Miti e Fatti sull’acustica degli studi di registrazione - Prima Parte

Inizia l'interessantissima rubrica del progettista Donato Masci sull’acustica degli studi di registrazione.

di Donato Masci - Studio Sound Service

Presentazione

Sono un fisico italiano e lavoro dal 2008 come progettista acustico presso la società Studio Sound Service, fondata nel 1983 da Fabrizio Giovannozzi che è stato anche il mio “mentore”. Dopo la sua scomparsa nel 2012, con la socia ing. Cecilia Torracchi stiamo portando avanti l’azienda Studio Sound Service che è ora una realtà più estesa, operando non solo nel mondo degli studi di registrazione, ma nel settore della progettazione acustica a tutto tondo.

In questi anni ho progettato auditorium, teatri, sale concerto, ma soprattutto (ed è anche quello che mi piace più fare, essendo anche musicista) ho messo le mani su circa 200 studi di registrazione di varie dimensioni: molti medio-piccoli, alcuni più grandi e qualche decina di “top studios” con big monitor, ecc.

Introduzione

Il lavoro di un progettista acustico è piuttosto delicato perché richiede di progettare ambienti il più possibile adeguati alle esigenze dei propri clienti, ma bisogna cercare di rispettare i requisiti acustici per ogni tipo di sale. Spesso ci si sente come un sarto che cerca di cucire un vestito a un cliente, rispettando le sue richieste, ma evitando di mettere in mostra i suoi difetti: uno dei compiti più delicati è infatti quello di cercare di correlare le informazioni che si ricevono dai clienti con dati e ragionamenti scientifici, e il problema è che alcune di queste informazioni non sono propriamente scientifiche… e qui inizia la parte difficile!

In questi anni, lavorando più frequentemente con addetti ai lavori stranieri, è stato sorprendente notare come molte richieste o tendenze del mercato che potevano sembrare tipicamente italiane siano in realtà assolutamente internazionali. Da qui è venuta l’idea di comporre una specie di compendio di queste opinioni e “credenze” insieme a un’analisi statistica dei parametri acustici misurati negli studi analizzati e realizzati, tentando di dare una spiegazione tecnico-scientifica e di trarre delle conclusioni in merito, magari utili anche ad aprire un dibattito con i colleghi.

Questa serie di articoli è stata pubblicata in una prima release sulla rivista britannica Resolution, in lingua inglese. In questa sede si cercherà di approfondire le stesse tematiche, con più anni di esperienza e osservazione alle spalle.

Una breve nota finale: in questi articoli si farà riferimento alle cosiddette “regie audio” (in inglese control-room). È buffo notare come negli ultimi anni questa definizione è cambiata sostanzialmente: in effetti nelle regie non si “controlla” più niente, ma, dato che si registra sempre di meno, in queste stanze si effettua ormai la produzione vera e propria dei contenuti. Tutte le cose che troverete in questa serie di articoli saranno quindi utilizzabili anche per i cosiddetti production studio, project studio e, in poche parole, per tutte le sale di ascolto critico.

Miti da sfatare: “credenze”, tendenze del mercato e linee di pensiero

In questa serie di articoli si tenterà di trovare delle risposte, o quantomeno delle motivazioni, in base ad osservazioni e criteri scientifici, alle seguenti affermazioni ricorrenti:

1. non si può mixare in stanze troppo grandi, troppo piccole, col soffitto alto, col soffitto basso, … ecc;

2. bastano dei pannelli o alcune tube-trap per rendere una sala mix idonea per lavorare;

3. non mi piace l’ascolto col sub-woofer;

4. alcune casse suonano “troppo” bene per poter essere utilizzate nel mix;

5. i big monitor sono utili soltanto per far sentire il mix ai clienti ad alto volume, non sono utili per mixare… mancano di definizione;

6. non voglio montare le casse in-wall perché posso evitarlo e, così, sostituirle facilmente in futuro, inoltre se devo spostarle per un fine-tuning lo potrò fare;

7. i near field hanno molta più definizione;

8. la calibrazione non serve a niente se una sala è trattata bene;

9. il trattamento acustico non serve a niente se ho la calibrazione.

Considerazioni iniziali sull’acustica degli studi di registrazione

Nella comunità audio-pro è ormai assodato (anche se molti addetti ai lavori non ne sono ancora al corrente!) che la control-room debba essere un ambiente con caratteristiche acustiche più neutre possibili, ed in particolare, seguendo anche le linee guida AES:

il tempo di riverberazione ottimale da 200 Hz in su dovrebbe assumere un valore di circa 0,25 s per sale di 100 m3, mentre nelle basse frequenze può aumentare fino a circa 0,75 s; per sale più piccole (o più grandi) i valori ottimali si riducono (o allungano);

la risposta in frequenza dovrebbe essere più piatta possibile, meglio se compresa tra ±3 dB (anche se forse molti non sanno che la maggior parte delle casse acustiche considerate “professionali” hanno già un errore di ±5 dB in camera anecoica!);

le prime riflessioni dovrebbero essere inferiori di almeno 15 dB rispetto al suono diretto.


