Una serata al Circolo dei Malfattori...

Spronati anche dalle richieste di diversi nostri lettori di abbandonare per un attimo i “lidi sicuri” delle medie-grandi produzioni per occuparci di spettacoli e realtà meno in vista...

di Alfio Morelli circolo dei malfattori

Spronati anche dalle richieste di diversi nostri lettori di abbandonare per un attimo i “lidi sicuri” delle medie-grandi produzioni per occuparci di spettacoli e realtà meno in vista, abbiamo deciso di guardarci un po’ attorno e di iniziare il nostro viaggio dai live club, certi di fare la conoscenza di una categoria di service, agenzie, tecnici e – perché no – di artisti diversa dal nostro solito, ma altrettanto interessante per capire meglio come funzionano le cose nell’Italia underground degli ultimi anni.

Il nostro tour è partito dalla provincia riminese, per la precisione da Poggio Berni (da poco è diventata Poggio Torriana), un piccolo paese sopra Sant’Arcangelo di Romagna dove, da un paio di anni, è aperto il “Circolo dei Malfattori”.

Determinati a non lasciarci impallidire dal nome che ad alcuni potrebbe apparire programmatico, troviamo un ambiente decisamente gradevole, curato nei minimi dettagli benché senza fronzoli, a cui non manca proprio nulla: bar, cucina, biliardo, biblioteca ricca di letture di nicchia, opere d’arte dei Mutoid e, naturalmente, un palco decisamente ben attrezzato per i concerti. Fatta conoscenza di due dei tre gestori, i fratelli Roberto e Davide Zamagna, ci facciamo raccontare la storia di questo club.

Come nasce e da dove prende il nome il circolo?

Abbiamo preso spunto da un canto anarchico di fine Ottocento che a sua volta si rifà ad un reato indetto dal Re di allora e pensato per colpire i socialisti e gli anarchici (“al giusto, al ver mirando, strugger cerchiam gli errori, perciò ci han messo al bando col dirci malfattori” recita la strofa che prelude al ritornello). Il tutto è nato perché il mio socio ed io stavamo perdendo il lavoro e, dando ragione a quelli che sostengono che la necessità aguzzi l’ingegno, abbiamo colto al volo l’occasione di questa sala in affitto ricavata da un vecchio cinema degli anni Cinquanta e ci siamo quindi buttati in questa impresa. Diciamo che ci siamo ritenuti idonei al compito perché, detta in breve, sia io sia mio fratello suoniamo da una vita, in più io ho lavorato in un negozio di strumenti musicali, ho collaborato spesso con service e, essendo entrambi dentro l’ANPI, abbiamo sempre organizzato eventi e concerti. Abbiamo, quindi, ormai abbastanza contatti per gestire uno spazio del genere.

Siete nel circuito dei circoli ARCI?

Sì, quindi per entrare nel locale bisogna avere una regolare tessera e all’interno pratichiamo prezzi da circolo. La volontà e la mentalità è quella di creare un ambiente dove incontrare i propri amici che hanno i nostri stessi interessi e divertirsi assieme. Non organizziamo solo serate live, ma anche presentazioni di libri, incontri, dibattiti ecc. Privilegiamo serate dove in sala possiamo lasciare i tavoli, perché abbiamo la cucina attrezzata per la cena, quindi siamo in grado anche di fare dei primi o degli stuzzichini, per passare anche una lunga serata con la giusta compagnia. Però per serate particolari come, ad esempio, quella del 15 dicembre quando hanno suonato i CSI, ovviamente togliamo i tavoli in modo che la sala, libera, abbia una capienza che arriva anche a 300 persone.

Essendo una spazio limitato, come fate a far tornare i conti?

Noi che ci lavoriamo siamo tutti volontari. Lo facciamo per passione, non solo per l’organizzazione di concerti dal vivo ma anche per serate culturali di vario genere, dalla presentazione di libri e di fumetti, alle serate teatrali. Se riusciamo a fare 80 ingressi a sera, i conti tornano. Dipende anche dal rapporto che si ha con i gruppi chiamati a suonare: ci teniamo a fare concerti come si deve, evitando le cover band e i ragazzini, perché, oltre all’incasso, guardiamo anche al livello degli spettacoli da proporre. Il nostro obbiettivo è di invertire la tendenza degli ultimi anni che è stata quella di portare la musica in mezzo alla gente, e di portare, invece, la gente verso la musica.

Operando questa selezione, avete un pubblico che vi segue?

