Live Test Yamaha Rivage PM5 E PM10

Tre giorni di test approfonditi per valutare le capacità dei banchi Yamaha della serie Rivage. Una prova d’urto delle capacità di networking e mixing del PM10, primo modello della serie, e dell’ultimo nato, il PM5.

Live Test Yamaha Rivage PM5 E PM10

di Lorenzo Ortolani

Dalla sua introduzione nel 2014 con il sistema di mixaggio digitale PM10 e il successivo PM7 quattro anni dopo, la serie Rivage di Yamaha si espande con i nuovi PM5 e PM3, presentati pochi mesi fa. Da tempo aspettavamo di poterli vedere – e soprattutto ascoltare – in un evento live, ma la pandemia ha reso le cose estremamente complicate. Grazie alla disponibilità della casa madre siamo finalmente riusciti a metterci le mani e le orecchie per tre giorni interi, in un evento live reale a tutti gli effetti, ahimè senza spettatori.

L’idea di questa rubrica è di testare le macchine come in un evento vero, utilizzandole in una venue reale: load-in, installazione, setup, soundcheck, live/registrazione, virtual soundcheck, smontaggio, load-out. Il test avviene in tre giorni: il primo di setup, uno di registrazione e mix e l’ultimo di affinamento del mixaggio tramite soundcheck virtuale per sviscerare bene funzioni e suono dei banchi e tirare le conclusioni. Tester d’eccezione per la nostra prova sono Alberto “Mente” Butturini e Stevan Martinovic, che hanno bisogno di ben poche presentazioni, essendo gli artefici del suono in sala e sul palco di alcuni tra i più importanti artisti nazionali, tra cui Ligabue o Marco Mengoni, per far due nomi. 

La nostra pista di prova è il Live Music Club di Trezzo sull’Adda (Milano). Dal 1997 il Live è una delle cattedrali italiane della musica dal vivo, ha un buon sistema Proel Axiom AX3210P con sub da 21”, monitor Proel, front fill e side Audio Performance, una bella spinta e un’acustica del locale dignitosa, a parte il rumoroso impianto di areazione. Quanto basta per il nostro test. In sala e sul palco ci sono due glorie di casa Yamaha: un efficiente PM5D e il buon caro M7CL, che questa volta rimarranno all’angolo, spenti, sotto la copertina di feltro, ad ammirare la nuova e prestante gioventù Yamaha.

I fonici sono pronti ai blocchi di partenza, ammirando la livrea a forma di coda d’aeroplano e i colori vivi dei LED dei due banchi a disposizione, con il team Yamaha composto da Alessandro Arturi sul palco e Marco Giovanetti in sala a dare supporto al test nel caso di quesiti o dubbi. Partono i tre giorni di prove e si concludono per tirare le conclusioni in una delle baie di divanetti del Live, di fianco al PM5 in sala, postazione FoH. Rimaniamo seduti pochi minuti, poi quasi tutta la chiacchierata avviene sul comodo poggiagomiti in legno wengé del mixer.

Cosa chiedete di solito quando dovete organizzarvi per un tour o un concerto? Che tipo di macchine, di workflow, di tecnologie? 

Stevan Martinovic, MON: Chiaramente dipende da quello che dobbiamo fare, si richiede quello che ci permette di svolgere al meglio il nostro lavoro. Ad esempio, è standard per noi lavorare a 96 kHz e 24 bit e generalmente dobbiamo essere in grado di gestire dai 70-80 canali in su. È norma doppiare le chitarre, usare più microfoni sulle batterie, sulla grancassa ormai si lavora con tre microfoni compreso un subkick; sale il numero di canali nel caso ci siano orchestre o ospiti e facilmente superiamo i 16 canali di sequenze. Ovviamente tutto deve essere ridondante per poter lavorare sempre in sicurezza. Ti faccio l’esempio banale di SSL che non ha una vera ridondanza perché c’è un unico motore nella console, quindi con Agorà abbiamo adottato un sistema in cui c’è una console in più sul palco (di backup) che permette di scongiurare qualunque problema. Negli Yamaha c’è piena ridondanza per quanto riguarda alimentatori e connessioni. Si può inoltre montare un DSP in parallelo come anche un’ulteriore superficie di controllo di riserva che può diventare un’estensione per avere più fader e lavorare fino a quattro operatori, due per ogni banco (ogni banco ha due uscite cuffie e baie separabili – nda).

