Biagio Antonacci

Tour 2012

antonaccidi Giancarlo Messina


Un lungo tour di due tranche, moltissimi concerti e moltissimo pubblico. Uno spettacolo intenso, basato sulla musica, con costi ridotti e massima agilità. È la formula per badare all’essenziale. Facendo felici i fan.

Con il calo delle vendite dei dischi, l’esibizione live è diventata per molti artisti la principale voce nella colonna “entrate”. Fortunati quindi coloro che hanno alle spalle una storia fatta di tournée di successo ed un pubblico che li segue con entusiasmo: proprio come Biagio Antonacci. Negli anni abbiamo assistito a molti suoi concerti, constatando sempre la grande partecipazione numerica ed il grande entusiasmo del suo pubblico; e non ha fatto eccezione questa ultima tournée. Una produzione che ci è parsa dettata da un concetto molto semplice: coinvolgere il pubblico con la musica e meno con il visual o i colpi d’effetto. Anche perché il saggio motto “meno spendo più guadagno” è quanto mai in auge coi tempi che corrono. Il difficile è però contenere i costi offrendo comunque uno show che non deluda affatto il pubblico, ma che anzi lo faccia felice. Crediamo che questa produzione abbia raggiunto lo scopo.


Se l’unità di misura di una produzione è il bilico, parliamo di una produzione da quattro bilici (che poi bisognerebbe distinguere fra “il bilico italiano” e quello “inglese”, spesso stipato molto meno del primo) che porta in tour 70 persone; quindi di tutto rispetto. Ma la creazione di una struttura basica, autosufficiente e metamorfica, basata su due torri layer e una passerella – niente video, niente ground support, niente americane, niente appendimenti – dà alla produzione la non irrilevante dote di stare dentro budget non faraonici e di essere estremamente rapida in ingresso e uscita da tutti i palazzetti a cui è capace di adattarsi fulmineamente.


A fare lo spettacolo poi ci pensa l’artista, con i suoi musicisti e le sue canzoni, arricchendolo semmai con gli interventi di alcuni artisti di strada e ballerini di tango. Affermiamo con assoluta certezza che nessuno fra il numerosissimo pubblico, che ha segnato l’ennesimo sold-out al palazzetto di Forlì, abbia avuto da ridire sullo show, visto che abbiamo potuto annotare solo grande entusiasmo e partecipazione. Quindi obiettivo raggiunto!
Arrivati nel pomeriggio, abbiamo potuto prendere informazioni direttamente dai protagonisti di questa produzione che ci hanno illustrato le caratteristiche tecniche e logistiche dell’organizzazione. Alla sera il concerto, dopo essere stati ospiti al sempre ottimo catering Food&Sound di Maurizio D’Amico.


La diffusione audio ascoltata, realizzata con un sempre valido V‑DOSC, è stata decisamente buona, almeno dopo i primi due/tre brani, piuttosto confusi, che sono serviti per mettere a punto l’impianto. Ovviamente la voce è estremamente fuori dal mix, come vuole il pop nostrano, ma tutto il resto risulta ben equilibrato e godibile. antonacciPer quanto riguarda le luci, certamente De Cave ha realizzato il massimo che si potesse ottenere da una situazione del genere, praticamente senza appendimenti. Certo il fascio luminoso che deve partire da 12 o 15 metri per fare il controluce qualche problemuccio lo crea, ma diciamo che sono dettagli che il pubblico probabilmente non nota nemmeno, almeno quello che non si ritrova la luce in faccia. Tutto lo show luci è però molto furbo, ed accompagna sottolineando al meglio i momenti musicali ed il mood delle canzoni. Direi un bel mix di esperienza e sensibilità musicale. Molto buono anche l’uso del fumo e l’effetto iniziale con l’artista che sbuca sul palco grazie ad un elevatore.


Stefano De Maio – Produttore Artistico e Fonico
In tutti i concerti di Biagio l’idea principale è quella di farlo avvicinare il più possibile al suo pubblico, ed inizialmente avevamo addirittura pensato ad una passerella a 360°; ma, considerando i recenti accadimenti, ho telefonato a Biagio e gli ho comunicato la mia idea di non appendere niente da nessuna parte, proposta che lui ha accettato. Così il concept è cambiato ed abbiamo optato per questa lunga passerella e due torri layer. D’altra parte, tolte tre o quattro venue, in Italia è impossibile portare ovunque la stessa produzione, preferisco allora dimensionarla già più piccola e semmai ingrandirla dove serve.


