Winter at Tantora Festival - Il tech nel deserto

Giò Forma e Black Engineering collaborano su un teatro da primato nel mezzo dell'Arabia Saudita.

Winter at Tantora Festival - Il tech nel deserto

di Mike Clark

Nel 2019, con una svolta senza precedenti, l’Arabia Saudita ha aperto le sue porte ai turisti internazionali alla ricerca di inesplorati siti di interesse storico-artistico e di meravigliose bellezze naturali. La Monarchia Saudita ha investito miliardi di dollari per migliorare le infrastrutture, sviluppare il patrimonio artistico e culturale e i siti d’intrattenimento.

Uno dei cinque siti UNESCO Patrimonio dell’Umanità in Arabia è la più grande testimonianza della civiltà nabatea a sud di Petra: Madain Saleh in Al-Ula, la città che ospita il Festival Winter at Tantora.

Al-Ula è un luogo spettacolare, caratterizzato da formazioni rocciose mozzafiato e zone lussureggianti e fertili che hanno permesso a diverse antiche civiltà di insediarsi con successo nell’area già dal primo millennio avanti Cristo (Dadaniti, Nabatei e Lihyaniti). Le tracce suggestive di queste culture si trovano ancora ad Al-Ula, in innumerevoli scritti e incisioni rupestri sulle pareti rocciose e in oltre centotrenta tombe scolpite a mano negli affioramenti di arenaria.

Fulcro del Festival è Maraya, una sala per concerti unica al mondo, completamente rivestita di enormi specchi, commissionata dalla RCU (Royal Commission for Al-Ula) e progettata dallo studio milanese Giò Forma.

Giò Forma, studio leader europeo di set & production design, è stato fondato a Milano nel 1998 da Cristiana Picco, Florian Boje e Claudio Santucci, riunendo un team di venti designer, artisti e architetti che operano in tutto il mondo.

Nel 2015 ha fatto parte della direzione creativa per l’Expo, progettando la presenza italiana nel Padiglione Italia e L’Albero della Vita, simbolo della manifestazione.

È coinvolta nel concept e show design di spettacoli per artisti come Andrea Bocelli, Vasco Rossi, Jovanotti e Tiziano Ferro.

Con il regista Davide Livermore, ha creato progetti straordinari per opere destinate a teatri internazionali come il Bolshoi, l’Opera House di Sidney, il Palau de les Arts Reina Sofia a Valencia, il Teatro Real di Madrid e il San Carlo di Napoli. Ha firmato per il Teatro Alla Scala la scenografia delle ultime due prime: Attila e Tosca.

Ha ricevuto premi internazionali per il Padiglione Cartier Legendary Thrill – Design Week 2018 a Milano, LUMEN – Museo della Fotografia di montagna a Brunico e il “Maraya Concert Hall”, teatro temporaneo progettato ad Al-Ula per il festival Winter at Tantora.

I soci di Giò Forma. Da sx: Claudio Santucci, Cristiana Picco e Florian Boje.

Nel 2019 è stato incaricato dalla RCU per la ri-progettazione del terminal principale dell’aeroporto di Al-Ula e della progettazione ex-novo del nuovo terminal Executive Lounge Building e del relativo landscape design.

Il progetto di Giò Forma per la sala concerti Maraya nasce nel 2018 come installazione temporanea ed evolve poi nel 2019/20 in architettura permanente e installazione di Land Art. Maraya (specchio in lingua araba) è infatti un maestoso cubo di specchi, un “site-specific landmark”, e intende diventare punto di riferimento e spazio culturale ospitando eventi musicali, opere internazionali e mostre.

L’enorme lobby ospita mostre internazionali, mentre il teatro – con i suoi 26 metri di altezza – permette movimenti di scena degni dei maggiori teatri d’opera internazionali e può ospitare 550 spettatori e accoglierli nei ristoranti e locali interni. Il fondale del palco è composto da una gigantesca vetrata di 800 metri quadrati che, con un imponente sistema di serramenti su binari, si apre sulla natura, facendo diventare il paesaggio parte integrante dello spettacolo. 

Nel 2018 Giò Forma è stato interpellato dalla RCU per la progettazione di un teatro che facesse conoscere al mondo l’incredibile bellezza di Al-Ula, Arabia Saudita e i suoi siti archeologici. Si è deciso di proporre una tipologia di architettura che esaltasse la maestosità della natura, e non la sovrastasse. Per questo, un materiale riflettente è sembrato il più appropriato per rivestire l’esterno, rendendolo mimetico e resiliente. 

Internamente, oltre al teatro, sono stati sviluppati spazi di accoglienza ed espositivi su quattro livelli. Particolarmente spettacolare è la terrazza panoramica, dalla quale si può godere dell’incredibile panorama circostante.

