Felix

Un personaggio vero, che ha fortemente contribuito a rendere dignitoso, tecnicamente e umanamente, questo lavoro.

di Alfio Morelli

Una persona a cui nessuno può portare rancore: chi lo ha conosciuto professionalmente, se fa un bilancio del dare ed avere, sicuramente si trova in debito con lui.

Ho la fortuna di conoscere Feliciano Tonini, Felix per gli amici, da molto tempo, ed ho sempre provato una certa ammirazione verso di lui per due motivi: la sua grande passione per il nostro lavoro ed il suo carattere dolce. Credo che poche persone possano dire di aver litigato con Feliciano o portagli rancore.

Fatta questa piccola premessa, ci facciamo raccontare la sua storia, che poi è un po’ la storia del nostro mondo professionale.

“A 18 anni – racconta Feliciano – come quasi tutti i ragazzi della Riviera romagnola facevo il cameriere, in un locale da ballo. Siccome avevo fatto delle scuole tecniche, spesso mi capitava di risolvere dei problemi agli orchestrali che arrivavano e sapevano a malapena accendere l’impianto, problemi che poi, nella maggior parte dei casi, erano semplicemente cavi interrotti o microfoni in controfase. Una stagione venni chiamato in un locale storico di Riccione, Il Vallechiara, di proprietà della famiglia Galanti (LEM poi Generalmusic – ndr). La gestione del locale per conto della famiglia era affidata a Masini che, assieme a Cattaneo, veniva dall’esperienza della Semprini e stava riorganizzando il marchio LEM. Mi propose di andare a lavorare in azienda a S. Giovanni in Marignano come tecnico di laboratorio, e qui conobbi il progettista Franco Ricci, divenuto poi il mio compagno di merende per la comune passione per l’audio. felix

“In quel periodo – continua Feliciano – esisteva già una struttura esterna “Audio Service”, sostenuta dalla LEM e gestita da Sandro Centinara che faceva servizi di noleggio. Nel ‘79 l’apice fu raggiunto con il tour “Banana Republic” di Dalla e De Gregori, per il quale ci fu richiesto di costruire un impianto audio adatto alle esigenze della produzione, visto che per la prima volta un tour con degli artisti italiani si esibiva negli stadi. L’impianto audio, progettato da Franco Ricci, aveva come modulo base due bassi caricati a tromba, due bassi a radiazione diretta, 2 medi caricati, un medio a tromba da due pollici e due driver per gli acuti da un pollice, il tutto replicato fino ad arrivare ad un totale di 250 diffusori. Per quei tempi era una tecnologia all’avanguardia, anche se vista con gli occhi di oggi la cosa fa quasi arrossire. Il massimo della tecnologia di allora era una schedina elettronica che tagliava le basse a 150 Hz, con una pendenza di 12 dB per ottava, mentre tutto il resto era passivo, non si usavano né equalizzatori né riverberi, insomma si parla di vero pionierismo.

“Finito il tour, che ci aveva procurato un’enorme esperienza sul campo, sentimmo che avevamo dato inizio a qualcosa di diverso e che bisognava continuare nel cambiamento. Nel frattempo Audio Service chiuse e nacque qualcosa di nuovo. Masini infatti propose a me e a Faccenda, che già aveva esperienze lavorative nel settore, di dar vita ad un’azienda con un’immagine più professionale, sempre dedita ai servizi per lo spettacolo. L’obiettivo era quello di proporsi sul mercato con delle persone molto qualificate e con materiale professionale, puntando ad entrare così nel mercato più alto della musica live, che in quell’epoca si stava molto sviluppando in Italia, così da portare poi le esperienze fatte sul campo nei futuri progetti dei prodotti Lem. Nacque così la LEM Professional”.

In quel periodo venivano in Italia molte produzioni straniere, prendevi spunto da quello che veniva da oltralpe?

Indubbiamente sì, in quel periodo non mi perdevo un concerto proveniente dall’estero e non mi perdevo una fiera di materiale professionale, ero come una spugna, avevo voglia di sapere tutto. Così, guardando, provando e sperimentando, sono nate tante cose belle e magari qualcuna anche meno bella. Era un periodo in cui c’era tanto da fare: in una stagione siamo arrivati ad avere fuori fino a 12 produzioni in contemporanea. Tanto lavoro ma anche tante soddisfazioni: con i mezzi che avevamo facevamo dei veri miracoli.

