La bottega di Archimede – prima parte

Progettare un subwoofer di altissime prestazioni – di Mario Di Cola e Gabriele Candini

di Mario Di Cola e Gabriele Candini

Figura 1
Figura 1: L’altoparlante Eighteen Sound mod. 18iD.

Figura 2
Figura 2: Risposta del 18iD in un allineamento “maximally flat”. Come si vede tale allineamento non sarebbe di alcuna utilità per questo altoparlante.

Figura 3
Figura 3: Risposta simulata dell’altoparlante 18iD posto in cassa Bass-Reflex di 125 l con frequenza d’accordo a 32 Hz.

Figura 4
Figura 4: Risposta del sistema con 0,7 Ω di resistenza aggiunta. La risposta alle frequenze molto basse diventa di per sé davvero molto piatta mentre il resto è facile da equalizzare con un DSP.

Figura 5
Figura 5: Simulazione che rappresenta una prima ipotesi di risposta del carico pensato per la coppia di altoparlanti. Il risultato è dato dalla combinazione di un risuonatore posteriore con Q molto elevato e caricamento frontale con altoparlanti affacciati entrambi in una cavità comune.

Figura 6
Figura 6: Impedenza relativa alla prima ipotesi di carico acustico. Notare l’angolo di fase tra corrente e tensione raggiungere e superare i 60°.

C’era un tempo in cui costruirsi da sé i diffusori audio era procedura molto diffusa: per ragioni economiche, certamente, ma soprattutto per gusto e passione. Alcune di quelle esperienze sono diventate una professione ed hanno dato alla luce marchi prestigiosi, tante altre sono state meno fortunate, parecchie hanno raggiunto lo scopo di creare prodotti dignitosi, utilizzabili con profitto dagli stessi soddisfatti creatori.
Mille cose sono cambiate da allora, ma la passione e la motivazione rimangono alte in chi è divorato dal tarlo dell’audio.
Abbiamo così pensato di riproporre, in chiave moderna e corredato con tutte le nozioni tecniche e teoriche, un progetto di alta qualità realizzabile artigianalmente.
Abbiamo chiesto di scrivere questa guida a due tra i migliori progettisti italiani, Mario Di Cola e Gabriele Candini, partendo dalla realizzazione di un sub-woofer.
Crediamo si tratti di un percorso molto interessante da seguire, non solo per chi abbia effettivamente intenzione di costruirsi il diffusore, ma anche per chi voglia capire come i principi teorici si trasformino in progetti reali.

 

Questo mese iniziamo una serie di articoli sulla progettazione dei subwoofer. Avevamo pensato inizialmente di trattare l’argomento un po’ in generale, ma poi ci siamo resi conto che ne sarebbe venuta fuori una trattazione prima di tutto inutile, poiché di cose scritte in materia ce ne sono già tantissime, e forse anche pedante, noiosa e pleonastica, poiché un’idea di base del funzionamento di un subwoofer oramai ce l’hanno tutti, o quasi.
Pensiamo invece che sarebbe più interessante parlare di un “case-study” che riguarda la progettazione vera e propria di uno specifico subwoofer professionale dalle prestazioni piuttosto particolari, e che al suo interno usa tecnologie innovative, così da poter approfondire meglio alcuni aspetti progettuali.
In altre parole, l’idea è quella di proporvi, come argomento specifico, la progettazione di un subwoofer professionale che incorpora alcune delle tecnologie più avanzate in materia, spiegando via via le varie scelte progettuali e le caratteristiche delle varie parti impiegate. La cosa bella è che se qualcuno di voi si volesse cimentare con la costruzione dello stesso, lo potrà certamente fare.

Introduzione

La riproduzione delle frequenze basse attraverso altoparlanti elettrodinamici si basa su approcci generalmente ben noti. Negli ultimi anni si sono visti sostanziosi passi in avanti compiuti in termini di quantità e qualità della riproduzione: questi sono scaturiti sia dal miglioramento dei materiali e delle tecniche di progettazione degli altoparlanti, sia dagli enormi progressi compiuti dagli amplificatori. Quest’ultimi in particolare, in circa dieci anni, hanno forzato tutti i produttori di altoparlanti a migliorare radicalmente le caratteristiche termiche e meccaniche dei propri prodotti. La disponibilità di semiconduttori nuovi e capaci di alte tensioni ed enormi correnti, a prezzi abbordabili, ha infatti reso possibile la costruzione di amplificatori sempre più potenti e, con questo, ha favorito la conquista quasi totale del mercato da parte degli amplificatori in classe D a discapito delle tecnologie precedenti.
Quindi, anche se i principi di funzionamento sono rimasti gli stessi, grazie a questi passi in avanti è possibile ottenere ora quello che 15 o 20 anni fa era praticamente impensabile.
Ad ogni modo, ci sono delle limitazioni che rimangono tuttora e che richiederebbero ulteriori passi avanti.
Limitazioni come, ad esempio:

  • Tolleranza dei parametri di T&S dell’altoparlante all’interno di un certo numero di esemplari;
  • Stabilità degli stessi durante la loro vita utile;
  • L’affidabilità quando sono costantemente pilotati a livelli prossimi al loro limite massimo;
  • La possibilità di adattarli ad ogni tipo di carico acustico;
  • L’efficienza generale del sistema.