L’audio è gestito con console Avid Venue – D-Show con estensione per la sala e Profile per il palco – perché alla fine il rapporto ingombro/qualità mi pare ottimo. Forse esistono banchi che suonano un po’ meglio, ma poi ci vuole mezzo bilico in più per il trasporto, quindi questa mi pare la situazione ottimale, anche perché se esplode il mio banco va l’audio dall’altra console e viceversa, una mia paranoia che mi dà sicurezza. Usiamo uno splitter attivo XTA, dopo il quale ogni banco ha il proprio stage rack, anche il mio è sul palco. Abbiamo anche una scorta analogica che va dal banco ai Galileo posti sotto il palco, vicino ai finali. Non uso per niente outboard: qualcuno mi prenderà per scemo, ma se io scelgo di usare una console digitale sposo una certa mentalità di lavoro, se poi devo portarmi dietro due rack di outboard allora scelgo un banco analogico, che fra l’altro sappiamo suonare il doppio. Il banco digitale deve permettermi di far tutto, e fra l’altro conosco l’ambiente Digidesign/Venue fin dalle origini come le mie tasche.

de maioLa mia posizione, defilata e dentro le transenne? L’ho pensata io... e mi sono tirato la zappa sui piedi! Nei progetti iniziali la passerella doveva arrivare vicino alle tribune, e non ci sarebbe quindi stato posto per le regie. Poi i promoter hanno avuto bisogno di aumentare i posti nel parterre, visto che i biglietti si vendevano eccome, così la passerella si è un po’ accorciata, ma noi siamo rimasti al posto di prima, una posizione per l’audio davvero infelice, soprattutto per la gente che ti urla nelle orecchie per tutto il concerto.
Difficoltà sui primi pezzi? Sì, parecchia, perché cambia sempre la lunghezza della passerella, e seguendo la fase del microfono di Biagio mi accorgo di come cambiano tutti i rientri. Ad esempio ho visto che dopo i primi quattro moduli di passerella devo girare la fase altrimenti mi va via il rullante! Così ogni sera devo capire la gestione ottimale, ed occorrono due tre pezzi.
Biagio canta con uno Shure Beta 58, che è il miglior compromesso – ne fa fuori due ogni dieci giorni! –; poi ho il compressore della console ed i plug-in della Waves come eq. Ho anche un MaxxBass in insert, ma non lo uso sempre, dipende dalla lunghezza della passerella, perché in certe situazioni più comprimo più ottengo problemi di innesco.
L’elemento più particolare dello show? È Biagio, che dal vivo è davvero strepitoso. Con lui non servono effetti speciali: lui è l’effetto speciale!

Jose MuscarelloDirettore di Produzione per F&P Group
Gestisco il tour per F&P Group. Siamo in giro da maggio, con una prima tranche di 17 date e, dopo una pausa estiva, siamo ripartiti in ottobre. Abbiamo già fatto 15 date e finiremo il 19 dicembre a Milano. È insomma un tour lungo che sta segnando un ottimo successo, tanto che a Roma e Milano abbiamo fatto quattro date, e raddoppiati i concerti di Pescara ed altre città.
L’idea di questa produzione nasce da una collaborazione fra l’artista, l’agenzia ed il produttore artistico Stefano De Maio, che è anche il fonico. L’idea è quella di essere autosufficienti rispetto agli appendimenti, cosa realizzata grazie alla costruzione di due muri laterali layer, senza ground support. A questi si aggiunge una lunga passerella, caratteristica dei concerti di Biagio, nata per coinvolgere maggiormente tutto il pubblico grazie alla vicinanza con l’artista ed i musicisti. muscarello, chinnici, colasanti, garnieri


Grazie a questa soluzione abbiamo tempi ridottissimi: entriamo alle sette di mattina ed alle 17 circa siamo pronti per le prove, solo a Roma e Milano abbiamo fatto dei premontaggi. La produzione usa quattro bilici, oltre a due sleeping bus, una scelta voluta dalla produzione per far riposare il più possibile i tecnici.
Il personale di produzione in tour è composto da quattro persone; oltre me troviamo Giovanni Chinnici, che si occupa della gestione più tecnica delle location e dei palasport, Fenia Galtieri come assistente di produzione e Fabio Colasanti come side coordinator per l’uscita dai palasport. Io, come direttore, mi dedico maggiormente alla gestione dei rapporti col promoter, alle chiamate, agli orari... È una produzione che non richiede troppo impegno al promoter locale: chiediamo facchini, arrampicatori, due scaff, runner, assistenti catering, la corrente per i servizi e i seguipersona. 


