Mp3 vs. CD vs. Vinile – parte 2

E poi venne il CD... e il file fra le nuvole

di Lorenzo Cazzaniga

Il passaggio al CD, rispetto al vinile, rappresenta un salto tecnologico spinto da esigenze di carattere industriale (miglioramento della durata del programma musicale inseribile, tentativo di offrire prestazioni superiori dal punto di vista della qualità audio e della resistenza meccanica nel tempo) ma anche e principalmente da necessità di carattere commerciale. La riduzione delle dimensioni dell’oggetto (supporto) ha migliorato in modo sensibile l’aspetto distributivo (stoccaggio, trasporto, maneggevolezza, ecc.), ma ha anche portato al conseguente ridimensionamento del valore artistico dell’artwork e dell’immagine generale dell’oggetto. L’altro aspetto importante del passaggio a questo tipo di supporto è quello che il suo imporsi sancisce il definitivo passaggio al concetto di mobilità della musica; se con le audio-cassette era già possibile ascoltare musica in movimento con il compromesso di una qualità audio inferiore, con il CD le due esperienze vengono qualitativamente avvicinate, al punto di rendere meno importante l’attenzione alla qualità dei sistemi di riproduzione statici. Ricordo che, da ragazzini, era per noi questione di vanto il possesso del migliore Hi‑Fi, mentre dopo l’avvento del CD, ed in particolare del lettore CD portatile, specialmente se legato alla possibilità di fruirne in automobile, questa idea è andata lentamente dissolvendosi, nonostante il periodo storico prestasse ancora molta attenzione al contenuto ed al valore intrinseco del materiale musicale.

Questo passaggio ha altresì influenzato in modo significativo la transizione verso un uso della tecnologia digitale in modo massiccio anche nella fase di produzione (si pensi alla sostituzione sia dei multipista con i sistemi DASH e ProDigi, sia delle macchine due-piste master analogiche con i DAT), con una conseguente caratterizzazione sonora, e quindi anche artistica, della musica del periodo in questione. Interessante è l’ascolto e il confronto di produzioni dell’epoca (metà/fine anni ‘80 e prima metà anni ‘90) realizzate da staff di produzione più giovani, cresciuti in quel periodo e con quella tecnologia, con quelle a loro contemporanee ma realizzate da personaggi con un’esperienza più antica, con molti fondamenti nell’epoca del vinile. Si nota in molti casi (non tutti, ovviamente) come ci siano forti attinenze nel modo di modellare il materiale sonoro dal punto di vista ad esempio stereofonico, dinamico e di presenza sonora complessiva all’interno dei due gruppi di appartenenza: la capacità di dominio di questi elementi da parte di chi ha maturato esperienza con il supporto più antico sembra spesso più decisa e raffinata.
L’uso dell’mp3 (compresso) per il materiale musicale nasce invece dall’esigenza di un mercato che deve relazionarsi con la necessità di muovere velocemente i file musicali in rete, che deve stoccare in numero sempre più elevato dati (i brani) all’interno di apparecchi sempre più piccoli e mobili (telefoni, lettori mp3).


Con l’avvento dei file compressi, assistiamo al definitivo scorporo del contenuto (la musica) dal suo contenitore (il supporto) e, per la prima volta in moltissimi anni, assistiamo alla sostituzione di un metodo di fruizione della musica con un altro che viene chiaramente ed oggettivamente definito qualitativamente inferiore al precedente non solo dagli esperti, ma anche da chi non possiede strumenti tecnici analitici e si fida delle sue personali capacità e del suo gusto per giudicarlo (come è risultato dall’esperimento eseguito). Inoltre, alla possibilità di organizzare in librerie ordinate secondo vari criteri tutto il materiale musicale di cui si è in possesso, fa da contraltare la frammentazione del concetto di album precedentemente preservato dagli altri due supporti, trasformato oggi in quello di singole canzoni acquistabili e quindi considerabili separatamente.
Come si può facilmente intuire, queste scelte non sono certo dettate dal tentativo di valorizzare e difendere il contenuto musicale del materiale, ma da decisioni in cui l’aspetto commerciale (e alla fine forse neanche quello, visti i recenti risultati!) e conseguentemente quello tecnologico condizionano gli eventi in modo significativo.
Se la diffusione sempre più massiccia dei file mp3 sta per segnare il tramonto del CD, è interessante domandarsi il perché di questo atteggiamento sempre più remissivo dell’industria discografica e degli operatori del settore nei confronti di una situazione in cui chi produce musica risulta essere fortemente penalizzato rispetto a chi la musica la sfrutta (media, società produttrici di tecnologia hardware ad essa legata, store on line di musica, ecc.).


Da un lato l’industria, anziché farsi forza del valore e della storia delle opere in suo possesso, ha tentato di dominare lo sviluppo tecnologico più preoccupata dei pareggi di bilancio e delle quote di mercato che di aprire la strada a sistemi che ne proteggessero e ne valorizzassero i contenuti: solo così si può spiegare, in un’epoca come questa dall’atteggiamento fortemente consumistico, l’aver accettato di separare il contenuto dell’opera dall’oggetto, minimizzandone così il valore intrinseco agli occhi dell’acquirente e in qualche modo creando talvolta una incosciente giustificazione al fenomeno della pirateria. Dall’altro gli operatori del settore che per moltissimi anni, durante il periodo considerato nell’analisi dei tre supporti in questione, hanno silenziosamente guidato e suggerito l’industria nelle sue scelte, oggi si ritrovano in una posizione marginale, in cui sono difficilmente in grado di stimolare sia l’industria discografica sia quella dello sviluppo tecnologico.


