Umbria Jazz 2012

Dopo tanti anni siamo tornati alla madre dei festival italiani.

di Douglas Cole

Dopo tanti anni siamo tornati a questa manifestazione, la madre dei festival italiani. Le motivazioni del nostro ritorno sono diverse, la prima è che cominciano a diventare rare le opportunità di vedere un concerto di Sonny Rollins. Inoltre era arrivata notizia che ci sarebbe stato un nuovo impianto grande, ancora in versione “beta”, da sentire. Così, la curiosità tecnica e la possibilità di godere un weekend estivo di musica come si deve ci hanno trascinato attraverso qualche centinaio di chilometri di tornanti a Perugia, e senza dubbio ne è valsa la pena.

Umbria Jazz è una manifestazione di fama mondiale, ma tanti italiani non ne conoscono o apprezzano il valore. Il sottoscritto, infatti, come studente universitario nella facoltà di musica dell’Università di Tennessee a Knoxville (un’università con un rinomato programma di jazz) già oltre venti anni fa conosceva questo festival dal lontano Tennessee ben prima della prima visita al Bel Paese. Umbria Jazz infatti ha sempre attirato ogni anno un’importante lista di nomi del jazz “vero” – al pari dei Jazz Festival di Newport e di New Orleans – che l’ha reso celebre quasi quanto Montreux. Quest’edizione non ha fatto eccezione: sul palco principale sono saliti Pat Metheny, John Scofield, Chick Corea, Herbie Hancock e, la prima sera, quella a cui siamo stati presenti, Sonny Rollins.

Altre chicche nell’Arena Santa Giuliana sono state le serate con Al Jarreau, Erika Badou, Macy Gray e un gruppo che si chiama Spectrum Road che, per gli intenditori che hanno preso la briga di leggere i caratteri piccoli sul manifesto, risulta essere composto da Cindy Blackman, Jack Bruce, John Medeski e Vernon Reid. Ovviamente non mancavano gli italiani, rappresentati sul grande palco da Enrico Rava, Stefano Bollani ed altri artisti, così come una serata alternativa dedicata al reggae. Ha chiuso il festival il re del triple-crossover: Sting.

Durante tutta la manifestazione si poteva godere di una varietà di musica suonata sui palchi in centro, direttamente in strada da ogni tipo di busker o nel Teatro Morlacchi, dalla salsa al funk in stile banda marciante fino al Wayne Shorter Quartet. Insomma: qualcuno con la fortuna di due settimane a disposizione e la voglia di divertirsi accompagnato da una colonna sonora di classe,  poteva certamente trovare a luglio, a Perugia, un vero paradiso (sebbene di temperatura piuttosto elevata!). Purtroppo questo non era il caso del vostro redattore che è riuscito a staccare solo per un paio di giorni.
Da anni, Reference Laboratory partecipa al festival in veste di sponsor tecnico e azienda coordinatrice della produzione tecnica. Per avere qualche dettaglio sull’organizzazione e sul ruolo dell’azienda, parliamo con il direttore Angelo Tordini.
“È una storia che nasce oltre 25 anni fa – ci spiega – quando tentavo di mettere in evidenza un particolare sistema audio. La cosa che ritenevo più utile era vedere quale fosse l’applicazione sul campo. Quando incontrai Carlo Pagnotta, Umbria Jazz si teneva in diversi paesi, perché a Perugia avevano sospeso per qualche anno. Fu in quell’epoca che iniziai a collaborare con il festival, con un impianto, poi con un altro e poi con un altro ancora.


