Lo Studio Moderno - 2 parte

Il tipo e la disposizione dei diffusori condiziona tutto il resto della progettazione dello studio...

di Livio Argentini

Parte II


Nel numero precedente si era parlato del primo step nel progetto del nostro studio, i preamplificatori microfonici e relativo cablaggio. Ora salteremo a pie' pari all'ultimo: gli ascolti. Non per essere a tutti i costi anticonvenzionali, o per non seguire le regole, ma perché il tipo e la disposizione dei diffusori condiziona tutto il resto della progettazione dello studio.
Facciamo un poco di storia. Nei primi studi, negli anni '60, non si dava troppa importanza al monitoraggio, si ascoltava e basta. A quell'epoca si era agli inizi del mercato Hi-Fi, non si disponeva ancora di adeguati strumenti di controllo e non si era ancora sviluppata una cultura in merito.


I primi sistemi di ascolto erano basati su casse acustiche con un grosso woofer che fungeva anche da midrange ed una tromba a compressione per le frequenze medio-alte.
Se è vero che oggi una soluzione simile farebbe inorridire i puristi, bisogna rendersi conto che quello era al tempo l'unico sistema per avere un ascolto con una certa potenza ed una certa parvenza di linearità. I parametri come la risposta ai transitori ecc non erano ancora minimamente presi in considerazione. Questo tipo di diffusori aveva un alto rendimento, necessario perché gli amplificatori esistenti erano in grado di erogare una potenza piuttosto scarsa. Si era ancora al tempo delle valvole ed un amplificatore da 40/50 W (indistorti?) era il massimo. Solo pochi fortunati si potevano permettere di utilizzare l'unico amplificatore veramente di qualità tra quelli in commercio, il famoso Mc Intosh (60 e 75 W), potenza che comunque al giorno d'oggi fa un po' sorridere.


I diffusori, il più delle volte, erano appesi al soffitto con quattro catene, non tanto per problemi di acustica ma per il fatto che le regie erano estremamente piccole e i diffusori posti in alto non portavano via spazio.


Questa configurazione di altoparlanti, se da un lato permetteva di ottenere una risposta degli strumenti abbastanza lineare, offriva una qualità decisamente scarsa, per tre motivi principali.
Primo: le notevoli masse in movimento. Il crossover, normalmente, tagliava tra 1200 e 2000 Hz e logicamente la risposta ai transitori di un cono da 12/15 pollici e dal peso di 100/200 grammi o più non poteva che essere piuttosto scarsa. Lo stesso dicasi per la membrana del driver a compressione che, dovendo scendere a frequenze abbastanza basse, era normalmente costruita con i materiali reperibili a quell'epoca, tipicamente tela sterlingata molto rigida e pesante. Secondo: parte delle frequenze medie era diffusa dal cono del woofer, soggetto a notevoli escursioni, generando così un elevato livello di intermodulazione. Terzo: la frequenza di crossover usata costringeva a dividere la maggior parte dei suoni fondamentali sui due altoparlanti, con conseguenti rotazioni di fase piuttosto dannose.
L'uso di questo tipo di diffusori si è protratto per molti anni, anche se con notevoli migliorie dovute sia allo sviluppo dei materiali, sia all'uso di amplificatori a transistor che fornivano un'elevata potenza, ma soprattutto un altissimo fattore di smorzamento, inesistente negli amplificatori a valvole.
Solo con l'espansione del mercato Hi Fi si è sviluppata la tecnologia dei mid-range, che in seguito è stata trasferita al mercato dei diffusori da studio.


La soluzione del diffusore a tre vie comporta moltissimi vantaggi, perché i diffusori sono progettati e costruiti per un uso specifico e quindi con minori limitazioni di tecnologia e materiali.
I woofer, non avendo più il problema dell'intermodulazione con le frequenze medie, possono avere un'escursione maggiore ed arrivare a riprodurre frequenze molto più basse. I mid-range, non dovendo riprodurre frequenze basse, possono essere molto più piccoli con vantaggi di rigidità del cono ed avere una massa in movimento molto ridotta a tutto guadagno della risposta ai transitori. I tweeter, riproducendo solo la parte più alta dello spettro acustico, sono molto piccoli (nascono i primi tweeter a cupola) e con una risposta molto più estesa. Finalmente, da qualche anno, si cominciano a vedere diffusori di tipo a colonna, da poggiare al pavimento, con il/i woofer posti nella parte bassa e mid e tweeter nella parte più alta.
Questo per quanto riguarda il monitoraggio serio.


Ma cosa dire dei cosiddetti “near-field”?
I primi a comparire sul mercato furono i famosi “Auratone”, che nacquero con uno scopo ben preciso: si voleva controllare come si sarebbe ascoltato un brano appena mixato con un sistema di scarse prestazioni, come un'autoradio o una radiolina portatile a transistor, assai di moda in quel periodo.
Molto giustamente, questo sistema trovò presto una grande diffusione, ma in seguito le cose cambiarono.
Purtroppo, come si dice, l'appetito viene mangiando, ed i piccoli “Auratone” vennero sostituiti con diffusori un poco più grandi e potenti, travisando completamente il loro vero utilizzo. Oggi questi diffusori, pur di dimensioni relativamente ridotte e di qualità abbastanza buona, si chiamano “near-field” e, purtroppo, spesso vengono utilizzati per il mix al posto dei diffusori principali. Dico purtroppo perché gli svantaggi sono molto maggiori dei vantaggi.