Quale produzione ti è rimasta nel cuore?

Se devo proprio scegliere dico il programma DOC di Renzo Arbore, trasmissione rimasta nella storia della televisione stessa. Riuscimmo ad entrare vincendo una delle prime gare d’appalto fatte ai tempi: tutto sommato di materiale non ne fornimmo tantissimo, solo le regie di ripresa e quelle di monitoraggio, compresi i monitor. Ricordo che per l’occasione furono costruiti dei monitor usando dei coni E.V. e dei driver jbl, prodotto che poi continuammo ad usare anche in altre produzioni e con delle modifiche fu messo anche nel catalogo LEM. Fu un lavoro ad altissimo livello: da DOC passarono gli artisti più importanti del mondo, e tutti apprezzarono la possibilità di esibirsi live in televisione. Il lavoro all’interno degli studi RAI fu gestito principalmente da Toni Soddu e Cecco Penolazzi: una bella avventura per tutti.

Tutti coloro che hanno collaborato con te hanno un ricordo positivo, qual è il tuo segreto?

Questo non so se è vero... però se lo dici tu ci posso anche credere. Forse per due motivi: il primo è il mio carattere, anche se sono gli altri che devono giudicarlo positivo o meno, mentre il secondo è prettamente egoistico; ho infatti sempre pensato che se alle persone che lavorano per te offri un buon ambiente di lavoro, in cui poter anche accrescere la propria professionalità, queste lavoreranno più volentieri e meglio, e certamente tratteranno meglio il tuo materiale, cosa non da poco per un imprenditore del nostro settore.

Siete arrivati anche a creare una cooperativa con cui associare e regolarizzare tutti i tecnici!

Sì, quella fu opera di Maurizio Corradi, all’epoca il coordinatore dell’azienda, colui che gestiva tutti i lavori ed il personale in tour. Fu una bella iniziativa, il primo vero passo per cercare di dare un minimo di dignità e di inquadramento a questo settore.

felixMentre il rapporto con le agenzie?

Anche le agenzie erano nella nostra stessa situazione, cioè anche per loro era un mondo nuovo, tutto da inventarsi e, come spesso succede nelle novità, trovi le cose buone e le sorprese negative. Fra quelle positive ci posso mettere che allora si parlava con il titolare dell’agenzia, ed i problemi si risolvevano in tempo reale, mentre oggi il mercato è cambiato enormemente, così, giustamente, si parla sempre di più con delle persone che fanno da filtro e non sempre i problemi si riescono a risolvere tempestivamente e nel modo migliore.

Poi, nel 2001, dopo varie vicissitudini, la struttura chiude, perché?

In realtà la struttura non chiuse, sono io che decisi di smettere.

Cerco di risponderti con una battuta, naturalmente a titolo personale: ho usato troppo il cuore e poco la testa. Capisco che con il senno di poi è facile riconoscere gli errori, però se in alcune scelte avessi avuto un atteggiamento più distaccato forse non avrei accettato certi compromessi.

Adesso di cosa ti occupi?

Sto collaborando con un’azienda di San Marino che si occupa di manutenzione dei sistemi tecnologici, continuando a svolgere un lavoro che conosco e che amo; poi nel tempo libero, e da dipendente c’è n’è tanto, faccio il contadino.

Torneresti ad occuparti di service?

Ti devo rispondere con il cuore o con la testa? È difficile, ma comunque mai dire mai.

C’è qualcosa che rimpiangi di quegli anni?

Forse una cosa nel mio intimo c’è: nel corso di tutta questa esperienza, a volte da solo e a volte assieme ad altri, ho riempito tanti cassetti di progetti, soluzioni che poi, nel tempo, sono stati realizzate da qualcun altro. Allora mi dico: tutto sommato non ero poi così stupido!

Ti senti di lasciare qualche consiglio alle nuove generazioni?

È difficile, perché sicuramente le nuove generazioni sono tecnicamente molto più preparate di quanto lo fossimo noi a quei tempi. Ma un consiglio mi sento di darlo comunque: il nostro è un lavoro al servizio dell’artista che si esibisce sul palco per il suo pubblico, il nostro posto è sotto il palco; l’errore più grosso è quello di voler salire sul palco anche noi ed avere smanie di protagonismo.