Baustelle – L'Amore e la Violenza Tour 2017

A supporto del recente disco di inediti, la band senese ha portato in tournée una produzione che si impegna a mantenere con la massima fedeltà l’atmosfera e il suono del disco. La prima tranche nei teatri è stata un grande successo.

di Douglas Cole

L’Amore e la Violenza è il settimo disco in studio dei Baustelle, pubblicato la seconda settimana di gennaio a distanza di più di tre anni dal precedente disco di inediti. Due singoli sono stati pubblicati in due mesi alla fine dell’anno scorso: Lili Marleen ad ottobre, in download gratuito indipendente dal nuovo album, e Amanda Lear, tratto dal disco, a fine 2016. In particolare il secondo di questi brani ha ricevuto una notevole esposizione radiofonica e, grazie a questo e alla base di fan devotissimi, l’album è andato al secondo posto della classifica FIMI la settimana dopo l’uscita a gennaio.

A supporto di questa ultima opera discografica, Francesco Bianconi, Rachele Bastreghi, Claudio Brasini e cinque altri musicisti si sono lanciati in un tour ambizioso, iniziando dai teatri. Diciamo ambizioso perché cercano di riprodurre in modo fedele il suono e l’ambiente del disco nuovo, che è un po’ più sperimentale degli ultimi dischi e dipende moltissimo da suoni elettronici analogici d’altra epoca. 

Il tour è prodotto e promosso da Ponderosa Music&Art, sotto la direzione di Aronne Galimberti. La tour manager è Silvia Magoni, mentre il disegno della scenografia e le luci sono di Francesco “Tramba” Trambaioli. Il suono in sala è nelle mani del loro fidato fonico di studio, Marco Tagliola, mentre il monitoraggio è gestito da Simone Bonetto. A fornire audio, luci e video per la produzione è il service veneto Imput Studio

Noi abbiamo intercettato la tournée alla sesta data, nel bellissimo Teatro Rossini di Pesaro. 

Aronne Galimberti - Direttore di produzione

“Sono il responsabile di produzione in ufficio a Ponderosa – ci dice Aronne – e il direttore di produzione in tour. Silvia Magoni, qui tour manager, ha dato un grande contributo anche nella fase di preproduzione. Questo è il secondo tour che Ponderosa organizza per i Baustelle, dopo il precedente Fantasma. Questa è la prima tranche; poi ci sarà l’estiva, nei festival e nelle piazze, a cui seguirà una terza fase nei club, in autunno o forse il prossimo anno. 

“In tour siamo in diciotto – continua Aronne – band di otto persone compresa. Viaggiamo con un bilico di materiale e con qualche furgone per il personale. In questa tranche facciamo diciotto date e sta andando molto bene: i biglietti ad oggi sono già esauriti in quattordici date su diciotto.

“Per quanto riguarda luci e scenografie, Trambaioli aveva già lavorato con la band in passato, molti anni fa; inoltre lavora con noi anche per Einaudi ed altri artisti, così noi l’abbiamo proposto e la band ha accettato volentieri la nostra idea. 

“La fornitura tecnica – aggiunge Aronne – è tutta di Imput Studio: audio, luci e i pannelli LED. Il personale di produzione, fonici e backliner sono tutti della produzione, mentre Imput ha tre tecnici audio e due tecnici luci in tour”.

La band ha dato qualche spunto per il concept del palco e della scenografia?

L’idea dell’artista è stata seguita al 99%. Per la scenografia, Francesco (Bianconi, cantante – ndr) aveva in mente un fondale con fili e la scritta al neon. Visto che nel disco è usata una strumentazione composta di tastiere e sintetizzatori analogici, voleva che venisse creato sul palco una sorta di laboratorio musicale in cui gli strumenti – veri e finti – si mischiassero. Alcune tastiere moderne si nascondono dentro alcuni mobili costruiti per sembrare due Mellotron e un pianoforte, creati appositamente da un artigiano. Poi ci sono delle casse finte, dentro le quali ci sono i “coni” che si illuminano durante il concerto. 