La prima cosa che notano i fonici, sarà perché forse il suo grafico è anche più facilmente intuibile, è la risposta in frequenza. Questa viene utilizzata spesso (e in maniera errata) come il parametro universale per valutare l’acustica di una regia. Rappresenta ovviamente un parametro fondamentale nell’analisi di una sala di ascolto critico ma molti la usano a sproposito, non sapendo che, per sale non trattate, capita spesso che la risposta in frequenza sia piuttosto piatta (a parte un’enfatizzazione fisiologica delle basse frequenze, che si può facilmente correggere con un filtro roll-off o qualcosa di analogo, che generalmente hanno tutti i più diffusi monitor da studio). Il problema, in questo caso, è che, pur avendo una risposta, per così dire, flat, non si ha una definizione sonora sufficiente per poter mixare, soprattutto in bassa frequenza. Il motivo è che la componente del suono diretto della cassa che giunge al punto d’ascolto è “colorata” dalle componenti del suono riflesso e riverberato dalla stanza. Il tempo di riverberazione, chiaramente, gioca un ruolo fondamentale e, d’altro canto, se fosse particolarmente breve, renderebbe l’ascolto non naturale e molto distante da qualsiasi ambiente tradizionale: ecco perché si fissano dei valori ottimali relativi a questo parametro.

Negli ultimi anni si è anche scoperto (Bruno Fazenda, Università di Salford) che il nostro orecchio non riesce a percepire tempi di riverberazione più corti di un certo valore, in bassa frequenza. Guarda caso, questi valori sono molto simili alla “tolleranza” che si ritrova nelle mascherine (ad esempio della sopra citata normativa AES, ma anche ITU, EBU o Dolby) che abbiamo per i tempi di riverberazione in bassa frequenza (fig. 1).

Fig. 1: Tempi di riverberazione ottimale per una stanza da 100 m3 (AES), maschera di tolleranza e soglia di udibilità (percezione degli effetti modali, Bruno Fazenda).

Dall’analisi che è stata fatta degli studi che vengono presentati prima di un intervento di correzione acustica, emerge che una piccola parte dei clienti propone stanze assolutamente non trattate; un’altra, più consistente, con trattamenti autocostruiti effettuati con soluzioni varie trovate su internet, ma che spesso non sono in grado di interessare in modo corretto le basse frequenze; la grande maggioranza, infine, tratta i propri ambienti semplicemente con pannelli fonoassorbenti piramidali, o materiali simili.

Quello che ne consegue è che queste sale sono particolarmente colorate in frequenza, ottenendo il contrario di quello che si richiede ad uno spazio del genere, ossia la neutralità. 

Fig. 2: Tempi di riverberazione T30 misurati nelle sale prima di un trattamento acustico.

Come si vede dal grafico dei tempi di riverberazione ante operam (fig. 2), il livello medio è sopra il valore ottimale, considerando che le sale analizzate hanno un volume medio di circa 60 m3, ma il dato più importante è che la varianza dei valori è molto elevata, soprattutto nel range delle basse frequenze.

Fig. 3: Tempi di riverberazione T30 misurati nelle sale dopo un trattamento acustico.

Nel grafico dei tempi di riverberazione post operam (fig. 3) si nota che:

vi è un abbattimento sostanziale dei tempi di riverbero, soprattutto in bassa frequenza;

il valor medio @ 63 Hz è circa il doppio del valore @ 500 Hz, mentre prima del trattamento era il triplo;

la varianza dei valori è notevolmente ridotta, rimangono fisiologiche (e lievi) discrepanze tra studi di dimensione differente;

non ci sono studi con tempi di riverberazione superiori a 0,65 s @ 63 Hz.

Fig. 4: Tempi di riverberazione T30 misurati in sale selezionate dopo un trattamento acustico.

Per sale selezionate in base alla qualità d’ascolto soggettiva (fig. 4), questo trend è ancora più evidente.

Come traspare dalle linee guida AES, e come si nota anche dai grafici, i valori ottimali del tempo di riverberazione sono relativi al volume della stanza. Quindi non si può rispondere alla domanda “che tempo di riverberazione deve avere una regia?” senza conoscerne il volume, perché in realtà l’aspetto che è più legato alla definizione del suono è la percentuale dell’energia sonora diretta rispetto a quella riverberata che giunge all’ascoltatore.

Altri parametri acustici negli studi di registrazio-ne: energia vs. tempo di riverberazione

Per i motivi esposti, ho ritenuto interessante studiare l’acustica delle control-room con dei parametri di tipo “energetico”, che si utilizzano generalmente in acustica architettonica (teatri, auditorium etc.) e che sono definiti nella norma tecnica ISO 3382, di cui però non sono presenti in letteratura dei valori ottimali relativi agli studi di registrazione. 