Sì, quest’anno, rispetto all’anno scorso, va molto meglio. Stiamo riuscendo ad avere uno zoccolo duro di 30-40 persone che ci seguono, ci chiedono qual è il prossimo concerto e vengono alla serata a scatola chiusa. Anche perché i prezzi sono molto popolari, vanno dai cinque euro ai dieci euro per l’ingresso, e con altri cinque euro, bevi un paio di volte e, se ce ne aggiungi altri cinque, ti diamo anche da mangiare. In pratica, con 15 euro ti diamo da bere da mangiare qualcosa e la possibilità di assistere ad uno spettacolo che difficilmente vedresti altrove. La settimana scorsa, ad esempio, abbiamo chiamato un gruppo americano di otto elementi con un iraniano che fa canti sufi: il pubblico si è divertito tantissimo.

circolo dei malfattori

Ingaggiate gli artisti attraverso qualche circuito in particolare?

No, per contatti diretti con le agenzie e con gli artisti, perché siamo nell’ambiente da tanti anni e conosciamo ormai diverse persone. Quello che a noi interessa maggiormente è di avere un rapporto umano con i musicisti, anche perché poi i musicisti mettono in moto il passaparola o chiedono addirittura di tornare a suonare.

Il set up del palco è il vostro?

Sì, l’impianto PA, le luci e tanti strumenti li abbiamo comprati con tanto sudore. Durante la serata io, Roberto, faccio da fonico. Non sono un professionista e non mi vanto di essere il miglior fonico della zona, ma può capitare che qualcuno ogni tanto mi faccia anche dei complimenti. Sono capitati alcuni gruppi che si son portati dietro il loro fonico, ma la seconda volta hanno chiesto a me di farlo. In più abbiamo un multitraccia D 24 per registrare il live della serata , offriamo così anche un servizio ai gruppi che c’è lo chiedono.

Quanti concerti organizzate alla settimana?

Tra i due e i tre, ma cerchiamo di organizzare eventi tutte le sere, dalle rassegne di poesia alle proiezioni e ai vari dibattiti politici.

Come vi promuovete e su che bacino lavorate?

È molto dura perché, come circolo, abbiamo dei grossi limiti imposti dalla legge. Il circolo non può, infatti, pubblicizzare tutto ciò che produce reditto. Lavoriamo bene con la zona di Forlì-Cesena e Ravenna, mentre la mia impressione è che facciamo ancora un po’ di fatica con la zona di Rimini.

Tecnicamente come siete organizzati?

L’impianto audio è formato da due diffusori full range della SR con un sub sempre della SR per lato; ci sono altri due sub al centro e sotto il palco. Abbiamo anche due RCF come fullrange come front fill, per i concerti più importanti tipo quello dei CSI, dove la gente è accalcata al palco, ma normalmente sono spente. In regia, come banco ho un Allen&Heath analogico a 32 canali, più qualche outboard. Sul palco abbiamo dei monitor delle dB Technologies, oltre a tanti strumenti pronti all’uso: batteria Gretsch, varie chitarre, bassi… Insomma siamo ben attrezzati. Succede spesso che i gruppi che si esibiscono, finito il loro programma, chiamino sul palco altri musicisti che sono in sala e succede che spesso è più godibile la jam session che salta fuori nel dopoconcerto che il concerto stesso.

Fate anche serate discoteca?

Musica da discoteca no, ma proponiamo dei dj set da ascolto, con musica di qualità rock, blues…

Quali sono i problemi più grossi per una gestione del genere?

I problemi grossi sono due: riuscire a portare la gente e relazionarsi con i musicisti. Del primo problema si sa: il pubblico italiano è difficile e veramente poco prevedibile, tant’è che noi ancora non abbiamo ben capito come organizzarci con i tavoli e le sedie: la sera che ci aspettiamo un certo pubblico togliamo tutto e invece ci troviamo un pubblico che ci chiede dei posti a sedere, e la sera che ci aspettiamo la serata tranquilla teniamo tutto apparecchiato e ci ritroviamo la gente che balla in mezzo ai tavoli. Ma speriamo che con il tempo impareremo a regolarci. Il problema dei musicisti, invece, è legato alla mentalità del musicista italiano del “noi siamo in quattro, quindi ottanta euro a testa più cinquanta di spese”: questo non funziona più, o almeno non funziona da noi. All’estero non è così; all’estero avviene normalmente quello che da noi succede raramente, ovvero che gli artisti, anche di un certo calibro, vengono da noi a dirci: “Vorrei fare la data qui; io mi prendo la cassa e voi lavorate con il bar”, oppure si stabilisce un minimo garantito. Inoltre, per i musicisti che vengono da lontano, mettiamo a disposizione un servizio di sei posti letto, bagno e docce che si trovano qui, accanto al camerino. Gli artisti stranieri sono contenti di potersi appoggiare a dormire e magari il giorno dopo vanno via e ti fanno trovare anche il letto fatto come gesto di ringraziamento, mentre con quelli italiani è un po’ diverso. Poi c’è la questione della jam session che a noi piace fare anche tra artisti stranieri e italiani quando capita, ma il problema è che il musicista italiano emergente non fa in tempo a salire sul palco che già vuole fare il fenomeno, quindi i musicisti con più esperienza si stancano presto di jammare.