Un aspetto molto importante di questa produzione è la sua facile adattabilità a qualsiasi venue. Infatti è larga 21 metri – quindi sta ovunque – mentre la passerella è modulare, così può essere accorciata facilmente; con dieci moduli misura 31 metri, ma qui a Forlì, ad esempio, ne abbiamo montati solo sette.
Per quanto riguarda la sicurezza, a ben vedere per noi non è cambiato molto, perché ci siamo sempre mossi dentro le regole e col massimo rispetto delle disposizioni; lo facciamo adesso ma lo facevamo anche prima che accadessero le disgrazie che tutti conosciamo. Tutto è certificato, come sempre; quella che è aumentata è l’attenzione delle autorità alle verifiche. Noi siamo molto sereni, anche perché lavorando con service di alto livello abbiamo sempre tutto materiale certificato e controllato, cosa che dà sicurezza sia pratica che burocratica. Ad esempio ieri, a Modena, è venuto l’ispettorato del lavoro per controllare, giustamente, le posizioni contributive dei lavoratori che, ovviamente, erano tutte regolari.


I fornitori, come dicevo, sono di assoluta affidabilità: Agorà per audio e luci, Massimo Stage fornisce il palco e le strutture, CME per i gruppi elettrogeni, Food&Sound si occupa del catering, Gamund fornisce gli sleeper mentre TranShowLive si occupa dei trasporti.
Rispetto ad altre produzioni qui si è raggiunto un grande affiatamento del personale in tour e questo facilita molto il lavoro di tutti, anche perché, artisti compresi, siamo circa 70 persone.
Il breakeven del concerto è di circa 4/5 mila persone, un numero sempre raggiunto per la gioia nostra e dei nostri promoter!

de caveFrancesco De Cave Lighting Designer


Il palco è caratterizzato dalla lunga passerella, una caratteristica dei tour di Biagio, perché lui ama muoversi e correre, ha bisogno di spazio. È il palco più a fisarmonica che abbia mai visto: l’altezza delle torri varia dai 6 metri ai 14 metri, e la passerella dai 20 ai 5 metri, in pratica possiamo stare ovunque. Ovviamente i proiettori sono stati montati anche sul layer ed ovunque fosse possibile, perché non abbiamo americane appese, se non al nostro layer.
Al progetto ha contribuito anche Edo di Cromantica che ha messo insieme le varie idee, mentre io ho curato la parte luci ed un po’ la regia su alcuni movimenti di scena in cui intervengono degli artisti di strada e dei tangheri.


È uno spettacolo completamente senza video, elemento che non mi manca: il video completa la scena, ma tornare ad un modo più tradizionale di fare spettacolo non dà fastidio.
Ovviamente questa tipologia di palco è un po’ limitante per il progetto luci, ma abbiamo cercato di compensare appendendo ovunque fosse possibile: dentro le torri layer, dietro l’impianto audio, sui vari bozzi, per terra, sulla passerella, proprio per sfruttare qualsiasi punto. In una situazione del genere, ovviamente, abbiamo poche luci a pioggia, tutto è praticamente controluce, mentre per i frontali usiamo tre followspot. Dentro le torri ho delle DWE e dei LED per colorare le grate di ferro poste davanti alle torri stesse; fra i due layer abbiamo montato due americane, usate per reggere il fondale ed anche dei proiettori. Il problema è che la passerella è molto lunga, per cui fare il controluce con un faro cosi lontano non è facile: a 12 metri il faro diventa grandissimo, bisogna continuamente stringerlo con lo zoom e comunque arriva in faccia a chi è sotto il palco, è una situazione inevitabile; illuminare bene la passerella a quelle distanze è difficile. Biagio però ci aiuta stando molto attento alle posizioni che abbiamo segnato sulla passerella, così io ho preparato dei proiettori, dei Robin 300 a LED, che incrocio sulla passerella per illuminarla al meglio.


Le grate davanti al layer, come dicevo, sono di colore grigio chiaro: illuminate e colorate con dei Robin 300 danno profondità ed ampiezza all’intera struttura. Sono state costruite dalla Tekset, che ha realizzato anche l’elevatore per l’ingresso dell’artista e tutto il LED intorno al palco, nato come elemento di sicurezza ma diventato anche un elemento scenotecnico, soprattutto per chi vede il palco dall’alto.


