La bottega di Archimede – seconda parte

Progettare un subwoofer di altissime prestazioni – di Mario Di Cola e Gabriele Candini

di Mario Di Cola e Gabriele Candini

Dopo averla illustrata dal punto di vista acustico, l’idea di subwoofer che vogliamo provare a realizzare è ora ben chiara. Tuttavia c’eravamo lasciati con un interrogativo inevaso sull’amplificatore da utilizzare. Nel nostro caso particolare, infatti, avevamo osservato che l’altoparlante che andiamo a utilizzare ha dei parametri piuttosto “spinti”, e al tempo stesso lo stiamo utilizzando all’interno di un carico acustico pensato per ottimizzare il livello di pressione massima generabile e le dimensioni. La risposta in frequenza risultante aveva però bisogno di alcune correzioni per essere concretamente utilizzabile.

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Fig. 1: L’amplificatore Powersoft IpalMod.


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 Fig 2: Vista dell’interfaccia IPAL quando è impostata in modalità “Virtual Speaker Model”. Sono evidenziati i parametri impostati dall’utente.

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Fig 3: Vista dell’interfaccia di impostazione dei parametri dall’utente.

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Fig 4: Vista dell’interfaccia IPAL quando è impostata in modalità “Pressure Model”. Sono visibili i controlli manuali impostati del livello del Feedback e della resistenza d’uscita.


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Fig 5: Pannello di impostazione dei parametri di controllo del modo “Pressure Model”.


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Fig 6: Pannello di impostazione dei parametri interni. In questo pannello vanno inseriti i parametri reali dell’altoparlante.

Una tecnologia particolare

Come abbiamo visto, il nostro progetto di subwoofer punta a utilizzare una tecnologia particolare, una tecnologia che si basa sull’utilizzo di un preciso amplificatore in congiunzione a un particolare tipo di altoparlante. E, come in ogni occasione in cui si abbraccia l’utilizzo di una nuova tecnologia, bisogna capire a fondo se è quello che ci serve davvero e quali attenzioni questa cosa ci richiederà. Al tempo stesso, solo se una tecnologia offre qualcosa di molto particolare possiamo sperare di ottenere un risultato finale fuori dal comune.

Il sistema IPAL

Come già accennato, l’amplificatore che andremo ad utilizzare si chiama IpalMod ed è prodotto dalla Powersoft di Scandicci (FI). Si basa su una tecnologia brevettata che è denominata IPAL (Integrated Powered Adaptive Loudspeaker) e la particolare filosofia con cui è stato concepito gli dona alcune particolarità molto rilevanti.

All’inizio del nostro progetto stavamo immaginando/desiderando di avere a disposizione la possibilità di controllarne il funzionamento in regime dinamico, tramite un sensore che potesse creare un anello di reazione negativa. Il nostro secondo desiderio era quello di poter avere a disposizione la possibilità di aggiungere una resistenza all’altoparlante in modo da modificarne il comportamento elettrodinamico, riducendone lo smorzamento elettrico (in altre parole aumentandone il Qes). Ed ecco, appunto, che proprio nel sistema IPAL troviamo tutto quanto desiderato, e anche di più. 

Abbiamo dunque trovato quello che cercavamo?

Forse sì. Vediamo, allora. La prima particolarità dell’amplificatore IPAL è infatti che esso è dotato di un sistema esterno di retroazione basato su un sensore di pressione differenziale. Questo sensore deve essere installato in un punto opportuno del pannello che sostiene l’altoparlante, in modo che le due facce opposte del sensore possano “sentire” da un lato la pressione del carico acustico pilotato dalla faccia anteriore del cono e dall’altro quella del carico acustico pilotato dalla faccia posteriore.

La seconda grande particolarità è che, per l’appunto, tale amplificatore permette di variare la sua impedenza di uscita. Questa, infatti, può essere variata dagli 0 Ω ideali di un amplificatore che si comporti come un generatore ideale di tensione, come di solito un amplificatore di potenza è concepito, a +2 Ω e −2 Ω, quindi in positivo o negativo. Ci siamo, dunque!