L’altra idea era ricreare l’atmosfera del video per la canzone che ha lanciato questo disco, Amanda Lear, che si svolge dentro un night club, quindi poca luce, velluto rosso, ecc. A quest’idea di base, Tramba ha aggiunto le grafiche che si vedono dietro la band e dietro la tripolina. Gli artisti si fidano molto dei tecnici e sono molto disciplinati. Hanno, però, delle idee molto chiare: anche se una situazione a livello tecnico non quadra, se loro sentono l’esigenza di realizzarla non si fanno problemi nel dircelo.

In questa tranche, le venue sono tutti teatri all’italiana come questo, oppure ci sono delle sale più moderne?

C’è un po’ di tutto. L’altro ieri eravamo nella sala Santa Cecilia, al Parco della Musica di Roma, quindi più un auditorio. Ieri siamo stati all’Europauditorium di Bologna, cioè un teatro molto moderno. Oggi siamo al Rossini... perciò, tre diversi tipi di sala in tre back-to-back, ma per lo più si tratta di teatri all’italiana, perché quando era possibile abbiamo colto l’opportunità di suonare in queste stupende venue, sebbene siano le più difficili a livello logistico, essendo nei centri storici. Ma la problematica principale è quella della capienza, perché c’è molta richiesta di biglietti e occorreva trovare posti piuttosto grandi, sebbene sempre in una situazione teatrale.

È un bellissimo tour. L’atmosfera è ottima, mi trovo molto bene con la crew e sono molto soddisfatto della scelta di Imput.

Marco Tagliola – Fonico FoH

Dal soundcheck si intuisce che hai molta confidenza con la band: da quanto lavori insieme a loro?

Lavoriamo insieme dal 2010, sia in studio sia dal vivo; ho co-prodotto gli ultimi tre dischi, fra i quali un live. Ho registrato per intero gli ultimi tre inediti ma mixato solo il disco precedente a questo. 

Ci spieghi quello che c’è sul palco e tutto quello che fa parte del tuo mix?

Il leitmotiv di tutto il disco e del tour sono i suoni degli anni Settanta. Ci sono alcune sequenze, ma limitate all’impossibilità di avere altre dita o certi strumenti in tournée. Francesco, che arrangia i pezzi insieme a Claudio, voleva che fosse una vera orchestrazione di synth, perciò ci sono alcune parti fondamentali per l’incastro armonico che erano impossibili da suonare dal vivo.

Sul palco ci sono otto musicisti e io lavoro su circa 60 canali, compresi gli ambienti che servono per gli in-ear e le registrazioni. La batteria monta dei mesh-head, con dei trigger DDrum. I trigger controllano una centralina DDrum caricata con dei campioni creati in studio per il disco, con strumenti d’epoca accordati e registrati con suoni specifici.

Il basso è ripreso con una DI e da un ampli acusticamente isolato, perché, per ovvi motivi, il palco è praticamente muto. 

La sezione synth è piuttosto complessa: un MiniMoog, un Polymath di Analogue Solutions, un Korg MS20 e un Prophet. Purtroppo non abbiamo potuto portare in giro il Mellotron vero che ho in studio perché sarebbe proprio ingestibile. Devo dire che abbiamo dei backliner bravissimi che sanno quello che hanno in mano e sanno prestare le cure dovute: infatti, durante lo spettacolo, salgono praticamente ogni paio di brani per reimpostare i synth ed aggiustare l’intonazione di ognuno.

Abbiamo inoltre due simulatori di Mellotron per la parte “orchestrale”, uno dei quali fa anche gli organi e le voci eco del Mellotron, oltre ad un Memotron. A questi si aggiunge una Nord Wave per i pianoforti di Rachele. Abbiamo anche un altro set di percussioni via trigger su uno o due brani e, finalmente, c’è un Wurlitzer vero.