È stato necessario studiare un sistema di ancoraggio dei pannelli a specchio adatto alle estreme condizioni climatiche della zona e che fosse anche di facile e rapida esecuzione. Il montaggio degli specchi è stato una vera sfida, per le dimensioni degli specchi e la necessità di metterli “in bolla”. La fuga tra gli specchi è stata ridotta al minimo possibile per essere meno visibile nonostante i notevoli sbalzi termici e le frequenti tempeste di sabbia che si verificano nel deserto. I pannelli di UltraMirror utilizzati per il rivestimento, prodotti dalla Guardian Glass, sono caratterizzati da un’impareggiabile resistenza a una notevole gamma di condizioni climatiche, dalla corrosione, agli agenti chimici, all’umidità e all’abrasione.

Il risultato è stato insignito del Guinness World Record come “Largest mirrored building”.

Da sx: Alberto Bounous (Development Director di RCU) e Fabio Pavanetto (Black Engineering).

Black DWC-LLC è una filiale di Black Engineering di Torino, gestita dai quattro soci Massimo Fogliati, Giovanni Verduci, Guido Zanca e Fabio Pavanetto.

Fabio Pavanetto (responsabile del dipartimento di produzione) spiega: “Maraya e i concerti di Winter at Tantora fanno parte di un progetto più ampio, che parte dal design del teatro, dalla sua costruzione e dalla gestione dei concerti per l’intera stagione. Il ruolo di Black Engineering è stato differente nelle varie fasi: nella fase di progetto e costruzione del teatro, Black ha gestito il processo di design ed engineering e il coordinamento con il main contractor; nella fase di costruzione ha supervisionato il cantiere mantenendo il coordinamento tra le varie parti, mentre per i concerti si è occupata dell’event management e del venue management”.

Nell’edizione dell’anno scorso, il teatro non era una struttura permanente, ma una serie di costruzioni temporanee opportunamente connesse e allestite. Tutto è stato smantellato nell’agosto 2019, lasciando spazio alla costruzione del teatro permanente, una struttura in acciaio rivestita esternamente di specchi.

“Un progetto estremamente complesso – commenta Pavanetto – a cominciare dalle tempistiche: i 20.000 m2 di struttura sono stati progettati in quattro mesi ed eretti in dieci settimane, certamente una grande sfida. L’Arabia Saudita è un paese che dal punto di vista dell’entertainment sta crescendo velocissimamente, e questo comporta continui cambi di direzione e richiede grande flessibilità e velocità di reazione.”

Massimo Fogliati.

Infine, la posizione di Al-Ula ha complicato ulteriormente la situazione, con la città più vicina a oltre 300 km e collegamenti molto ridotti, nonostante l’aeroporto locale (con cinque o sei voli nazionali alla settimana), oltre a tecnologie, materiali e tecnici che ovviamente arrivavano per il 90% da Dubai o dall’Europa.

Il vero punto distintivo di questo lavoro è l’unicità del progetto Al-Ula, come conclude Pavanetto: “Abbiamo creato un teatro nel deserto partendo da zero, in un’area che vuole diventare il polo culturale del paese e aprirsi al turismo. All’interno di questo, abbiamo gestito concerti che non erano mai stati fatti prima in Arabia Saudita, in un momento di cambiamento e di apertura del paese verso il resto del mondo. È evidente come tutto ciò abbia influenzato il nostro lavoro, il rapporto con il cliente finale e il modo in cui lo abbiamo approcciato”.

Oltre a rinomati artisti arabi e nord africani, il programma dell’edizione 2019/2020 del festival comprendeva anche diversi grandi nomi internazionali, come Kool & The Gang, Lionel Richie, Jose Carreras, Andrea Bocelli e Craig David. Jamil and Bouthayna Love Legend from the Oasis of Al-Ula, un nuovo spettacolo del Caracalla Dance Theatre, commissionato dalla Commissione Reale per Al-Ula appositamente per il Festival, è andato in scene per tre sere.

Andando a curiosare dietro le quinte del Festival, si scopre che Giò Forma e Black non sono gli unici “visi noti” italiani ad Al-Ula.

Gino Lazzaroni, un veterano degli eventi e della musica live, ha svolto il ruolo di site manager e supervisore in fase di costruzione di entrambi i teatri, dalle fondamenta alla consegna al cliente. Ha detto: “La costruzione molto complessa, prevalentemente strutture in acciaio, ha richiesto l’impiego di ben dodici gru da 100 e 75 tonnellate!”

La progettazione AVL è stata seguita da Black (direttore tecnico Guido Zanca, lighting designer Marco De Nardi, sound designer Davide Bonotto). 