Proprio come desiderato, questa cosa ha come conseguenza quella di interagire con il “carico”, cioè con l’altoparlante, in modo da variarne il comportamento elettrodinamico.

In altre parole, il cambiamento dell’impedenza di uscita dell’amplificatore equivale a variare alcuni dei parametri di Thiele & Small dell’altoparlante, aumentando il Qes (fattore di smorzamento elettrico) nel caso dell’aggiunta di un valore positivo, mentre equivale a ridurlo nel caso dell’aggiunta di un valore negativo.

Questa specifica operazione equivale, in un certo senso, ad aumentare la resistenza in serie all’altoparlante. Questo ha come effetto di variare il comportamento dell’altoparlante, come già detto. La cosa bella, però, è che se questa operazione la si può fare manipolando il comportamento dell’uscita dell’amplificatore, questa aggiunta può essere di tipo “virtuale” e cioè può agire nel cambiare il comportamento elettrodinamico dell’altoparlante, senza provocare un’indesiderata dissipazione di potenza termica. È una resistenza virtuale che condiziona il comportamento dell’altoparlante, sì, ma senza introdurre una perdita dissipativa nel sistema amplificatore + altoparlante.

Nel nostro sistema, infatti, useremo i nostri due altoparlanti 18 Sound 18iD connessi in parallelo tra di loro. Ciascuno di essi ha un’impedenza nominale di 2 Ω ed una resistenza in corrente continua di 1,4 Ω. In parallelo, il carico complessivo avrà una impedenza nominale di 1 Ω (!) con una resistenza in DC di soli 0,7 Ω (!) ed una impedenza minima di 0,8 Ω. Se avessimo cercato di ottenere questo risultato aggiungendo fisicamente una resistenza da 0,7 Ω in uscita all’amplificatore avremmo finito per dissipare su di esso circa la metà della potenza in uscita. Mettere un resistore in serie ad un sub è una cosa impensabile, in generale, soprattutto nelle applicazioni professionali. 

In questo caso sarebbe addirittura assurda perché con soli 0,7 Ω in serie, avremmo già realizzato un’ottima stufa!

Nel nostro caso, invece, la resistenza è virtuale – quindi, nessuna potenza dissipata – e questo magico effetto può essere ottenuto agendo sul comportamento dell’amplificatore, per esempio modificando il comportamento del “virtual ground” in uscita. Essendo virtuale, tale resistenza può essere positiva, come detto, oppure – perché no? – può essere anche negativa. Non è questo il caso, ma potremmo immaginare di aver avuto bisogno di ridurre il Qes invece di alzarlo. In quel caso la resistenza negativa sarebbe stata utile. Grazie al fatto che tale resistenza è virtuale possiamo decidere di gestirla in base alle nostre esigenze. È ovvio che il componente fisico “resistenza negativa” non esiste nella realtà, non può essere acquistato in un negozio!

Ve li immaginate, infatti, gli occhi sbarrati del commesso nel vostro negozio di elettronica se gli chiedeste: “Vorrei comprare una resistenza virtuale?” Oppure: “Vorrei comprare una resistenza virtuale negativa da −0,5 Ω”?

Il “Feedback Loop”

Per quanto riguarda l’anello di feedback, esso è realizzato in questo caso tramite un sensore di pressione differenziale installato sul pannello dell’altoparlante, e questa è una novità assoluta, ideata e brevettata da Powersoft.

I sistemi con controllo ad anello chiuso sono da sempre stati oggetto di attenzione e di studi già in passato, e già da qualche decennio. Tuttavia, il sistema di controllo era realizzato in modo totalmente diverso. Uno tra i vari metodi utilizzati, infatti, era quello di misurare l’accelerazione del cono. Questo metodo era in grado di ottenere ottime prestazioni di linearità in casse chiuse, ma per elevati SPL non se la cavava molto bene. Tuttavia, alcuni prodotti commerciali si basavano su questa tecnica con buoni risultati in ambito Hi-Fi.