Finita la chiacchierata con i due gestori, ordiniamo qualcosa al bar e ci sediamo in tempo per assistere al live del primo dei due gruppi previsti nel programma della serata: il Collettivo Ginsberg, nato in terra di Romagna e composto da cinque elementi. Dopo l’esibizione, incontriamo i musicisti nel camerino per farci raccontare anche il loro punto di vista riguardo al mondo della musica emergente di oggi.

Qual è il significato del vostro nome?

‘Collettivo’ perché ognuno qui mette le proprie esperienze di vita e musicali e perché il gruppo ha una formazione variabile, siamo sempre aperti a collaborazioni, e ‘Ginsberg’ come Allen Ginsberg, un poeta americano della beat generation, il nome è stato scelto quasi per caso perché comunque le influenze letterarie al tempo erano quelle, diciamo che è un nome che rimanda a quel determinato pensiero poetico.

Avete un vostro genere musicale?

Difficile dirlo, perché siamo tutti musicisti che frequentano altri generi. C’è un po’ di jazz, un po’ di musica popolare, un po’ di rock, ma ci piace dire che facciamo musica leggera.

Avete un’agenzia?

Abbiamo un ufficio stampa di Milano, Ja.La Media Activities, che ci cura la promozione e con il quale, per ora, stiamo lavorando molto bene, abbiamo anche partecipato ad un programma su Rai5. Poi abbiamo un ragazzo di Londra che ci dà una mano come management.

Come vi procurate le serate?

Si prende Music Club, si fa il database e poi si comincia a chiamare, ma il 90% dei locali non risponde, quindi l’alternativa è la conoscenza diretta e il passaparola, che è anche il modo migliore. E riuscire a farsi pagare è un’impresa, soprattutto se, come noi, un gruppo fa brani originali e di un certo tipo, perché il problema è la collocazione in determinati ambienti, soprattutto nei circuiti di musica indi che vanno molto a mode, e se in quel momento non corrispondi esattamente alla moda, in quei locali non ci suoni.

circolo dei malfattori

Siete soddisfatti del riscontro da parte del pubblico?

Non sempre, perché abbiamo scelto di fare musica sperimentale in una forma che è quella della canzone, quindi ci pone con le gambe su due rive. Siamo in quella via di mezzo tra pop e sperimentale, non ancora ben comprensibile da tutti ma di cui siamo orgogliosi, perché è come quando ti nasce un figlio con tre orecchie: cosa fai? o gliene tagli una o sulla terza ci metti un fiocco.

Il vostro sogno nel cassetto?

Riuscire a vivere dignitosamente di musica e avere un minimo di riconoscimento di quello che facciamo. E non è facile.

Tornati nuovamente in sala, ci godiamo anche il concerto di Francesco Piu, un “one-man show” a base di funky e blues, durante il quale alterna diverse chitarre e strumenti anche molto particolari, per un sound che sembra veramente arrivare da oltreoceano. Durante la pausa-cena, chiediamo anche a lui alcune informazioni sul suo percorso artistico.

“Sono di origini sarde – racconta Francesco – ma da un po’ di tempo ho base a Milano. Ho registrato due album in studio, il primo nel 2007 e l’ultimo nel 2012, ed un live nel 2010; attualmente sto svolgendo le date italiane del tour cominciato in autunno, con il quale per ora ho fatto Francia, Spagna, Danimarca, Norvegia, Italia e che concluderò con una data a Toronto”.

“Vivo con la mia musica – continua Francesco – e, per farlo, diciamo che ho imparato ad adattarmi al meglio ad ogni situazione. Mi spiego meglio: questa sera mi avete visto in versione “one-man band” circondato da diversi strumenti ma, a seconda del locale e del conseguente cachet, mi posso organizzare insieme ad una band di formazione variabile, riuscendo, così, ad offrire anche versioni diverse del mio repertorio musicale”.

 

Facendo un bilancio della serata, siamo usciti dal locale molto soddisfatti, dopo aver fatto la conoscenza di un gruppo emergente dotato della giusta determinazione e di idee chiare sullo spazio che vorrebbe ritagliarsi all’interno del mercato della musica, e abbiamo conosciuto un bluesman sardo, artista più strutturato e maturo, con già diversi dischi alle spalle, l’ultimo dei quali masterizzato niente meno che al Nautilus di Milano.

Abbiamo, inoltre, mangiato e bevuto con 20 euro in due (certo, non aspettatevi piatti da nouvelle cuisine, potremmo definire la qualità del servizio conforme allo stile essenziale dell’ambiente) e conosciuto un gruppo di amici che sono riusciti, a partire dalla passione per la musica, a dar vita ad una realtà indubbiamente interessante, un luogo dove incontrare gli amici, ascoltare e suonare buona musica, che immagino sia il sogno nel cassetto di molti, il mio di sicuro. Poi, se con questa passione si riuscisse ad oggi, in Italia, anche a sbarcare il lunario, sarebbe veramente tutto perfetto.