Alberto Mente Butturini, FoH: Un banco si sceglie ovviamente anche in funzione delle dimensioni della rete e delle interazioni tra le varie postazioni. Ci sono banchi che permettono di creare reti molto complesse, altri che non permettono di farlo. Se servono quattro o sei banchi collegati in un anello, ad esempio nelle mega manifestazioni, serve una rete complicata che deve necessariamente essere stabile. Le scelte dei materiali vanno sempre in un’unica direzione: quella che permette di lavorare bene e in sicurezza. 

Che tipo di outboard porteresti sempre con te?

AB: Non utilizzo outboard da almeno 7-8 anni. Nel momento in cui ho sposato il digitale sono stato sempre più sottrattivo, fino ad arrivare a fare tournée decisamente importanti… praticamente senza niente tranne il banco. Valuto quello che il mixer mi può dare e se lo ritengo adeguato non ho bisogno di nient’altro. Cerco il setup con cui è più facile lavorare. Non facile perché fai meno fatica, ma quello che ti lascia più tempo da dedicare al tuo lavoro vero che è quello del mixing musicale, ovvero ascoltare e agire senza essere distratto da altre cose. Il fatto di avere tutti gli outboard perennemente sotto controllo davanti i tuoi occhi, sulla console, mi facilita molto il processo. Nel caso di armadi di outboard ti devi girare, ricordare la catena che sta seguendo il segnale, concentrarti sul flusso dei segnali invece di concentrarti sul suono. Altra situazione è quando si vuole essere snelli, ad esempio in alcune situazioni in cui sei in tour con un ridotto spazio per i materiali. Ti faccio un esempio? Tournée europea di Ligabue: vado in giro con un mixer e basta, all’interno del quale ho tutto quello che mi serve. Va tutto a vantaggio della velocità e della qualità, ma anche del lavoro in termini di tempo.
Continuando sul discorso outboard, se devo fare una tournée nei palazzetti, dove so che che il riverbero del posto rende quasi del tutto ininfluenti alcune scelte sonore, se trovo dei bei riverberi interni della macchina utilizzo quelli. In un Pala Lottomatica nessuno della platea si girerà dicendo “che bel plate del System 6000 che hai messo sul rullante!”. Chiaramente sono questioni di gusto personale, ma va sempre ponderato quanto il gusto vada a influire sull’ascolto del pubblico. Se invece lavori a una tournée teatrale, dove il suono può essere più curato, cambia tutto: lavori al millimetro. Cominci a cercare delle macchine qualitativamente al top, magari mi porto un 480, un System 6000. Qui sul PM5 ho il Bricasti, bellissimo. Faccio delle scelte in linea con le aspettative che un posto acusticamente favorevole ti permette di ottenere.

Vi è capitato di avere problemi digitali? Incompatibilità di formati, problemi di connessione?

AB: Forse con l’XL8 (Midas – nda), che però era una macchina complessa e forse io non l’ho capita bene. Normalmente se rispetti le compatibilità dichiarate non hai problemi. 

SM: Questa macchina, ad esempio, accetta qualunque tipo di scheda, rete, segnale: è impressionante. 

AB: Puoi mettere la scheda della macchina del caffè che probabilmente te la legge! Ormai tutte le macchine sono diventate multi-compatibili. A dire la verità anche macchine economiche ormai hanno compatibilità con tanti tipi di segnale differenti. Attaccare un computer e registrare è ormai facile e pratico per quasi tutte le macchine sul mercato. In questi Yamaha puoi prendere il segnale da qualunque punto della catena, anche sullo stage box, colleghi un computer e sei pronto. 

