Indipendenti Dentro

Le sfumature possono ucciderti...

di Stefano Lentini

ID, cioè “Indipendenti dentro”, oramai vive di vita propria. Da quando tre anni fa è iniziata quest’avventura ci ha spinto in tante direzioni: a guardare la musica con occhi diversi, ad ascoltare voci altre e discordanti, ad aprire i nostri orizzonti di sensibilità ed accoglienza, a capirci meglio, ad affermarci se necessario, a confrontarci con il diverso, a fare passi avanti e indietro con rispetto e orgoglio. Abbiamo scoperto che l’indipendenza è prima di tutto interiore e solo poi esteriore, che a volte dietro l’ostentazione si nasconde fragilità, che in musica come in ogni altra espressione umana la rivelazione di noi stessi coincide con la scoperta dell’alterità. Che forse Spotify è la proiezione tecnologica della democrazia parlamentare, che Youtube è lo specchio della società meritocratica ma anche classista e denarocentrica, che Facebook è il riflesso di bisogni primari e sociali, gli stessi delle società tribali africane scoperte dall’uomo bianco negli anni ‘50. Quando il mondo occidentale ha cominciato a confrontarsi con le società che chiamava “primitive” ha scoperto che oltre le abissali differenze culturali vi erano immense zone di condivisione. Tutte aree della vita che avevano a che fare con le relazioni sociali, la rappresentazione di sé, l’apparenza, l’accettazione, il riconoscimento. Con tutte le sfumature di saggezza e stoltezza possibili.

Ora che ID è un essere adulto, maturo e vaccinato, con i suoi limiti e le sue facoltà, lo vedo dall’esterno e comincio a guardarlo con occhi nuovi. Ho anche qualche dubbio sulla sua capacità di aiutarci nella vita quotidiana, non sulla sua essenza, ma sulla sua capacità di farsi capire, di trasmetterci la sua seducente assennatezza.

Il dubbio è nella nostra società un valore. È il figlio del criticismo, della ricerca del sapere, del progresso della scienza. Rappresenta il contrario dell’omologazione dissennata, dell’accettazione incondizionata, del raggiro, della strumentalizzazione. Tutti devono avere dubbi, dai greci agli illuministi, dai nichilisti russi di Dostoevskij agli esistenzialisti francesi. Il dubbio è utile, è cool, è acuto, fondante, interessante, attraente.

Ma il dubbio è un mezzo e non un fine e come ogni altra cosa può diventare pericoloso, diabolico, espiatorio ed infecondo. Da strumento di sapere può diventare il fine del sapere, e come tale ne decreta, appunto, la Fine.

Su l’etichetta di una bustina da tè ho trovato una frase, una specie di augurio che recitava più o meno così: “Afferma il tuo credo e non i tuoi dubbi”. Arrivata in maniera del tutto estemporanea, questa frase lascia intendere quante volte parliamo partendo da tutte le cose che non vanno bene, pensiamo agli aspetti negativi più che a quelli positivi e perdiamo di vista le piccole fortune che ci circondano.

ID è nato sull’onda di un innamoramento per la musica indie. La parola iniziò a sembrarmi sempre più una bella chiave di volta, non il modo per identificare un genere, ma un’attitudine vera e propria che va oltre i luoghi, i tempi e gli spazi. L’attitudine che ha permesso l’invenzione della ruota, ma anche quella dei raggi della ruota, quella predisposizione all’imprevisto dentro e fuori noi stessi che ci guida verso scoperte, invenzioni, espressioni, sensazioni. E in musica, verso direzioni nuove, scevre dalle cristallizzazioni delle usanze a tutti i costi. E il dubbio in tutto questo percorso non scritto e sorprendente ha un duplice ruolo: inizio e fine, positivo e negativo, Yin e Yang, luce e tenebra.

Semplificando, come direbbe qualcuno a Trastevere: “il troppo stroppia”. C’è una misura nelle cose, non si può stabilire quale sia, ma c’è.

Ma ora devo fare un salto altrove, in due luoghi distinti e di origine diversa. Il primo è un luogo simbolico, una rivista mensile, il secondo, la Germania, filtrata da una community web.