Un’ottima soluzione per scavalcare queste limitazioni è rappresentata dall’utilizzo di un amplificatore che possa integrarsi profondamente con l’altoparlante utilizzato e che ci permetta di controllarne le prestazioni in modo che siano strettamente accoppiati tra loro. Un amplificatore, insomma, che possa essere configurato per ottimizzare al massimo le prestazioni di quello specifico altoparlante, in quello specifico sistema acustico.
In questo caso potremmo anche immaginare (o sperare) di avere anche un controllo “ad anello chiuso” che monitora istante per istante il funzionamento del sistema correggendone il comportamento in tempo reale, quando necessario.
Ora, la buona notizia è che un amplificatore così esiste e non lo dobbiamo andare a cercare lontano poiché è una particolare tecnologia brevettata da un’azienda italiana: Powersoft.
L’amplificatore in questione è denominato IpalMod, ed è un modulo dedicato alla realizzazione delle casse attive (anche conosciute con il nome auto-amplificate) e, dato che siamo interessati a tale regime di stretto accoppiamento tra amplificatore e cassa, in questo caso la cosa ci regala una serie di vantaggi, tra i quali anche quello di poter usare un sensore di pressione differenziale che esercita il controllo sul funzionamento reale dell’altoparlante e che chiude il “loop” del controllo rimandando un segnale all’amplificatore, segnale che quest’ultimo può utilizzare per correggere il funzionamento dell’altoparlante.

L’altoparlante

Teniamo un attimo in sospeso il discorso sull’amplificatore. Lo riprenderemo tra poco. Parliamo un po’ di quale altoparlante vogliamo utilizzare. Innanzitutto diciamo che da alcune considerazioni abbiamo pensato di concentrarci sul progetto di un subwoofer che fosse familiare allo standard dei subwoofer professionali comunemente utilizzati nelle applicazioni “sound reinforcement” di ogni genere. La dimensione standard più utilizzata è quella del 18” e quindi abbiamo scelto di progettare un subwoofer da 2 x 18”.
L’altoparlante che abbiamo scelto è un 18 pollici prodotto da 18 Sound di Reggio Emilia, ed è un altoparlante espressamente progettato per funzionare insieme a questo amplificatore, infatti il modello è 18iD dove la “i” sta per Ipal.
L’altoparlante in questione ha una serie di particolarità interessanti, tra le quali citiamo le seguenti:

  • bobina mobile da 5,3” (135 mm) di diametro con una speciale disposizione dell’avvolgimento per linearizzare al massimo la curva del B×L in funzione dello spostamento;
  • cono super rinforzato in una speciale polpa che gli permette di sopportare pressioni altissime;
  • escursione lineare di ±14 mm;
  • impedenza nominale di 2 Ω;
  • triplo centratore per poter esercitare un controllo molto robusto durante il movimento;
  • un altissimo “Motor Strength” (ovvero (B×L)2/Re) pari a 412 kg/s. Ottimi 18” da 8 Ω comunemente utilizzati nei migliori subwoofer hanno in generale un Motor Strength di circa 150 kg/s.

Per quelli che hanno maggiore familiarità con la progettazione dei subwoofer e dei sistemi di altoparlanti in generale riportiamo qui di seguito anche i parametri lineari dell’altoparlante.

  • Fs = 40 Hz
  • Re = 1,4 Ω
  • Sd = 1130 cm2
  • Qms = 6,0
  • Qes = 0,26
  • Qts = 0,25
  • Vas = 69 litri
  • Mms = 415 g
  • B×L = 24 Tm
  • Xmax = ±14 mm

I parametri lineari sono i parametri che si possono misurare quando all’altoparlante viene applicato un segnale piuttosto piccolo, non più di un paio di volt per capirci. Questi parametri sono detti anche parametri di Thiele & Small, dai nomi di Neville Thiele e Richard Small, due studiosi che si sono dedicati sin dagli anni ‘70 allo studio dei trasduttori, sia riguardo alla loro classificazione sia al loro utilizzo nei sistemi acustici a radiazione diretta. Più in dettaglio, spieghiamo anche un po’ il loro significato:

