video è legato all’illuminazione e, se io ho in testa l’idea che un brano particolare debba essere sul rosso, a volte si può fare il contributo tono su tono ma altre volte c’è bisogno di un contrasto, un azzurro o un bianco. Quindi c’è stata una cooperazione molto stretta e produttiva. Per i contributi alcune idee erano le mie, tante erano le sue e diverse erano di Biagio. È stata proprio una bella collaborazione con un personaggio che non conoscevo prima e con cui mi sono trovato molto bene”.

La produzione in qualche modo deriva da quella dei concerti a San Siro e Bari, o è una cosa completamente diversa?
È una cosa completamente diversa. Durante l’estate avevamo preparato uno show proprio da stadio, cercando di riempirlo completamente, compresa la parte che, di solito, non si utilizza mai. Abbiamo allestito senza nessun fondale e avevo spalmato trenta Panorama sulle tribune dietro al palco, per usare i seggiolini vuoti in modo da dare profondità allo spettacolo. Comunque, questa tournée nei palazzetti è stata riconcepita da zero.

Le produzioni precedenti di Antonacci erano molto più snelle, no? Che cosa è cambiato, questa volta, che ha portato a questa regia e a questo concetto più elaborati?
È stato proprio Biagio a dire che voleva uno show con un concept e dove si vede che c’è una vera regia dietro. Non è che io non abbia mai fatto qualcosa del genere in precedenza. Ho anche spiegato all’artista che anche negli spettacoli precedenti la regia c’è stata. Abbiamo sempre avuto momenti e scene come i ballerini di strada, tango, effetti, botole e altro. Una regia c’è sempre stata. Ha sempre avuto anche un buon palco grande con passerelle grandi, come voleva. Le risorse e la configurazione dei palazzetti italiani, però, dettavano sempre una struttura in fondo con una passerella davanti... facili da gestire a livello logistico, ma ci costringevano a progettare uno show con un numero molto limitato di look. Qui, avendo, come dire, un tetto sulla testa ho avuto la possibilità di differenziare le scene un po’ di più. Le varie trovate scenografiche, lune, pianeti, ecc. enfatizzano il concetto. Poi è venuta fuori l’idea della palla specchiata con quaranta Sharpy puntati addosso. Insomma, certamente non è la prima volta che c’è una regia dietro lo show di Biagio, ma è la prima volta che abbiamo potuto lavorare, manipolare e creare un concept che legasse tutte le scene e che desse un ritmo ed una coesione allo spettacolo.

“Devo fare i miei complimenti ai ragazzi che hanno portato questo show in tour, perché dopo l’avvio della tournée sono partito con Laura Pausini per l’America e il Messico e, quando sono tornato dopo un mese e mezzo, sono andato a Torino a vederlo e l’ho trovato perfetto e ben rodato. Proprio un orologio svizzero”.


 

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