“Alcune aziende, come Meyer Sound a Montreaux, da anni sponsorizzano tecnicamente le performance: è quello che fa anche Reference Laboratory a Umbria Jazz, sin da quando l’azienda è nata nel 1998 e, oltre a produrre cavi, ha cominciato a distribuire Audix ed Adamson.
“A monte c’è un lavoro progettuale di cui Umbria Jazz si avvale. Prima del festival, infatti, noi riceviamo i rider e corrispondiamo con le agenzie. Per un festival di queste dimensioni si tratta di un impegno immenso, particolarmente per le risorse della mia piccola azienda. Nonostante l’enorme impegno, Reference Laboratory investe in questo, perché abbiamo capito l’importanza di mettere anche noi la faccia, insieme ai nostri clienti, per dimostrare la fiducia nei prodotti che commercializziamo.“Quindi siamo ad Umbria Jazz per la sperimentazione, l’applicazione e, ovviamente, la promozione dei nostri prodotti, pur non facendo concorrenza ai service. Infatti paghiamo il service audio come tutti i ragazzi che sono qui a lavorare per noi. I fornitori sono Lombardi Service, per l’audio, e Audiolux, di Milano, per le luci, affiancata dalla umbra ‘Gambolini e Cerquiglini’. Le strutture non fanno capo a noi, sono della ditta Atmo di Bastia Umbra, mentre un’altra azienda cura il service video. Tutto in mano ad una valida squadra di tecnici che da anni ci fa l’onore di collaborare con noi.
“Per il Festival è meglio avere un unico riferimento, anziché due o tre responsabili, per i numerosi palchi outdoor, così come per l’attività della Berklee School che comprende un palchetto esterno e diverse forniture nelle aule.
“Certamente la missione di Reference, come azienda, riguarda i cavi: siamo qui anche per dimostrare che un cablaggio può fare la differenza. Tutta la catena del segnale su ogni palco è studiata da noi e realizzata con cavi di nostra costruzione. Noi siamo qui h.24, un gran sacrificio ed un grande impegno, tanto che in pratica l’azienda quasi si svuota in questo periodo. Devo certamente ringraziare il ‘patron’ di Umbria Jazz, Carlo Pagnotta, e il responsabile della produzione Stefano Lazzari, per la disponibilità e la fiducia nei nostri confronti”.


Piazza IV Novembre
Prima di scendere all’arena Santa Giuliana e al main stage, diamo un’occhiata ai due palchi pubblici sistemati in Piazza IV Novembre e nei Giardini Carducci.
Il palco in Piazza IV Novembre è già un palco di dimensioni medie, per le esibizioni di numerose bigband. Piazza IV Novembre è una piazza leggermente inclinata, larga, ma confinata lo stesso su ogni lato a parte l’apertura sul Corso Vannucci, l’arteria principale dove si concentrano molte delle attività del festival. A saltare subito all’occhio all’arrivo in piazza è la mancanza di uno snake che collega la regia con il palco. Avvicinandosi, si scopre che, anziché un cable-cross rivestito da un mantello dell’invisibilità alla Harry Potter, lo snake entra nel tombino della fognatura direttamente sotto il palco ed esce, convenientemente, sotto la regia... configurazione meno magica ma altrettanto interessante.


A darci un po’ d’informazioni sulle attività in questa venue è Saverio De Bellis, stage manager e fonico di palco.
“La particolarità di questo palco è che qui si esibiscono bigband – ci dice – alternate da diversi gruppi reggae, perciò abbiamo sempre minimo 35 canali. Usiamo due PM5D con uno split analogico classico, uno per me sul palco e l’altro gestito da Alfredo Morara per la sala.
“L’aspetto più arduo è dato dalla microfonatura massiccia per le bigband. Ci sono 15 o 20 fiati alla volta, pianoforte acustico e spesso contrabbasso. Facciamo tutto più o meno in modo tradizionale – i fiati ripresi in sezioni, ecc – ma la disposizione delle bigband su un palco richiede monitoraggio a go-go e tanti canali. Niente fuori dell’ordinario per una situazione simile, ma rimane comunque un lavoro delicato.
“Per quanto riguarda l’impianto, abbiamo otto sistemi Spektrix per lato con sub Spektrix 1 x 18” e frontfill Metrix, tutto comandato da un XTA remotato in regia. È un setup abbastanza classico. Abbiamo una microfonatura varia e cavi Reference, ovviamente.”