Un esempio curioso di questo fatto è riconoscibile nella recente messa in commercio del primo software capace di permettere, dall’interno dell’host utilizzato per la fase di produzione, l’ascolto in tempo reale e la codifica dei vari formati compressi mp3, AAC, ecc. (Sonnox Fraunhofer Pro‑Codec).
Il ritardo della messa in commercio di uno strumento così importante (in grado, ad esempio in fase di mixaggio, di dare la possibilità all’operatore di effettuare in tempo reale la verifica della qualità del suo lavoro sul tipo di supporto che con ogni probabilità sarà quello più ascoltato dagli utenti finali, senza dovere continuamente codificare, ascoltare, correggere il mix per questo formato e così via), è significativo di come gli stessi operatori manifestino una certa repulsione nei confronti di questo formato.
Durante la realizzazione di progetti multicanale (codifica Dolby o DTS), in cui si pone il medesimo problema di codificare un segnale compresso per decodificarlo poi al momento del riascolto, si ha la necessità di effettuare la stessa operazione in tempo reale durante il mix, per avere il controllo reale del risultato finale in tutte le sue possibili forme (Dolby Surround, Pro Logic, ecc.). Tutto questo ha spinto gli operatori di mix a stimolare le aziende produttrici affinché sviluppassero velocemente macchine in grado di effettuare codifica e decodifica in tempo reale (Dolby DP 570) così da migliorare la qualità del lavoro e la sicurezza del risultato.


icloudIl fatto che soltanto anni dopo l’ampia diffusione dei file codificati sia emersa l’esigenza di produrre un software di questo genere è la dimostrazione di come l’aspetto stereofonico e dinamico del materiale musicale mixato per i formati compressi venga ancora in gran parte concepito come per il PCM lineare, pur essendo completamente diverso. Da qui si intuisce ancora una volta la naturale repulsione degli operatori alla tendenza generale d’uso di questi formati, e la loro rassegnazione all’obbligo di prenderli ormai come riferimento quasi assoluto, visto che anche i media hanno scelto, per il minore spazio richiesto per la memorizzazione dei dati del catalogo e la più semplice catalogazione dell’archivio (radio) o per la riduzione della banda di trasmissione a favore del video e del numero di canali trasmissibili (TV col digitale terrestre), di utilizzare questo standard, senza invece tentare di inseguire una qualità della proposta audio sempre crescente, capace di essere al passo con i tempi.
Ascoltando il materiale sui tre diversi supporti, ho a tratti avuto la sensazione che la “loudness war”, in atto ormai da molti anni, sia definitivamente degenerata con l’avvento della diffusione di massa dei file mp3, quasi fosse figlia di una recondita repulsione verso un sistema di supporto della musica che invece di evidenziare le differenze e le particolarità dei prodotti musicali, tende ad omologarli, sia nell’aspetto dinamico che, in special modo, in quello spaziale, e a portare gli operatori del settore a vivere in modo distorto la sana competizione tendente alla produzione di cose migliori.


Spesso mi sono domandato il motivo per cui a fronte di un incremento della banda della rete (migliorata nella media del servizio sia in upload che in download), e della frammentazione del concetto di fruizione della musica scaricata in streaming (sempre più spesso in percentuale gli utenti scaricano solo alcuni brani e non l’intero album di un singolo artista), l’industria non abbia pensato di creare una sua piattaforma esclusiva di qualità, nella quale proporre catalogo e novità in vendita con qualità elevata (partendo dai file .wav 44.1 kHz e 16 bit per arrivare ai file FLAC ad alta risoluzione), nello stesso modo in cui le etichette indipendenti che mirano all’alta qualità audio già fanno da tempo. Questo consentirebbe, con un modesto investimento (specie se inteso dalle multinazionali tutte insieme), un’affiliazione diretta degli utenti finali senza intermediari terzi (e‑stores come iTunes), lasciando a questi ultimi la vendita dei prodotti nei formati a risoluzione inferiore. Tutto questo, senza sconvolgere equilibri commerciali di alcun tipo, potrebbe mettere l’industria in condizione di affrancarsi, perlomeno dal punto di vista della qualità proposta, dalle scelte obbligate che l’evoluzione tecnologica dei sistemi di riproduzione oggi impone ad essa in modo sempre più evidente, ribaltandone i naturali equilibri creativi di proposta e di produzione. E in più stimolerebbe l’industria stessa all’inseguimento di elementi di conservazione ed esaltazione del valore del contenuto, perché la forma (la qualità audio) da sola possiede una valenza relativa, ma unita ad un materiale musicale valido dà al prodotto un’importanza decisamente superiore.


Perché, forse, migliorare la qualità del contenitore ci può veramente dare uno stimolo per produrre contenuti migliori.
Specialmente in un’epoca in cui la musica si ascolta con una qualità mediamente bassa ed il contenitore non esiste (perché non è esattamente qualcosa di tangibile) o peggio, nell’immaginario degli utenti – ed in particolare dei più giovani – è rappresentato da un oggetto (ad esempio un telefono) nato per una funzione completamente diversa e quindi distraente dal contenuto del materiale musicale che dobbiamo invece difendere e valorizzare.
E sta per cominciare l’era del “cloud”, dove il contenuto, definitivamente scorporato dall’oggetto che lo contiene, sarà in un luogo sconosciuto ed avrà quindi un valore non definibile da parte degli utenti finali, lasciando lo scettro del comando dell’industria musicale nelle mani dei soli fornitori di hardware e servizi.
Come dice il saggio: “Il fiume guardi il mare e lo riempia, senza dimenticarsi della sua sorgente, altrimenti c’è il rischio che inaridisca”.