Per i concerti, la squadra residente di tecnici AVL era composta da Sandro Fiorentini (production manager), Claudia Tonella (production coordinator), Paolo “Red” Talami (sound engineer), Marco Simoni (tecnico luci), Daniele Baddaria e Michele Russotto (direttori di palco) e Laura Fabbri (backstage manager). 

Gli altri tecnici sono stati forniti da Spectrum Entertainment Services di Dubai, fornitore anche delle tecnologie, uno dei principali service per il mondo dell’intrattenimento e degli eventi in Medio Oriente e Nord Africa.

Paolo “Red” Talami descrive nel dettaglio la configurazione “standard” del sistema audio L-Acoustics al Maraya: “Ognuno dei main cluster laterali era composta da otto K2 e tre KARA, con due LA-RAK II (ciascuno contenente tre controller amplificati LA12X), mentre il cluster centrale era formato da otto K2 e tre KARA con due LA-RAK II.

“Il compito dei side fill è stato delegato a otto KARA e sei sub SB18, con un LA-RAK II. Venti sub SB28 sono installati a terra davanti al palco, con sopra dieci X12 come front fill e amplificati con tre LA-RAK II. Sul palco, invece, gli artisti avevano a disposizione sei X15, sedici X8, trentadue X12 e due sub SB18, pilotati e controllati da un LA-RAK II”.

Sandro Bruni, responsabile video per gli show di Bocelli, spiega: “Abbiamo iniziato lo spettacolo con lo schermo LED chiuso. Dopo il primo brano orchestrale, abbiamo mandato i contributi introduttivi del Maestro Marcello Rota, dell’Orchestra e del Maestro Bocelli. Poi, sopra un’immagine digitale delle montagne alle spalle della struttura, usando in parallelo il tracking system dello schermo e il motion tracking del media server D3, abbiamo aperto lo schermo rivelando le montagne illuminate; a quel punto lo schermo si è diviso in ‘overlap’ con l’utilizzo di un tracking system Kynesis, fino a diventare due quarti stage right e due stage left. Una volta rimasti con due schermi portrait, durante la performance, abbiamo mandato in onda l’immagine live e l’intro degli artisti, grazie a un OB van con relative telecamere, e abbiamo usato il D3 per il playback e gli effetti, abbinato a un processore Barco E2 per assegnare i vari segnali agli schermi”. 

Nel 2020, la compagnia libanese Caracalla Dance Theatre festeggia 52 anni di attività ed è la più importante compagnia di danza professionale in Medio Oriente. Si è esibita nei teatri più famosi e nelle capitali culturali di tutto il mondo, come il J.F. Kennedy Centre for the Performing Arts a Washington, la Carnegie Hall, il Sadler’s Wells, il Coliseum a Londra, il National Centre for the Performing Arts di Beijing, il Théâtre des Champs-Élysées a Parigi, l’Abu Dhabi National Theatre, l’Osaka National Theatre, e ancora i teatri d’opera di Rio de Janeiro, San Paolo e Francoforte, oltre a numerosi festival in Nord Africa e negli Stati del Golfo.

Commissionato dalla RCU e creato dalla compagnia libanese, lo spettacolo Jamil & Bouthayna – a Love Legend from the Oasis of Al-Ula, è basato sulla vera storia del poeta Jamil Bin Ma’amar che si è perdutamente innamorato di Bouthayna Bint Hayyan, nell’Arabia Saudita nord-orientale dell’ottavo secolo, ed è considerato una sorta di Romeo e Giulietta del Medio Oriente.

Jamil e Bouthayna erano una giovane coppia vissuta sotto le regole della cultura beduina. Appartenevano a tribù diverse che abitavano nella stessa comunità di un’area chiamata Al-Ula. Jamil si è innamorato di Bouthayna, ma suo padre rifiutava le origini tribali di Jamil e ha subito trovato marito per Bouthyana, costringendola a sottomettersi alla volontà della famiglia che voleva un matrimonio combinato. A Jamil è stato proibito di incontrare Bouthyana, ma ha iniziato a declamare pubblicamente le sue poesie per l’amata ovunque andasse e il padre di Bouthayna ha ottenuto un decreto che rendeva legale l’omicidio di Jamil in base alle tradizioni Beduine. Temendo per la sua vita, Jamil è fuggito a Damasco e successivamente al Cairo, sperando (invano) di riuscire a dimenticare Bouthayna. Poco prima di morire, ha scritto la sua ultima poesia ed è riuscito a farla consegnare a Bouthayna, che è morta una settimana dopo averla letta.

Con la direzione artistica del Maestro Abdel Halim Caracalla (fondatore della compagnia a Beirut nel 1968), un cast internazionale di rinomati cantanti, attori, ballerini e artisti ha partecipato all’epica produzione. La storia è stata scritta da Abdel Halim e Ivan Caracalla, i testi delle canzoni da Abdel Halim Caracalla. 