Come è stato studiato il workflow per questo test? Come funziona, come avete pensato il test e la comprensione del banco? So che eravate praticamente a digiuno, avevate fatto qualche corso? 

AB: Avevamo giusto fatto un aperitivo, una giornata di corso in Yamaha, ma non avevamo ancora fatto né pranzo né cena.

SM: Quindi abbiamo preferito fare un test vero, con una band vera, in un luogo vero, con spazi reali, distanze reali, dei monitor sul palco, degli in-ear. Spesso la prova veloce di una macchina si fa con un multitraccia: si collega Dante, MADI, play e si vede come funziona il banco. Ma non si vedono i pre, il segnale in ingresso. In questo caso le novità erano importanti: preamplificatori e processing Neve, trasporto di segnale potente come TWINLANe… volevamo valutare il suono, eventuali problemi di connessioni, routing, i servizi, gli ascolti, come collegare i talkback, la programmazione delle aux, delle matrici, le equalizzazioni dei monitor eccetera. 

AB: Abbiamo avuto modo di entrare concettualmente nel software del banco, partendo da come facciamo di solito le cose e interpretando il flusso di segnale del banco stesso. Io e Stevan da anni usiamo DiGiCo e SSL quindi abbiamo mutuato degli automatismi che ci portano a cercare certe cose. Non è detto che un altro banco non le dia, va solamente cercata la soluzione in maniera diversa e capirne la logica. Magari si scopre che è più intelligente. La serie PM per ergonomia e filosofia di software offre una fase di apprendimento piuttosto veloce. Ho trovato banchi molto più ostici da affrontare.

Gli sviluppatori di tutti i marchi, al di là delle filosofie, negli anni hanno lavorato molto alla semplificazione della user-experience…

AB: I primi banchi digitali erano molto ostici. Stevan cosa usavi tu con Fiorella Mannoia?

SM: Innovason. Mi piaceva così tanto l’interfaccia che ancora oggi penso sia una delle più belle che abbia mai usato. Ma era un po’ come il primo bacio: non si scorda mai, è bello a prescindere. 

AB: L’interfaccia deve essere semplice, lineare, intuitiva, devi sapere dove trovare le cose in maniera veloce. Certo questo deriva dall’esperienza ma anche da una logica di pensiero. È chiaro che se sto cercando la polarità e vedo la phantom probabilmente la troverò lì vicino, non la vado a cercare in un sottomenu. Dal primo giorno ad oggi sia i miei mix che quelli di Stevan si sono affinati, alleggeriti, man a mano che lavoravamo con la macchina abbiamo capito linearmente come raggiungere l’obiettivo. Con altre macchine ti incarti e non riesci ad uscirne.
Ho fatto parecchie prove, magari senza senso, mettendo un effetto o una compressione prima o dopo nella catena, usando effetti che normalmente non userei. Siamo qui per imparare e provare, mi è servito molto. È un test ottimale perché siamo partiti da una band con dei microfoni nei pre, abbiamo seguito tutta la catena classica reale. Questo ci ha permesso di capire la qualità dalla fonte, invece di testare solo l’interfaccia con un multitraccia. La prova voleva essere una prova “da zero a 100”, cioè tutto il blocco, tutto il pacchetto. Se domani andiamo in tour e ci portiamo questo sistema, lo conosciamo dalla sua radice, non ci manca una parte importante come quella della preamplificazione.

SM: Abbiamo capito le potenzialità di networking, che sono ottime, siamo in grado di capire come organizzare un grande evento con molti banchi ed essere pronti in caso di necessità.

Partiamo dai padri del Rivage, che erano PM1 e PM5 e che voi avete usato all’epoca.

SM: PM5 sì, io praticamente non ho mai usato il PM1, se non in qualche festival. Poi era subentrato il DiGiCo e mi sono orientato su quel tipo di approccio.