Luogo simbolico: forse tutti i lettori di Sound&Lite leggono anche Wired. Per chi non la conoscesse basti sapere che si tratta di un mensile nato a San Francisco negli anni Novanta e pubblicato da una decina d’anni anche in Italia incentrato sulla tecnologia, sulle opportunità, le sfide, i miglioramenti che essa ci offre ogni giorno. Il computer è il punto di partenza e tutto ciò che accade intorno ad esso viene raccontato con passione ed ingegno. La sfida dell’attuale crisi economica viene affrontata partendo dalle nuove opportunità che la tecnologia può darci con decine di floridi esempi, con un ottimismo ed uno smisurato senso della sfida. Tutto ovviamente bilanciato da un senso di responsabilità verso il pianeta, attenzione all’etica produttiva, sostenibilità.

Wired, che qui voglio impiegare come portavoce di una visione positiva per affrontare le difficoltà attuali, ci spinge nella direzione dell’etichetta della bustina da tè: verso ciò che crediamo, speriamo. Senza la paralisi del dubbio malsicuro ed esitante.

Il secondo luogo è invece la Germania, o una rappresentazione informatica di essa, nella quale sono incappato cercando un sassofono su ebay. Poiché la Germania appartiene al quel gruppo di stati in cui c’è un grande viavai di ottoni degli anni ‘50, ‘60 e ‘70, ho iniziato a frequentare diverse aste. Ho scoperto un popolo di venditori precisi e onesti, che puntualizzano tutti i difetti di quello che stanno vendendo piuttosto che cercare di venderlo a tutti i costi. Ero abituato ad annunci dove il venditore si limita a promuovere il suo strumento dicendo che è un “buon strumento” e ho scoperto gente che per onor del vero ti riporta che un amico gli ha detto che “forse la chiave del fa# va rettificata per un piccolo difetto” o che, “non si vede, ma un tasto è stato cambiato”. È risaputo che gli utenti di ebay sono tipi precisi ma qui si respira proprio un’altra aria. Una forma di verità in antitesi con l’idea tanto in voga del “furbetto” a cui ci siamo abituati come uno standard di necessità sociale. Sì, è vero, fregare gli altri talvolta può far comodo, puoi guadagnare di più sul momento, liberarti di un oggetto mal funzionante, far credere una cosa per un’altra. Ma sul lungo periodo covare questo grande uovo di malizia non farà nascere che un pulcino cinico. E mi chiedevo se un popolo di galli e galline ciniche alla fine sia più o meno felice di un popolo di pennuti onesti. Ma non mi interessa l’onestà del moralismo, ma la trasparenza dell’essere. Trasparente io, trasparente tu, ci parliamo con trasparenza di cosa vogliamo, di chi siamo e ne nasce una relazione trasparente, oppure le nostre trasparenze non si incontreranno e pazienza, nessun rimorso.

Questi due luoghi, un po’ simbolici e un po’ reali in cui sono voluto andare, mi mettono di fronte ad un dubbio, appunto. Se esistono psicologie così differenti, persone che reagiscono con speranza o con pessimismo, con furbizia o con onestà ai grandi e piccoli eventi della vita, come possiamo noi intervenire tra questi due profondi solchi?

La sotto-domanda è celata tra le righe: è possibile influire sulla nostra psicologia profonda solo parlando, per esempio, dell’indipendenza? Basta? È sufficiente? O è solo un virtuosismo intellettuale che accomuna gli uguali ed allontana i diversi?

Il mio dubbio riguarda proprio le parole: se la loro profusione è utile o se è solo un bagliore che può intaccare lo smalto, la glassa esterna. Poi penso che anche l’etichetta di una bustina da tè può influenzarti positivamente e tutto riparte. Il treno riprende a camminare, ID fa un respiro profondo e recupera tutta la sua forza primordiale. Il cerchio si chiude sul dubbio, creatore e distruttore, guizzo e naufragio. Sono sicuro che non avere dubbi sia da stolti. Sono sicuro, non ne ho alcun dubbio!