I Giardini Carducci
Proseguendo verso Sud attraverso una folla fitta, anche durante le ore pomeridiane, grazie ai numerosi gruppetti e busker che si esibiscono per strada, arrivo all’angolo retto verso Est che porta nei Giardini Carducci. Qui, negli orari diurni, si trova un’atmosfera meno formale, con i gruppi che suonano in una scaletta massacrante per i tecnici, ma con un pubblico costante, attirato non solo dalla musica ma dall’ombra degli alberi e dal ristorante-birreria all’aperto strategicamente posizionato. Il palco, posto in fondo ai giardini, è di dimensioni relativamente piccole, ma organizzato con tanto di zona backstage e rampe per facilitare gli in e out dei numerosi gruppi.


Parliamo con Adriano Conte, stage manager e fonico FoH.
“Io sono qui come freelance – ci spiega – lavorando direttamente per Reference, il riferimento tecnico per i tre palchi esterni.
“L’impianto FoH qui è composto da due sistemi sospesi per lato di Reference Alpha, un impianto tradizionale. Mentre gli altri palchi utilizzano i line array, qui abbiamo una gittata abbastanza corta. In più, sarebbe molto problematico utilizzare un line array qui, perché sul lato destro c’è un colonnato, mentre il lato sinistro è completamente aperto. Già adesso abbiamo molti problemi per le fasi e annullamenti vari. Questo impianto è montato in modo da puntare verso il basso e verso il centro della zona d’ascolto. Inoltre la gittata lunga sarebbe un problema perché c’è l’Albergo Brufani, dove dormono tutti gli artisti e i VIP, e noi suoniamo qui fino alle 2.00 di notte. Anche il monitoraggio è tutto Reference, con i classici monitor da 12” e da 15”. I microfoni sono tutti Audix e ovviamente i cavi sono tutti Referece Laboratory, come su tutti palchi del festival.
“Su questo palco passa un po’ di tutto: reggae, salsa, New Orleans jazz, poi vengono anche nei pomeriggi i gruppi formati degli allievi delle sessioni Berklee. Qui ai giardini c’è ancora l’atmosfera ‘romantica’ del festival e ancora si vede qualcuno con il sacco a pelo sotto gli alberi per vedere tutti i concerti.
“La scaletta prevede un’ora di show e mezz’ora per il cambio palco, dall’una del pomeriggio fino alle due di mattina, ogni giorno del festival. Non esiste soundcheck, ovviamente. I primi giorni cerchiamo di impostare un po’ il lavoro per tutto il festival e anticipare le impostazioni del sistema e dei banchi.
“Avevamo i rider dei gruppi prima del festival e siamo riusciti a fare un minimo di programmazione dei banchi con le varie channel list. Calcola che molti dei gruppi arrivano nello stesso giorno in cui suonano, e spesso solo dopo qualche ora il loro arrivo”.

L’Arena Santa Giuliana

Scendendo al palco principale, nell’Arena Santa Giuliana, vediamo una situazione di ben altre dimensioni. La zona d’ascolto nell’arena è larghissima, con una lunghezza totale di circa 75 metri, con il parterre coperto di legno. L’ampia zona backstage è costituita da tendoni e comprende magazzini, uffici (alcuni anche con l’aria condizionata!), camerini ed un’ampia zona “relax”. Affianco al palco principale, nella zona restauro, si trova un tendone che ospita un secondo palchetto.

Il palco principale – dal progetto della struttura in Layher alla sottodivisione delle zone, alle zone tecniche e regia, fino al cablaggio – è veramente esemplare nella sua organizzazione e pulizia.
Incontriamo Renato D’Angelo, lo stage manager.
“Qui in media ci sono due concerti a sera sul palco principale ed uno sul palchetto al ristorante, in cui gli artisti che suonano sul palco nei giardini Carducci si esibiscono a rotazione duranti i cambi palco e dopo l’apertura delle porte.
“Abbiamo tre backliner più i fonici di palco e di sala. I due fonici diventano poi assistenti alle rispettive regie quando arrivano i fonici delle produzioni. Uno dei backliner è il responsabile per quanto riguarda i microfoni, aste, DI box ecc, mentre gli altri due sono espressamente backliner.