Un approccio alternativo al precedente può essere rappresentato dalla misura della velocità del cono. Un metodo basato sul controllo della velocità sarebbe anche capace di operare con il riferimento di un segnale pre-processato che metta in relazione la velocità ad una specifica funzione di trasferimento dell’“output” acustico ma, ancora una volta, non permettendo completa libertà nell’applicabilità per carichi acustici diversi da quelli della cassa chiusa.

Uno dei metodi migliori di cui abbiamo notizia, tra quelli che sono apparsi sul mercato negli anni passati, è l’ACE Bass System. Tale sistema ha rappresentato un vero e sostanziale miglioramento in termini di linearità. Tale approccio includeva, nell’anello chiuso, parte dei parametri elettromeccanici del trasduttore vero e proprio.

Se si è in grado quindi di alterare elettricamente qualcuno di questi parametri, si è anche in grado di adattare il comportamento del trasduttore, entro certi limiti, allo specifico carico acustico in cui esso è inserito.

Le principali limitazioni mostrate dall’ACE Bass in questo ambito erano le seguenti:

 la sostanziale incapacità di tale sistema nel ridurre la massa apparente del trasduttore a livelli inferiori rispetto a quella reale;

 l’incapacità di aumentare la cedevolezza apparente del traduttore a livelli maggiori rispetto a quella reale;

 essendo un sistema totalmente basato sul “lato elettrico” del modello del trasduttore, il metodo in sé è troppo sensibile alle non linearità del trasduttore fisico vero e proprio.

Quindi il sistema in questione, anche se permette alcuni miglioramenti netti della qualità del suono, non lascia neanch’esso totale libertà in termini di capacità di sintesi di modelli virtuali, né tiene pienamente in considerazione le condizioni acustiche di carico del trasduttore nel suo utilizzo.

L’approccio innovativo del sistema IPAL, invece, basando il funzionamento del suo sistema di controllo sul metodo innovativo del rilevamento della pressione differenziale, deriva il suo segnale di controllo dall’effetto che il trasduttore ha sul carico acustico vero e proprio, e per questa ragione può fornire un risultato migliore poiché il segnale di controllo è basato sulla vera natura del sistema acustico ed è capace di operare anche a livelli molto alti, com’è di regola nel Sound Reinforcement professionale.

Il regime di lavoro

E che dire dell’impedenza minima di 0,8 Ω a cui il sistema lavorerà? Non staremo esagerando? Ebbene, la risposta è: “No, non stiamo esagerando”. L’amplificatore IPAL è specificatamente progettato per operare a impedenze così basse. È ovvio che, in questo caso specifico, non sarebbe pensabile operare in questo modo se l’amplificatore si trovasse fuori dalla cassa, se fosse un amplificatore da rack insomma. La resistenza dei cavi, sopra una certa lunghezza, comincerebbe ad avere un valore comparabile a quello del carico stesso: pessima condizione di lavoro!

Quindi è molto importante che tale amplificatore sia montato nella cassa stessa, ecco perché può essere utilizzato soltanto come modulo per casse attive, ed è anche molto importante che i cavi di collegamento agli altoparlanti siano corti e di generosa sezione (vi saranno correnti fino ad un massimo di 120 A di picco!).

Nel caso di un sistema in cui la resistenza è ridotta al minimo possibile, si minimizza una delle cause principali della dissipazione termica. Ovviamente l’amplificatore dovrà lavorare con correnti molto più alte di quanto possiamo immaginare normalmente. Tuttavia, in questo caso, il segreto sta nell’accoppiarsi ad un particolare tipo di altoparlante. Questo altoparlante, come abbiamo visto, ha un motor strength (B×L)2/Re elevatissimo ed un Qes molto basso. Questo significa che rappresenta per l’amplificatore un carico molto, molto reattivo. Problemi? Pare proprio di no, anzi…

 