AB: Ho avuto la fortuna di usare sia il PM1 con Pavarotti and Friends, Pino Daniele, Mannoia, De Gregori, Ron e poi tantissimi lavori fatti con PM5 e devo dire che, insomma, la filosofia Yamaha la conosco. Abbiamo lavorato sui vecchi 01, i vecchi 02, 03, DM2000, ma ho avuto la sfortuna di non aver mai usato le serie piccole di Yamaha come CL5 e CL3. Una cosa che posso dire è che in 20 anni Yamaha non mi ha mai lasciato a piedi. Non ho ricordi di una macchina Yamaha che mi abbia dato un problema. Potrei dirlo anche di altri banchi, certo. Forse sono fortunato, ma l’esperienza mi dice che sono macchine dall’affidabilità impressionante. Mai visto un mixer Yamaha fermarsi. 

Quali sono le differenze che hai notato tra le vecchie macchine e questa nuova? 

AB: Non sono paragonabili praticamente in nulla, ci sono 20 anni di sviluppo dell’elettronica, del software. Mi piace moltissimo questa nuova ergonomia, il rapporto fisico con il banco. Ha gli schermi comodi, tutto nella posizione più pratica. È tutto a mezzo braccio di distanza. In tanti banchi non arrivi nemmeno ai preamplificatori: devi allungarti appoggiandoti con la panza, ti si incastra il pass nel fader e tiri su dei canali… a me è successo! 

Cosa ne pensate del nuovo hardware? In/Out reti e connessioni, velocità, semplicità e routing.

SM: Abbiamo connesso tutto il sistema in pochissimo tempo. Console che vanno nel DSP, un ponte di fibra che gira tra i due sistemi, computer collegati direttamente con le console, uno in Dante e uno in optical MADI, ma se dallo splitter è possibile prendere un Dante e registrare anche da lì. Ci sono connessioni ovunque. Mi piace molto la gestione del Virtual. Ad esempio DiGiCo lavora sul Copy to MADI, quindi prende il segnale dallo splitter e lo copia su un canale che userai per registrare. Puoi permetterti di fare un Virtual dove ad esempio il bassista è cambiato, io mando il Virtual, lui si ascolta, continua a suonare, gli ingressi mi arrivano dallo splitter e può ripassare la sua parte in cuffia durante il mio Virtual. Un “mezzo Virtual”. SSL invece ha l’ID del canale, che puoi muovere come vuoi, quindi se ho un riverbero sul canale 12 e registro da 1 a 32, mi registrerà anche il riverbero. Mi devo organizzare e spostare i canali che non voglio in registrazione fuori dal range di canali registrati. La cosa bella è che posso patchare i canali che voglio ma comunque vengono registrati quelli selezionati. Qui invece è una via di mezzo tra le due, posso dire che il canale 100 in ingresso mi va al 96 in registrazione, e posso fare il “mezzo Virtual” come in DiGiCo. Si ha il meglio dei due mondi. 

Parliamo di interfaccia, di user experience. Come vi pare? Qualità e precisione dei fader, dei potenziometri, degli schermi… 

SM: I fader mi piacciono davvero molto. Gli encoder precisi, anche se non mi piacciono molto alcune risposte dei meter in alcuni plug-in VCM, ho fatto fatica a trovare l’esatto riscontro visivo. I meter del banco invece sono validi. Sicuramente in due giorni non ho trovato la velocità che voglio sul palco, preferirei arrivare con un tasto e non con tre a fare una cosa, ma d’altra parte bisogna anche avere tempo di programmarsi le User Defined Keys per avere gli shortcut. L’ho fatto ad esempio per il flip to fader. Sempre parlando di velocità, io ascolto in cuffia l’LR, ma tengo sempre sotto controllo le ausiliarie o i canali. Mi piace avere sempre aperte le comunicazioni o i servizi nel caso ci fossero problemi o chiamate. Per fare questo gioco – e siamo comunque riusciti a farlo – abbiamo dovuto lavorare un po’. Nella DiGiCo esiste l’AutoSolo, molto comodo, che non c’è nella SSL. Vorrei lavorarci ancora un po’ per capire se trovo una soluzione alternativa e ancora più pratica. Mi sono piaciuti parecchio i plug-in disponibili nella channel view, con un tocco li ho subito davanti. 