Qui s’inizia alle 7.00 di mattina con la pulizia del palco ed alle 9.00 siamo ad apparecchiare le pedane, cercando di fare convivere gli stage plot dei due o dei tre artisti.
“Confronto ad un festival rock con dieci gruppi ogni giorno, abbiamo una situazione più tranquilla, ma molto curata. All’artista viene dato un soundcheck di tre ore, viene curato nei particolari e viene rispettato tutto ciò che chiede, a differenza di un festival rock dove spesso neanche l’headliner riceve questo trattamento.
“Il dimensionamento dell’impianto e la qualità dell’audio sono fondamentali. Qui dobbiamo poter soddisfare tutti non solo con il volume ma anche con la qualità dell’audio, da Sonny Rollins a Sting e da Chick Corea alla famiglia Marley.
“Quest’anno è stato molto faticoso per il gran caldo ed il sole. Tutti i sound check pomeridiani, quando il sole batte direttamente dentro il palco, sono stati particolarmente pesanti. Non ci sono stati problemi, però: tutti gli artisti sono rimasti molto soddisfatti ed abbiamo ricevuto moltissimi complimenti e ringraziamenti da parte di tutti. Questo fa molto piacere nel nostro lavoro”.

A proposito dell’audio, parliamo con il responsabile FoH e fonico residente, Cristiano Grassini.
“La regia è molto semplice; non c’è niente di trascendentale. Inizialmente mi avevano proposto la CL5, una console che mi piace, e se fossi stato io il fonico di sala fisso per tutto l’evento magari l’avrei accettata. Ma arrivano tanti esterni, e l’85% - 90% dei rider tecnici accettano una PM5D, bene o male uno standard internazionale. Perciò, qui e sul palco, c’è il PM5D. Lo split è tutto analogico – KT.
“Qui abbiamo un DSP 5D, di cui uso solo le quattro matrici per il routing dell’impianto, perché mi permette di uscire sia analogico che AES/EBU. Per il resto ci sono solo due Avalon d’ufficio, un po’ d’effettistica, un 480 e basta.
“Quest’anno ho avuto l’opportunità di provare per primo in Italia il nuovo sistema Adamson Energia 15, che ci sta dando notevole soddisfazione. Sono dodici sistemi per lato per i main con due Spektrix Wave attaccati sotto i cluster. I sub sono 16 T21 in due gruppi di tre su ogni lato in configurazione cardioide doppio, e poi i centrali sono due di due in configurazione cardioide.
“Ci sono gruppi di due Spektrix frontfill per ogni gruppo di sub centrale, poi due gruppi da quattro Wave, uno appoggiato su ogni latto, che fungono da outfill per le zone laterali. Devo ammettere che questo nuovo sistema è veramente un passo avanti”.

In che senso?
Innanzitutto il rigging è di una semplicità estrema. Non avendolo mai montato prima, ho montato il primo cluster insieme a Jochen (Sommer, tecnico arrivato dalla casa madre – ndr), facendogli assistenza e osservando. Ho montato da solo il secondo cluster e alla fine i dodici sistemi sono andati su in otto minuti. Sono quattro teste per ogni dolly. Si impostano gli angoli sul camion o direttamente in magazzino. Arrivi, scarichi i dolly, mandi giù il motore, tiri fuori i pin di bloccaggio e tiri su i primi quattro. Mentre vanno su, gli angoli si bloccano nella giusta posizione. Poi metti sotto la seconda, agganci e vanno su i successivi quattro. Si ripete finché non finiscono le casse. Finalmente è il motore che fa tutto il lavoro. Ogni dolly con quattro teste pesa sui 400 chili, perciò si possono anche far scendere con la rampa.
Un’altra bella novità è il flybar, composto di una parte che si aggancia alla cassa ed una barra sopra che interfaccia tra i motori e il frame. C’è la possibilità di montare questa al contrario, per aver un punto d’aggancio molto avanti. Questo torna molto utile in situazioni in cui devi tiltare molto, perché hai il punto d’aggancio frontale molto avanti sulla cassa.
Per  questo sistema qui stiamo usando una configurazione nuova d’amplificazione. Sono tutti Lab.gruppen PLM20000Q con i Lake integrati, perciò c’è una possibilità di correzione molto puntuale. Sono comunque rimasto stupito dalle poche correzioni che sono state fatte.
L’arena è un posto facile fino alla regia. Poi c’è questa gradinata che meriterebbe di essere abbattuta con il tritolo! Poi dietro c’è la chiesa, di cui non voglio dire lo stesso, che però crea delle fastidiose riflessioni. Quindi spesso ci sono alcune zone  in cui, anche misurando, non hai la vera sensazione di quello che sta succedendo.
Diversi fonici che avevano già esperienza con il posto mi hanno detto durante i soundcheck che il risultato, già senza pubblico, era migliore di quello che si ricordavano.
Questo impianto ha due 15” per i bassi, anziché i 18” dell’Y‑Axis 18, perciò io credevo che forse sarebbe stato un po’ più magro, invece i bassi ci sono e sono molto controllabili. Sviluppa molta pressione e tutto quello che deve arrivare qui a 63 metri arriva. Una delle cose impressionanti dell’impianto qui nell’arena è l’omogeneità su tutto il parterre. I tutti i posti numerati l’audio non cambia assolutamente. Se cammini verso l’impianto non senti salire o scendere gli acuti rispetto ai medi. Ovviamente questo dipende anche dal fatto che è stato montato e impostato molto bene qui, con l’aiuto anche della casa madre. Comunque ho visto il progetto insieme a Jochen, ed è tutto molto semplice, non occorre alcuna magia.