I criteri energetici più comuni sono la Clarity (C50 o C80) e la Definition (D50), che in pratica stabiliscono delle relazioni tra l’energia sonora considerata “costruttiva”, ossia quella che giunge entro i 50 ms o 80 ms dal suono diretto e lo “rinforza”, e quella totale. Si capisce facilmente perché questi parametri, ideati per i grandi ambienti in cui è necessario rinforzare alcune prime riflessioni per “amplificare” il suono diretto di una sorgente posta su un palco, non siano assolutamente utilizzabili per le regie audio dove invece, solitamente, si tende a distruggere le prime riflessioni (assorbendole o diffondendole) perché tendono a colorare il suono diretto in maniera inadeguata per la destinazione d’uso. Inoltre, e questo è un problema comune e oggetto di discussione anche in acustica architettonica, questi parametri presentano una notevole varianza tra posizioni non lontane e risentono delle riflessioni a cavallo del limite di integrazione (50 ms o 80 ms), rendendoli spesso praticamente inutilizzabili, a meno che non vengano mediati su una grandissima quantità di misure.

Ho trovato invece molto interessante l’analisi di un altro parametro, chiamato Center Time o Barycentric Time1 (Ts), che esprime in pratica il tempo dopo il quale l’energia arriverebbe al punto di misura se fosse “impacchettata” in una singola riflessione, ed è matematicamente così definito:


La cosa notevole è che questo parametro assume valori molto simili per gli studi trattati, e ancora più simili per studi selezionati tra quelli che a detta degli esperti, suonano meglio. Nessuna variazione sostanziale relativa al volume della stanza, quindi è un parametro che sembra possa fornire un valore assoluto che determina dopo quanto tempo si preferisce l’arrivo dell’energia sonora media alle varie frequenze.

Fig. 5: Center Time Ts misurato nelle sale prima di un trattamento acustico.

Fig. 6: Center time Ts misurato nelle sale dopo un trattamento acustico.

Fig. 7: Center time Ts misurato in sale selezionate dopo un trattamento acustico.

Nei grafici riportati nelle figure 5, 6 e 7 si nota come questo parametro, per le sale acusticamente più corrette, tenda ad un valore medio indipendente dal volume della sala stessa.

Conclusioni e miti “sfatati”

Sulla base dei risultati mostrati si può affermare (anche se non è una novità, ma qui se ne ha l’evidenza) che i problemi più gravi nelle sale non trattate, e in particolare di quelle trattate male, riguardino le basse frequenze. 

Al primo mito, legato alle dimensioni delle stanze: “Non si può mixare in stanze troppo grandi, troppo piccole, col soffitto alto, col soffitto basso, … ecc.” si può rispondere affermando che gli ambienti possono essere di varia dimensione, basta che il tempo medio dopo il quale l’energia sonora giunge al punto d’ascolto sia in linea con i risultati di Ts osservati. Le stanze piccole comunque rimangono problematiche per le onde stazionarie concentrate in un range contenuto di frequenze e spesso provocano nel parametro Ts dei picchi indesiderati. Per stanze troppo grandi forse la distanza tra il punto d’ascolto e i diffusori acustici potrebbe essere talmente grande da causare perdite di definizione, ma stanze di queste dimensioni sono molto rare.

Il secondo mito: “Bastano dei pannelli o delle tube-trap per rendere una sala mix idonea per lavorare” è falso, perché per effettuare una correzione acustica efficiente full-range si deve utilizzare veramente una grande quantità di materiale assorbente – tale da lavorare bene a bassa frequenza – o utilizzare un gran numero di dispositivi risonanti (a membrana o forati, che comunque sono oggetti di grandi dimensioni); gli spessori dei pannelli rimovibili commerciali non sono generalmente adeguati allo scopo. Alcuni produttori di pannelli creano dei dispositivi risonanti interessanti ma per ottenere i risultati necessari ce n’è bisogno in grande numero e il costo di un trattamento da effettuare “in opera” alla fine è sempre inferiore.

Il terzo e quarto mito: “Non mi piace l’ascolto col sub-woofer” e “Alcune casse suonano troppo’ bene per poter essere utilizzate nel mix”, derivano semplicemente dal fatto che spesso si hanno sale così “colorate” da portare l’utente a preferire diffusori acustici che non scendano così in basso in frequenza. Uno dei motivi per cui a molti non piace l’ascolto col subwoofer è proprio questo, unito anche al “tempo di rilascio” del dispositivo stesso che, in alcuni casi, è troppo lungo e può andare ad inficiare i valori di Ts, allungandoli in bassa frequenza. Comunque sia, di questi aspetti elettroacustici si andrà più in dettaglio nelle prossime puntate! 

Note: 1. “Baricentrico” perché si ha un’analogia con il centro di massa di un solido.


Contatti: Studio Sound Service s.a.s.

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