AB: Secondo me è una questione di approccio anche in questo caso. Una questione proprio di abitudine, di trovare la tua strada più veloce per fare le cose. Una funzione molto bella è il Signal Flow. Ho i meter su ogni punto, posso controllare il gain staging e posso accorgermi immediatamente se in un punto della catena sto perdendo segnale e agire di conseguenza. Posso monitorare costantemente il segnale e intervenire ovunque. Credo sia l’unica console ad averlo.

SM: Sempre nel Signal Flow hanno poi inserito le due catene di insert mobili che possono essere messe ovunque, addirittura post-fader. La peculiarità dell’insert è che il banco fa automaticamente il send e return a blocchi di quattro, senza bisogno di patcharli in-out. Questo toglie una bella rottura di scatole. 

AB: Mi ha dato un ottimo feeling proprio a livello fisico. Fader belli, encoder belli, schermi non troppo grandi, non troppo piccoli; in ogni schermo c’è tutto, oppure ci posso mettere quello che voglio io. Bottoni e LCD ottimi. C’è comunque da fare la riprova sotto il sole. Ho trovato fondamentalmente una filosofia Yamaha aggiornata e al passo con i tempi, prendendo alcune caratteristiche ottime di altri marchi. Non mi entusiasmano alcune caratteristiche come la selezione dell’Hi-Pass: se lo seleziono penso che funzioni automaticamente il touch and turn, invece devo selezionare anche il potenziometro, due passaggi per una funzione, lo ritengo macchinoso. Un’altra piccolezza è che nella Channel View non ho la phantom. Il posto c’è ma devo andare nel submenu del gain per attivarla, mi sembra poco pratico.

SM: Una mia critica simile riguarda le uscite dal patch: dall’interfaccia posso abilitarle ma se la stecca di uscite è disabilitata… non posso saperlo visivamente, le attivo e non funziona. Probabilmente verrà corretta, magari mettendole in grigio scuro per capire che sono disattivate, ma per ora è una rogna.

AB: La cosa che trovo molto pratica è il triplo schermo multi-touch del PM5. Anche se il PM10 ha molti più canali virtuali, non mi piace molto l’esploso del canale fisico a vista. Ormai la nostra manualità è maturata verso gli schermi touch, sono molto più pratici in questo modo e ha fatto bene Yamaha a lavorare in questo senso.

Passiamo alla parte sonora, fondamentale quando si parla di musica. 

AB: Mi hanno impressionato la trasparenza e la pulizia del suono. Questo si riflette su un utilizzo veramente molto leggero dalle equalizzazioni. Ho fatto un lavoro più che altro di passa alto e di passa basso, con qualche piccolo intervento di 4-5 dB al massimo. Già di partenza il suono era eccellente. Non vedi nessun “giro d’Italia” tra le curve di equalizzazione. 

SM: I pre sono cristallini mi sono piaciuti molto. Ho fatto fatica ad apprezzare il suono Silk dal palco, ma Alberto ci ha lavorato molto. 

AB: Ho usato il blu sulla cassa, il rosso sulla voce. Il Silk blu è veramente evidente, soprattutto sulle basse, gradevole ed efficace. Le sfumature in alto sono meno evidenti, servono un sistema audio e un’acustica della venue ancora più curati per valutarle bene.

SM: I plug-in sono davvero belli: il 76 molto valido, mentre il multibanda è migliorabile. I riverberi Bricasti sono bellissimi. Peccato non ci sia un Transient Designer, sarebbe stato completo. Magari arriverà.