I vantaggi praticamente si riducono al costo relativamente basso ed alla ridotta influenza dell'acustica ambientale. Questi diffusori vengono posizionati molto vicino al punto d'ascolto, per cui il rapporto tra il suono diretto e quello riflesso dalle pareti è molto alto, inoltre non riproducono le frequenze molto basse, normalmente sotto i 90/100 Hz, estremamente critiche in una sala di regia.


Ma dove li mettiamo, questi diffusori? Quando si usavano le “Auratone”, che erano veramente piccole, queste erano posate sopra la torretta dei V.U. Meter, ad una distanza di 60/80 cm. Questa poteva essere considerata buona perché questi diffusori disponevano di un solo altoparlante ed erano quindi assenti le rotazioni di fase sempre presenti nei diffusori a due o più vie.
I diffusori “near-field” sono normalmente a due vie per cui ad una distanza inferiore a 120/130 cm si verificano sfasamenti importanti, specialmente se il punto di ascolto si discosta dal loro asse. Per questa ragione, questi diffusori vengono posti subito dietro il mixer. E qui cominciano i guai. Per questa disposizione sono stati prodotti una infinità di supporti dalle forme più disparate e spesso assurde, tutti più o meno elastici ed instabili. Penso che i produttori di questi oggetti si siano ispirati ai “trespoli” dei pappagalli, senza però tenere presente che i pappagalli non emettono suoni con frequenze basse.
Analizziamo nei particolari che cosa succede quando il cono di un altoparlante si mette in movimento. Per semplicità inviamo all'altoparlante un segnale elettrico tale da indurre nel cono uno spostamento di 10 mm (figura 1).

Per una elementare legge fisica (ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria), se il cono si sposta in avanti, il cabinet tenderà a spostarsi indietro. Se il cabinet è stato fissato saldamente e quindi inamovibile, il cono sarà costretto a spostarsi in avanti di tutti e dieci i millimetri, trasferendo all'aria tutta la sua energia. La quantità di aria spostata sarà approssimativamente pari a quella contenuta in un cilindro con la base sull'altoparlante per i 10 mm dello spostamento. Se però il cabinet non è sufficientemente fermo, si sposta effettivamente in direzione contraria alla massa mobile dell'altoparlante. Logicamente, considerando le dimensioni e la massa del cabinet rispetto a quella del cono, questo movimento avrà un'entità molto inferiore (ad esempio 9 mm il cono in avanti + 1 mm il cabinet indietro, figura 2).

In questo caso, avvengono tre fenomeni distinti anche se interconnessi tra di loro. Innanzi tutto, il cono trasferirà solo 9/10 della sua energia all'aria, mentre 1/10 sarà utilizzata per spostare il cabinet (prima riduzione di rendimento). Secondo: il cabinet stesso, spostandosi all'indietro, sposterà una certa quantità d'aria ma nella direzione opposta a quella anteriore, quindi in opposizione di fase, creando un'ulteriore diminuzione di rendimento. Il terzo fenomeno è un poco più complicato, per cui tenteremo di semplificarne al massimo la spiegazione: il cabinet, avendo una massa assai maggiore del cono dell'altoparlante, avrà anche un'inerzia molto maggiore, per cui il movimento del cabinet sarà leggermente ritardato rispetto a quello del cono. Come risultato l'aria messa in moto dal cabinet non sarà esattamente in opposizione di fase rispetto a quella emessa dal cono, ma in leggero ulteriore ritardo così da generare, sommandosi a quella emessa anteriormente, una forma di distorsione non catalogabile con i normali parametri lineari ma, diciamo, parzialmente assimilabile con una distorsione di seconda armonica. (figura 3)


Tutti questi fenomeni sono tanto più avvertibili quanto più la frequenza è bassa, quindi quanto maggiore è l'escursione dei coni.
Da quanto detto appare chiaramente la necessità di realizzare dei basamenti per i diffusori estremamente solidi, rigidi e pesanti e questo riguarda indistintamente tutti i tipi di diffusori, piccoli o grandi. Nella foto in figura 4 [100_0280.JPG oppure 100_0281.JPG] (cortesia dello studio Mahindra, in fase di costruzione ad Aprilia) si vede, come esempio, una base per diffusori molto semplice, economica ma estremamente valida.
Prima di chiudere questa puntata sui diffusori, facciamo il punto su un'altra questione molto controversa: le casse amplificate sono migliori?
Direi decisamente di sì.


All'inizio erano amplificate solo le casse più piccole (near-field ecc), ora si cominciano a vedere anche diffusori autoamplificati di una certa importanza.
Quali sono i vantaggi di questa soluzione?
L'amplificatore, essendo interno al diffusore, non sta vicino a punti di passaggio dei cablaggi eliminando i noiosi problemi di induzione generati soprattutto dai trasformatori di alimentazione, sempre abbastanza potenti. I singoli altoparlanti, inoltre, vengono connessi direttamente all'uscita degli amplificatori senza passare per cavi spesso lunghi e connettori vari, quindi avvantaggiandosi completamente dello smorzamento elettrico molto alto classico degli amplificatori allo stato solido.


Un altro vantaggio è quello di poter correggere abbastanza puntualmente per via elettronica alcune inevitabili piccole carenze dei diffusori.
Abbiamo descritto i vantaggi ma, come sempre, attenzione alle esagerazioni. In particolare, la facilità della gestione elettronica porta spesso a strafare, anche mascherando diffusori scadenti con correzioni francamente assurde, per cercare di farli passare come prodotti di classe.


Attenzione anche al “fai da te”. Certo non basta acquistare un crossover elettronico per improvvisarsi progettisti: un buon diffusore richiede, sia per la progettazione che per la diagnostica, attrezzature costose e sofisticate, generalmente disponibili solo a livello industriale o comunque professionale.