Gli spettacoli a cui abbiamo assistito all’arena coprivano due generi molto diversi. Erano il sestetto di Sonny Rollins, la sera del 13 luglio, e la serata Reggae il 14. Cosa possiamo dire di questo nuovo Adamson? A dire la verità, la sera che ha suonato Sonny Rollins il sottoscritto era così incantato dall’esecuzione sul palco che l’audio sembrava non esistere... e questo è forse come dovrebbe essere. La sera successiva, il reggae ha dato risultati più “misurabili”. A parte alcune difficoltà che ha avuto il fonico di Stephen Marley, forse dovuto all’effetto “ultima-data-tour-lungo-spettacolo-presto”, l’audio è stato veramente immenso. Infatti, in altre situazioni simili, alcuni dei problemini che ha avuto questo fonico con la voce forse non li avrei mai notati se l’impianto stesso non fosse stato così cristallino.
A testimoniare la performance di questo nuovo impianto e della crew di Umbria Jazz è stato il fonico Richard Corsello, il responsabile audio in tournée con Sonny Rollins.


Questa è la tua seconda volta a Umbria Jazz.  Cosa pensi   dell’organizzazione: i tecnici  italiani sono all’altezza dei colleghi di altri paesi?


Ma scherzi? Questo qui è un sogno confronto ad altri posti. Immagina di dover fare uno spettacolo in Polonia in un teatro, e il service arriva con le casse tutte bruciate e ancora coperte di fango dopo un festival metal, con metà degli ingressi strappati dietro la console! Poi ti lamenti e ti spiegano che questo è tutto quello che c’è!
Qui è proprio un paradiso. Tutti i ragazzi sanno il loro mestiere e tutto è fatto in modo esperto e correttamente. I ragazzi qui sono proprio di prim’ordine.
L’impianto che hai usato nell’arena è un nuovo impianto ancora in versione “beta”.

So che hai escluso anche i sub... che impressione hai avuto?
La gamma media del sassofono tenore è importantissima e il sound di Sonny è potentissimo e può risultare soverchiante anche senza un impianto. Ho trovato il sistema molto limpido, molto potente e molto naturale. Aveva tutta la presenza necessaria senza mordere. A volte noi suoniamo nelle venue in cui il suono di Sonny sul palco è fantastico e poi mi metto davanti l’impianto e comincia a fare qua-qua, e devo ricorrere a qualche equalizzazione. Invece ieri sera il canale era lineare e ho dovuto solo alzare il volume sul sax.
Vorrei poter dire di più, ma veramente non so quello che succedeva dietro le quinte o dopo il banco. Sono riuscito a lavorare molto bene nella massima semplicità, usando solo il guadagno ed il volume, e tutto suonava in modo pulitissimo. Sono rimasto molto contento.

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