Fs è la frequenza di risonanza (in hertz) dell’altoparlante in aria libera. Come ogni sistema meccanico composto da una massa ed una molla (le sue sospensioni elastiche), anche l’altoparlante esibisce una frequenza propria a cui “preferisce” oscillare, cioè una frequenza a cui può oscillare più facilmente che ad altre;
Re è la resistenza in corrente continua esibita dall’avvolgimento (voice coil) dell’altoparlante;
Sd è la superficie attiva del cono, quella che viene considerata come superficie radiante che contribuisce alla generazione della pressione sonora;
Qms è il fattore di smorzamento meccanico delle sospensioni;
Qes è il fattore di smorzamento elettrico del motore;
Qts è il fattore di smorzamento totale, dato dalla combinazione algebrica dei precedenti;
Vas è il volume acustico equivalente alla cedevolezza delle sospensioni; in altre parole, è un volume d’aria che offre alla compressione la stessa cedevolezza (in termini di forza) che le sospensioni offrono ad uno spostamento forzato. Più grande è il volume equivalente, più grande è la cedevolezza delle sospensioni. Volumi piccoli, come in questo caso, denotano un altoparlante piuttosto rigido;
Mms è la massa mobile del trasduttore, la massa che si mette in movimento quando viene stimolato da un segnale. Essa comprende la massa del cono, la massa di tutte le sospensioni che si muovono insieme ad esso e la massa di un sottile strato d’aria che si mette in movimento con il cono.
B×L è detto fattore di forza ed è il “fattore” che una volta moltiplicato per la corrente che facciamo scorrere nella bobina mobile ci fornisce la forza che spinge il cono. Esso è dato dalla intensità del flusso del campo magnetico nel traferro (B) moltiplicato per la lunghezza del filo immerso nel campo magnetico e che concatena una quantità significativa di flusso. Essendo la corrente di segnale i(t) variabile e funzione del tempo anziché indicare la forza (che sarebbe anch’essa funzione del tempo) si preferisce indicare solo il fattore di forza, il quale non varia essendo determinato solamente dal flusso stazionario e dalla lunghezza del filo in esso immerso. Questo concetto merita di essere precisato meglio quando parleremo del B×L(x), cioè del fattore di forza in funzione dello spostamento, il quale scopriremo che può essere fortemente non-lineare con lo spostamento della bobina dalla posizione di riposo. Il B×L si esprime in tesla per metro.
Xmax è l’escursione in millimetri, considerata lineare. Essendo sia il B×L che la cedevolezza dipendenti dallo spostamento dell’altoparlante dalla posizione di riposo, esiste solo un intervallo di spazio da un lato e dall’altro rispetto alla posizione di riposo dove lo spostamento è considerato lineare, ed in particolare dove il B×L subisce solo una variazione minima ed accettabile rispetto al valore “di targa”.

Quale carico acustico?