Gli artisti della compagnia Caracalla Dance Theatre (70 ballerini, 12 attori/cantanti e otto acrobati) provengono da diverse nazioni (fra le quali Cina, Ucraina, India, Algeria, Italia, Grecia, Sud America) e hanno eseguito le coreografie di Alissar Caracalla, sotto la regia di Ivan Caracalla.

Anche qui, il team tecnico/creativo era tutto italiano. 

Mattia Metalli in regia video.

Dall’Italia, il projection designer Sergio Metalli, suo figlio Mattia (effetti digitali e post produzione) e Andrea Rossino (grafica e modellazione 3D) hanno portato una render farm (composta da 20 computer quadri-processore) per adattare i contributi video, un server NAS multi-accesso per la gestione centralizzata dei file, tre workstation grafiche per l’elaborazione delle immagini e il software Dataton Watchout V6 per il playout. 

250 moduli LED Gloshine W Pro passo 3.91 formavano quattro schermi da 6 m x 13 m, montati a coppia su binari paralleli al fronte palco. Gli schermi erano controllati da due processori Novastar e da un Ascender, multi-output 4K seamless switcher e processore allo stato solido Analog Way. Alla fine dello spettacolo si sono spostati per mostrare l’enorme vetrata dietro il palco, che apriva verso l’esterno.

Sergio Metalli e Ivan Caracalla effettuano le riprese con un drone.

Metalli senior spiega: “Con sette proiettori Christie Roadster HD20K-J 1080P da 20.000 lm appesi alla prima americana sul palcoscenico, abbiamo proiettato sulle rocce e sulle nicchie del museo, dove abbiamo proiettato le statue di Adone e Afrodite e abbiamo anche proiettato la tradizionale Moucharabieh, che nell’architettura dei paesi arabi era la tipica griglia di legno intarsiato che serviva per salvaguardare le donne da sguardi indiscreti. Abbiamo ricostruito l’Egitto in 3D in modo particolarmente dettagliato, e abbiamo inventato una Damasco dalle mille torri, su cui abbiamo fatto un lungo zoom in 3D”.

Usando una Pocket Cinema Camera 6K Blackmagic, Metalli ha fatto delle riprese con un green screen da 45 m a Balbeck e a Beirut, filmando la danza degli zingari, carovane di cammelli, i preparativi per un matrimonio e una sorta di rubabandiera a cavallo, per la festa del villaggio di Al-Ula. Con droni Mavic 2 e DJI Inspire 2, dotati di camere Super 35 compatte stabilizzate DJI Zenmuse x7, sono state fatte riprese delle aree intorno alle storiche Tombe dei Leoni di Deidan, Mada’in Salih (un’area Nabatea più grande di Petra in Giordania), scritture rupestri in diverse lingue, cammelli nel deserto, le bellissime montagne di Al-Ula e le oasi di palme. 

Metalli conclude: “La nostra prima collaborazione con Caracalla risale al 2004 in Algeria, e questo nuovo spettacolo si contraddistingue a livello tecnico dagli altri fatti con loro per il fatto che è stata la prima volta in cui abbiamo usato uno sfondo di LED”.

Lo spettacolo di Caracalla con Egitto in 3D sullo sfondo.

Per la costruzione degli elementi delle scene, lo scenografo Giuliano Spinelli si è rivolto a due aziende specializzate con le quali collabora regolarmente: Tecnostyle e Delfini Group. Il trasporto dei circa 760 m3 di scenografie ha richiesto l’impiego di dieci container “high cube”.

Il parco luci residente del palco Maraya consiste in un totale di 180 teste mobili, prevalentemente Robe (BMFL Blade e Spiider) e Claypaky (Mythos 2 e Sharpy), ma anche alcuni sagomatori Aurora V8 di CKC, dei flood SGM Q•7, delle strobo Martin Atomic 3000, degli accecatori Molefay 4-lampade e quattro seguipersona Lycian 4k.

Tutto sotto il controllo di una coppia di console grandMA2 Full Size.

La zona “lounge” al Maraya.

Lighting designer per lo spettacolo dei Caracalla è stato Jacopo Pantani, che ha iniziato il suo iter come tecnico luci nel 2002, laureandosi in Scenografia all’Accademia di belle Arti di Firenze e cominciando il percorso di lighting designer nel 2008, per arrivare poi a lavorare in teatri come Sydney Opera House e Covent Garden.

Pantani spiega: “Mi sono occupato del lighting design basandomi sul rig ‘standard’, implementando un’americana in più e aggiungendo una seconda fila di Robe Spiider in controluce, per arrivare a un totale circa di 240 motorizzati. In questa maniera sono riuscito ad adattare un impianto pensato per concerti rock ad un utilizzo più teatrale. È stata una corsa contro il tempo, ma alla fine il risultato ci ha premiato”. 


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