Un amplificatore come questo è perfettamente a proprio agio nel gestire carichi così reattivi, per vari motivi:

 essendo collegato ad un carico così reattivo la potenza attiva (e quindi reale) che esso deve trasmettergli rappresenta una frazione molto bassa della potenza totale trasmessa (potenza apparente). La potenza reattiva, invece, non è “costosa” in termini energetici, e può essere palleggiata comodamente avanti e indietro tra amplificatore ed altoparlante e viceversa;

 come diretta conseguenza si ha che l’altoparlante con motor strength molto elevato genera delle forti quantità di forza elettromotrice inversa che viene re-inviata all’uscita dell’amplificatore, dove questo, grazie ai particolari vantaggi offerti dalla classe D in termini di gestione della potenza, a seconda del verso, riesce a riciclarne la gran parte ricaricando il “rail” corrispondente dell’alimentatore;

 essendo progettato per questa condizione di lavoro, il suo alimentatore è capace di elevate tensioni (fino a 195 V di picco) ed elevate correnti di picco (120 A). Non è dimensionato, volutamente, per elevate correnti in regime continuativo e quindi non è fatto per pilotare carichi che assorbano una grande quantità di potenza attiva che sarebbe assorbita da altoparlanti molto meno reattivi, come i normali altoparlanti da 8 Ω utilizzati con gli amplificatori da rack.

L’altoparlante che stiamo utilizzando, infatti, ha come conseguenza della sua natura notevolmente reattiva il fatto che, a parte alcuni punti della banda dove l’angolo tra corrente e tensione è vicino a zero (come ad esempio alla frequenza di accordo in basso, dove lavora il risonatore reflex), per la maggior parte della banda avranno un angolo di fase in genere decisamente diverso da zero. Questo è il motivo per cui buona parte dell’energia che l’amplificatore e l’altoparlante si scambiano è costituita prevalentemente da energia reattiva, riducendo notevolmente la componente attiva, vera e propria causa di dissipazione termica del sistema nelle bobine mobili, e riducendo anche la necessità, da parte dell’amplificatore, di fornire grandi quantità di energia attiva al sistema. 

L’interfaccia utente

A differenza dei sistemi realizzati in passato, che erano progettati e tarati per una specifica applicazione, il sistema IPAL si può invece adattare per essere programmato ed ottimizzato per ogni particolare utilizzo. Il meccanismo di controllo è realizzato tramite un DSP ultra veloce a “latenza zero” (un solo campione di latenza tra ingresso e uscita); per questo motivo è programmabile e ri-programmabile, attraverso una interfaccia su computer. Questa cosa gli permette una certa duttilità nell’utilizzo ed un elevato grado di personalizzazione al fine di ottimizzare il carattere sonoro che ciascuno vuole ricavarvi.

Proprio come accadeva nell’ACE Bass, il sistema IPAL può essere configurato per creare un trasduttore virtuale con dei parametri desiderati, a partire da quello reale, inserendo nel software i valori apparenti desiderati. Ed è capace di fare questo rimuovendo alcune delle limitazioni dell’ACE Bass. Per questo compito vi è una specifica modalità denominata “Virtual Speaker Model” che, una volta inserita, fa sì che il sistema operi interamente in automatico modellando il trasduttore reale affinché abbia i parametri del trasduttore ideale che si desidera ottenere.

Il software può essere però anche utilizzato in una modalità più diretta denominata “Pressure Model”, che permette la calibrazione manuale del controllo (in termini di quantità e di banda utile) e dell’impedenza di uscita, permettendo una massimizzazione dei risultati soprattutto in termini di massima pressione acustica generabile, in condizioni di utilizzo limite.

 

Grazie per essere arrivati fin qui, l’appuntamento è quindi alla prossima puntata in cui spiegheremo ancora più a fondo il funzionamento del sistema IPAL. Oltre a questo, inizieremo anche a vedere come costruire la cassa vera e propria e, finalmente, a tagliare un po’ di legno. A prestissimo!