Ora, guardando ai parametri di questo altoparlante e provando a calcolare un semplice allineamento per ottenere la risposta naturalmente “flat” dello stesso in una cassa in bass-reflex a radiazione diretta, con gli allineamenti studiati proprio da Thiele e da Small, otterremo qualcosa di molto strano ed insolito. Il nostro altoparlante, infatti, se utilizzato in un sistema bass-reflex, richiederebbe un volume “ottimale” di circa 18 l, con una frequenza di accordo di circa 58 Hz. Questo richiederebbe, come conseguenza, un condotto d’accordo di circa 1,6 metri di lunghezza se avesse la superficie minima richiesta per un altoparlante da 18” e cioè di 400 cm2 circa. È evidente che c’è qualcosa di strano e che una cassa acustica siffatta sarebbe complicata da realizzare e poco utile per lavorare da subwoofer. Tra l’altro, una cassa acustica con 18 l di carico posteriore dell’altoparlante farebbe probabilmente fatica ad ospitare l’altoparlante stesso.
Cosa molto più grave poi è che la frequenza di accordo di 58 Hz ha come diretta conseguenza il fatto che al di sotto di tale frequenza l’emissione anteriore del cono e quella posteriore che arriva attraverso il condotto d’accordo andrebbero progressivamente in opposizione di fase al ridursi della frequenza, come del resto è normale che accada in un bass-reflex al di sotto della frequenza d’accordo. Questo fatto limiterebbe severamente la potenza acustica irradiata dal sistema rendendone l’uso come subwoofer praticamente inutile. In figura 2 si può vedere l’andamento simulato della risposta e il drastico calo apprezzabile già al di sotto dei 90 Hz.
Da queste considerazioni emerge quindi il fatto che tale altoparlante va utilizzato in un tipo di carico posteriore che non si preoccupa di restituire una risposta in frequenza “massimamente piatta”, non è molto importante nel nostro caso e vedremo perché. Quello che invece per noi è davvero importante è creare un carico posteriore al cono capace di emettere una grande potenza acustica ben al di sotto dei 40 Hz e che possa essere ben dimensionato in modo da poter sostenere tale uscita acustica senza esibire comportamenti anomali.
Dalla figura 3 si vede quindi molto bene che è possibile caricare diversamente l’altoparlante in questione per un “output” molto più interessante per l’applicazione di tipo subwoofer, ma la risposta che ne otteniamo non è massimamente piatta. Questo non è un problema di per sé, infatti nel nostro caso la possiamo eventualmente equalizzare con i filtri del DSP quando andremo a configurarvi la curva ottimale di filtraggio.
Ad ogni modo possiamo anche provare ad immaginare cosa accadrebbe se potessimo regolare a nostro piacimento anche una piccola resistenza da inserire nel circuito ed osservare come (e se) cambierebbe il comportamento dell’altoparlante.
Sempre servendoci del simulatore possiamo, infatti, stimare che la risposta acustica cambierebbe se introducessimo una piccola resistenza positiva in uscita all’amplificatore. Nel caso questa resistenza fosse di 0,7 Ω quali parametri ne sarebbero influenzati? Ovviamente Fs, B×L, insieme a Mms, Sd e Vas rimarrebbero invariate poiché sono determinati da caratteristiche fisiche, meccaniche o magnetiche dell’altoparlante. Qes passerebbe da circa 0,26 a 0,36 e, di conseguenza, Qts passerebbe da 0,25 a 0,34. Questa cosa farebbe sì che il volume ottimale per un risultato di per se più “flat”, almeno nella parte più bassa dello spettro, sarebbe maggiore, e questo ci consente di imporre dunque la frequenza d’accordo più in basso, diciamo intorno ai 32 Hz, rendendo la cassa e soprattutto il tubo d’accordo realmente costruibili. In aggiunta a questo, in questo modo potremmo ottenere anche un migliore comportamento acustico, come è facilmente visibile in figura 4.
Guardando bene però i parametri dell’altoparlante e riflettendo un po’ su di essi, possiamo anche osservare che, come già accennato sopra, questo altoparlante è dotato di una grandissima forza mentre, al tempo stesso, ha una cedevolezza molto bassa e questo significa quindi che ha delle sospensioni piuttosto rigide. Ora: il nostro altoparlante ha un’enorme forza nel motore, ed è dunque un po’ come avere un motore molto potente in un’auto, uno di quei motori dove basta “schiacciare” un pochino e la spinta si manifesta subito e molto generosamente. Continuando sulla stessa metafora però, quello che è necessario che accada è che il motore abbia la possibilità di trasmettere la sua forza in qualche modo, altrimenti non se ne avvertono i benefici.
Fuor di metafora quindi, si tratta di un altoparlante che ha bisogno di essere accoppiato acusticamente, ad un tipo di carico acustico per l’appunto, che gli offra un’impedenza acustica di radiazione piuttosto alta, in modo che riesca a trasmettergli la forza di cui è capace riuscendo quindi a compiere lavoro in misura maggiore.
Di conseguenza possiamo immaginare di “accoppiare” alla faccia posteriore di questo altoparlante un bel risonatore reflex a frequenza molto bassa, avendo cura di progettarne uno con un fattore Q molto alto e capace quindi di gestire una notevole quantità di potenza acustica. Questo tipo di carico acustico, alle frequenze bassissime rappresenta già un notevole caricamento del cono.
Dovendo poi individuare che tipo di caricamento dare alla faccia anteriore, possiamo immaginare di individuarne uno che permetta di dargli un forte caricamento al di sopra dei 50 Hz in modo da elevare il più possibile l’efficienza del sistema nella parte alta dello spettro. Una soluzione che ci permette di fare questo in maniera semplice, pur mantenendo facile il montaggio dell’altoparlante e senza dover creare sportelli o pezzi asportabili, è quella di far affacciare gli altoparlanti in una cavità centrale del sistema in modo che, oltre ad emettere all’interno di una cavità ristretta con conseguente aumento dell’efficienza, sentano anche l’un l’altro l’effetto del reciproco funzionamento permettendogli di guadagnarne ancor di più. Questi due aspetti permettono di elevare significativamente l’efficienza del sistema poiché oltre a quello della cavità acustica si massimizza anche l’effetto del mutuo accoppiamento tra gli altoparlanti.
Il sistema che ne deriverà sarà di tipo passa-banda ed andremo ad analizzare nel dettaglio il suo funzionamento e la sua ottimizzazione nella prossima puntata. Ora però dobbiamo, per prima cosa, individuare se ci sono e quali sono le caratteristiche dell’amplificatore che ci aiuteranno ad implementare la nostra idea in pratica.
Vedremo meglio anche questo. Nella prossima puntata.

 

 


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