AB: Gli equalizzatori sono molto efficaci, ho stravolto l’impianto con interventi praticamente ridicoli, fino a massimo 5 dB (guardiamo gli EQ – nda). Dal punto di vista dei plug-in siamo ben coperti rispetto ad altre macchine. Alcuni plug-in fanno interventi così sottili che come ho detto per i Silk serve una resa acustica molto buona del sistema per apprezzarli. Ad esempio l’equalizzatore 810 è così delicato che si fa fatica a sentirne l’intervento, anche se in realtà poi mi ha risolto il piano. Se avessi l’analogico non credo me lo porterei mai in tournée. Purtroppo per quanto riguarda la somma interna, con solo 18 canali, non sono riuscito ad apprezzarla. Me ne servirebbero almeno 60 o 70. Comunque i 20 anni di differenza con gli altri PM si sentono tutti, hanno fatto passi da giganti. 

SM: Ho lavorato l’equalizzazione dei monitor con gli EQ dalle matrici, dove c’è un ottimo 8-bande molto ben suonante. Non ho toccato i grafici che non mi sono mai piaciuti, preferisco i parametrici. Ci sono anche gli effetti Eventide integrati, ho usato un bel H3000 sulla chitarra. Poi ho scoperto il DaNCe, che lavora sul principio del noise reduction Cedar: mi ha dato una grossa mano sulla voce del batterista. C’è anche il Dougan, perfetto per le conferenze, già integrato. 

È arrivato il momento fatidico delle conclusioni. Dopo tre giorni di test, la direzione dovrebbe essere chiara, almeno per dare un'opinione generale.

SM: Mi sono trovato bene senza ombra di dubbio. Certo, ci vuole tempo per imparare la macchina, in alcuni casi ho dovuto fare due tentativi, non conoscendone il funzionamento a fondo. Nei live il tempo di evadere una richiesta deve essere minimo quindi alla base di tutto serve capire bene come funziona la macchina, dovrei passarci più tempo. Per ora direi che sono positivamente impressionato. In poco tempo sono stato in grado di fare passi enormi nel comprendere la flessibilità della macchina. Assolutamente fantastico il suono. 

AB: L’impressione del sistema è ovviamente buonissima, dagli splitter ai banchi, l’operatività, la gestione, i plug-in… Si inserisce serenamente all’interno dei top-class che usiamo abitualmente. Da parte mia ovviamente c’è la curiosità di metterlo su strada e portarmelo dietro per un tour. Sono strasicuro che non sfigura a fianco di qualunque altro concorrente. A livello sonoro la serie Rivage dà delle grosse soddisfazioni. 

Elenco Materiale

FoH

Rivage PM5 (CS-R5 + DSP)

TWINLANe CARD optical fiber (HY256-TL)

DANTE CARD (HY144-D)

MADI CARD (HY128-MD)

Mon

Rivage PM10 (CS-R10 + DSP)

TWINLANe CARD optical fiber (HY256-TL)

DANTE CARD (HY144-D)

MADI CARD (HY128-MD)

Stage Box

RPio622 with 64ch IN / 32 ch OUT

4x MIC/LINE INPUT CARD (RY16-ML SILK)

2 x ANALOG OUTPUT CARD (RY16-DA)

TWINLANe CARD optical fiber (HY256-TL)

DANTE CARD (HY144-D)

RPio222 WITH 32 ch OUT

2 x ANALOG OUTPUT CARD (RY16-DA)

TWINLANe CARD optical fiber (HY256-TL)

DANTE CARD (HY144-D)

PROTOCOLLO TRASPORTO/CONNESSIONE

YAMAHA TWINLANe optical fiber redundant ring

PA-Mon-Mic

Come da dotazione standard LiveClub

Integrazione con IEM Sennheiser SR2050 (2ch)

Alcuni microfoni personali dei fonici


foto di Matteo Girola


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