L’Arte del Mixaggio (Secondo Me) – quarta parte

Iniziamo a mixare

di Fabrizio Simoncioni

Posso spiegare, prima di tutto, qual è il mio approccio al mix in generale, prendendo come esempio una produzione pop-rock standard con batteria acustica, basso, chitarre elettriche, tastiere, archi, piano e voci. Più avanti entrerò nello specifico, descrivendo come uso equalizzatori, compressori ed effettistica in maniera creativa. Ovviamente si tratta di una disquisizione non eccessivamente approfondita perché, come si può facilmente immaginare, servirebbero molte più pagine e molto più tempo. Un giorno, forse, scriverò un libro sull’argomento e in quel caso ci sarà spazio per gli approfondimenti.
Prima di tutto però mi piace ribadire quello che io ritengo un pensiero fondamentale, condiviso dai più rinomati fonici mondiali: il mixaggio è una fase dove ci si deve divertire! È il momento finale nella realizzazione di un brano, dove la cosa importante sono le emozioni, non la tecnica. Un grande mixer deve conoscere la tecnica a fondo, avere solide basi e grande esperienza, ma poi deve mixare con il cuore: il mixaggio deve essere in funzione della canzone, non viceversa. Bisogna “suonare” la console e gli outboard come strumenti musicali, non utilizzarli leggendo i numeri o guardando le lancette dei meter e, soprattutto, non applicando parametri ma usando orecchie e gusto. La tecnica in mix serve esclusivamente a velocizzare il lavoro e a non disperdere energie: avendo una vasta esperienza e una profonda conoscenza tecnica, realizzare qualsiasi idea diventa estremamente facile e rapido, in quanto si ha già chiaro quali macchine e che tipologie di effetti si devono usare per ottenere quella certa cosa che si ha in mente. Premesso questo, iniziamo.

Ho precedentemente scritto che prima di affrontare un mixaggio ascolto il rough mix del brano. Grazie al rough mix, infatti, oltre a familiarizzare con la canzone che dovrò mixare, capisco (o scelgo!) lo strumento principale o dominante dopo la voce, quello che ritengo possa caratterizzare e dare importanza all’andamento emotivo del brano. Generalmente parto dalle ritmiche, poi aggiungo la voce principale e lo strumento che ho ritenuto fondamentale. Intorno a questi tre elementi base costruisco il mio mix. Ma andiamo per gradi.
Inizialmente, come accennato, apro la batteria e comincio a sistemarne i suoni. ATTENZIONE: ho scritto APRO LA BATTERIA, non la cassa, il rullante, ecc. È un grave e comune errore non considerare la batteria acustica come un solo strumento, ma come una serie di strumenti singoli: una cassa, un rullante, dei tamburi, dei piatti. Ho visto colleghi (e l’ho fatto anche io all’inizio della mia carriera) perdere ore equalizzando e lavorando il suono della singola cassa, in solo, per poi proseguire perdendo ore sul suono del rullante, di nuovo in solo, senza ascoltare nemmeno la cassa che avevano precedente elaborato. Risultato? Sicuramente dei bellissimi suoni, in sé, ma nell’insieme, nella migliore delle ipotesi, ingombranti ed incoerenti con il resto della batteria, “finti”. Un insieme di bellissimi suoni non sempre fanno un bel mix. Anzi, direi mai. La headroom è definita e limitata, cosi come il range delle frequenze, per cui non si può pensare di sommare 70 suoni che occupano ciascuno da 20 a 20 kHz e utilizzano ognuno tutta la headroom disponibile. Il mix alla fine è “l’arte di rovinare singoli suoni per creare un grande insieme”: ricordarsi sempre che il pulsante del SOLO è da sempre considerato il peggior nemico di un mixing engineer. Non per niente sulla 9000 (la console Solid State Logic 9000 – ndr) c’è la possibilità del SOLO in FRONT, una modalità molto interessante che invece di mettere in mute tutti canali che non sono in SOLO, li attenua in volume. Questo permette di poter lavorare meglio su una singola traccia senza però perdere MAI il senso del contesto. Ribadisco il concetto fino allo strenuo: l’equalizzazione deve sempre essere considerata funzionale per l’insieme sonoro, non solamente per il singolo suono.
Quindi, come dicevo, apro la batteria, nel suo insieme, cercando di farla suonare come la ho in testa il più rapidamente possibile. Generalmente utilizzo un compressore dbx 165A con attacco lento e rilascio rapido con rapporto di compressione 2:1 sulla cassa, un altro 165A in modalità overeasy 4:1 sul rullante, entrambi in insert pre equalizzazione, e un Urei 1178 o equivalente sulla room in “brit mode” (i quattro bottoni premuti contemporaneamente, attacco lento, rilascio rapido) per dare carattere alla stanza. Quando preparo i suoni della batteria uso come monitor il quad bus della console, con compressore DISINSERITO. Una volta che il suono generale ed i livelli della batteria mi soddisfano, assegno i canali al bus A della mia SSL 9000J e regolo la compressione parallela sui Chandler che, come ho già detto, io uso in configurazione MEDIUM GERMANIUM, linkati, con filtro sul sidechain a 60 Hz, drive a ‘5’ con un feedback di ‘6’ o ‘7’, dosando a gusto la quantità di segnale processato e diretto.
Può capitare che la registrazione non sia ottimale, specialmente per quanto riguarda cassa e rullante. In questo caso ricorro ad una aggiunta (NON replacing!) di un suono di cassa e/o rullante con le caratteristiche mancanti all’originale: se, ad esempio, ho una cassa con un bel corpo ma con poco attacco, aggiungerò un campione che abbia l’attacco di cui ho bisogno e al quale filtrerò via il corpo che già ho nel suono originale o viceversa. Come sopra, la scelta del campione e l’aggiunta vanno sempre fatte con TUTTA la batteria aperta, in maniera da capire subito quale suono sia utile e, soprattutto, che questo suono sia un improvement ma non cambi in alcun modo lo spirito sonoro della batteria originale o, peggio, l’intenzione dell’esecuzione musicale. Anche qui c’è da fare una doverosa precisazione: un altro errore comune in fase di mixaggio consiste nel cercare sempre di cambiare i suoni, specialmente delle batterie, per avvicinarli a quelli che a noi piacciono o che riteniamo sonoricamente “belli”. È sbagliatissimo! A meno che il mixer non sia il produttore, bisogna ritenere che i suoni che troviamo nelle tracce siano stati scelti e così voluti dalla produzione e dagli artisti. A volte anche suoni che al principio ci sembrano “brutti” o tecnicamente insufficienti hanno in realtà un senso e un’importanza ai fini generali della canzone. Quindi mai cedere alla tentazione di usare il proprio “splendido campione” sostituendolo ai suoni registrati, perché probabilmente si farà un figurone con la band di amici che stanno realizzando il loro primo demo, ma una pessima figura professionale con produzioni di alto livello. Di nuovo, ricordare sempre l’importanza della visione d’insieme e il rispetto della canzone.
Nel prossimo numero proseguiremo, aprendo il basso e gli altri strumenti per ottenere il nostro mixaggio perfetto… o, quanto meno, più che apprezzabile dal nostro cliente!

 

 

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