Altra cosa non frequente è la posizione della regia luci, decentrata e posta sotto la passerella. Questo è dovuto alla necessità di non portar via altro spazio al parterre, visto che già la passerella ne occupa parecchio, anche perché, fortunatamente, la richiesta di spazio da parte del pubblico non manca! Devo ammettere che per me lavorare da questa posizione non è ottimale, anche se ovviamente cerco di adattarmi il più possibile. Uso due Whole Hog IPC con software versione 3.22, grazie al quale posso collegarle in mirror; così ne prendo una, prima delle prove, e la porto in posizione centrale, luogo da cui faccio tutti i puntamenti. Inizialmente ho un po’ sottovalutato questo aspetto della posizione defilata, pensavo che fosse lo stesso, ma mi rendo conto che da lì non riesco a vedere l’insieme della scena e quindi a dare manualmente ad ogni show quel di più che il lighting designer aggiunge con le sue emozioni ed intuizioni sera per sera. Ma, come detto, era inevitabile adottare questa soluzione quindi va bene così.


Illumino anche il pubblico, colorandolo con zoom larghissimi dai Robin 300 posti sulla passerella; poi uso dei Clay Paky Alpha Beam 1500 e Spot 1500, dei Robe Wash 1200, con cui faccio dei frontalini sul palco per i vari musicisti che rimangono fermi. Ho Atomic 3000 e DWE a iosa e degli “SpotBank” sul fondale, cioè dei Mega Jumbo a nove lampade PAR64 da 1000 watt, usati sui pezzi più rock.


Devo dire che grazie all’assenza dei video ho molta più libertà con le luci, anche se lo spettacolo è comunque assolutamente programmato; infatti grazie a questo posso, di data in data, migliorare e perfezionare sempre più la programmazione, anche se poi tutte le cue sono lanciate manualmente. Il mio assistente, Emanuele Evangelato, mi aiuta molto ed ha anche seguito lui un paio di show in mia assenza.

scafatiRemo Scafati PA Engineer


È un impianto molto essenziale, senza fronzoli. La configurazione standard nei palazzetti prevede cluster di  12/10 sistemi per lato di V‑DOSC, ma arriviamo anche a 16/10 per venue più grandi, e certe volte mettiamo anche dei delay, quando la tribuna è lontana 50 o 60 metri dal main. L’impianto viene sospeso alle torri layer, quindi è sempre ad una certa altezza. I sub sono 16 per lato, più quattro posti alla fine della lunga passerella per dare più spinta ed equilibrare il suono in regia. Infatti la regia è collocata in una posizione non ideale, cioè fuori dal centro e non troppo vicina al cluster, così ritardiamo l’impianto in modo che il fonico abbia una percezione migliore del suono, anche perché la zona della passerella non deve essere ben sonorizzata, visto che lì non c’è pubblico. Ovviamente sfasando l’impianto si viene a creare un vuoto sulle basse frequenze che compensiamo appunto con questi quattro subwoofer messi sotto la passerella.


Per buona parte del concerto il cantante è davanti al PA, così ho inclinato i cluster verso l’esterno, in modo da creare la minor interazione possibile fra il microfono e l’impianto; inoltre le ultime due o quattro casse dei cluster sono equalizzate in maniera diversa, con meno alte, proprio per diminuire il rischio d’innesco (anche perché noi diciamo all’artista di non andare sui sub, ma lui ci va lo stesso, com’è normale, quindi dobbiamo stare molto attenti!).
La cosa migliore, se dovesse crearsi qualche larsen, rimane comunque quella di spostare il pan dalla parte opposta, soluzione che non stravolge il sound e non richiede l’uso di filtri che possono danneggiare il suono.


Sto utilizzando la nuova versione del software L‑Acoustics che consente di dare una gran bella sistemata all’impianto, almeno al 90%; il grosso del lavoro è quindi fatto dai finali stessi LA che hanno al loro interno un DSP in grado di gestire diversi parametri, fra cui un “array morphing” che consente di avere un impianto flessibile: anche con 16 casse puoi scegliere di far suonare le mediobasse come in un cluster da 12 (perché ovviamente più il cluster è lungo più c’è accoppiamento), e questo consente di non fare quegli “scavoni” violenti con l’equalizzatore che di solito peggiorano la qualità generale. Inoltre i finali sono dotati di quattro filtri IIR e tre filtri FIR sulla parte alta. Tutto questo è poi comandato da un Galileo che serve da matrice ed un po’ anche come equalizzatore. In questo modo riusciamo ad ottenere una fase sempre perfetta ovunque, con grossi benefici per l’intelligibilità ed il balance.

Le Video Interviste:

Remo Scafati

Francesco De Cave

Jose Muscarello

Lorenzo Tommassini

 

 

 

 

 

 

Direttore di Produzione:  Jose Muscarello – Direttore di Produzione per F&P Group

Lighting Designer: Francesco De Cave

Service Audio Luci: Agorà

Palco e Strutture: Massimo Stage

Gruppo Elettrogeni: CME

Sleeper: Gamund

 

GALLERIA FOTOGRAFICA
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