Le sequenze sono gestite con Live da Ettore Bianconi: escono dal computer tramite una scheda RME MADIFace, quindi c’è un MADI Bridge, un main e un backup, che splitta il MADI in due; uno dei due stream va direttamente nel DiGiCo a 48 kHz, mentre l’altro va nel DN9650 KT dove viene portato a 96 kHz per il Pro6. Ci sono due DN9650: uno prende le sequenze mentre uso l’altro per il virtual soundcheck e per il SoundGrid.

Passando alle chitarre, quella di Claudio ha un ampli customizzato per lui da Mezzabarba, posto in un isobox con due microfoni, un Royer a nastro e un Sennheiser e906. Le due componenti, secondo come utilizzo il fade e la fase, mi permettono di avere i suoni che mi servono per tutto il concerto. Avevo provato nel passato ad usare i microfoni a nastro senza l’isobox, ma con scarsi risultati.

Per Andrea non abbiamo un isobox, ma portiamo l’ampli semplicemente lontano, fuori palco. Suona con uno stile da elettrica, ma sulle chitarre acustiche; così ha una Martin e una Gibson secondo le esigenze del brano, quindi strumming o finger-picking. Anche Diego – uno dei due musicisti che suonano i sintetizzatori – e Francesco suonano chitarra acustica su alcuni brani.

Infine ci sono le voci: Francesco, Rachele e Diego che fa i cori.

Con tutti questi synth analogici d’epoca sul palco non hai dei problemi sulla qualità del segnale?

Bisogna accettare il fatto che ci sarà una componente “random”. In uno show che comunque ha una sua definizione, si accetta di prepararsi per l’ignoto. Tengo i fader sotto mano, pronto a cambiare il volume secondo il suono della macchina. Ma questo è anche il bello di un concerto live. Diversamente, avremmo potuto usare le basi o espedienti di quel tipo, ma prendere questo rischio per noi era accettabile per rimanere nello spirito e nel suono desiderato per questo disco. Anche i musicisti si devono concentrare molto per usare questi strumenti, perché nonostante abbiano le memorie del patch, alcuni suoni e riff molto esposti richiedono la modifica di alcuni parametri, come il glide (portamento – ndr), mentre si suona. Questi sono rischi belli da prendere e diventa veramente una sfida, ma anche un divertimento per tutti.

Sento moltissima elaborazione e molti effetti sulle voci in certi momenti.

Succede in alcuni brani. Essendo un disco pop, utilizzo elaborazioni anche sostanziose che mi aiutano ad inserire la voce nel mix. La band vuole che il concerto sia potente, ma con una facile comprensione dei testi. Una compressione è necessaria in particolare per la voce di Francesco, perché ha uno stile vocale che la richiede. Per quanto riguarda gli effetti di modulazione – phaser ecc – fa parte del sound di questo genere di musica. 

Per gli effetti stai usando il banco o degli outboard? 

È un sistema un po’ complesso. Avevo fatto il calcolo delle risorse necessarie e ho determinato che fosse meglio utilizzare il mixer per fare solamente il mixer – chiaramente usando alcune compressioni e le EQ , che nel Midas mi piacciono moltissimo.

Abbiamo usato tutti gli stream delle tre interfacce AES50 che vengono convertiti dal Waves SoundGrid e divisi attraverso un network bridge, per cui ci sono 56 tracce di virtual in/out e otto tracce di plug-in. In questi, sostanzialmente, utilizzo il classico HDelay Waves, che mi piace, ed alcuni controlli multibanda sul basso, sulle chitarre acustiche e sulle backing vocal. Questo è quello che viene fatto tramite SoundGrid.

Per quanto riguarda il master e le voci, ho usato le ultime risorse che avevo mandandoli via AES al Metric Halo LIO-8 con i suoi plug-in che, secondo me, sono molto interessanti. Con questi faccio l’elaborazione sul master, oltre al de-essing per le voci. Il Metric Halo conferisce alle voci un carattere molto interessante.

Per l’effettistica ho tre outboard classici: un processore di riverbero Lexicon PCM91, un tc electronic Reverb 4000 e, infine, un Eventide Eclipse per gli effetti di phasing e voice doubling. 

In uscita, che tipo di mix mandi verso l’impianto?

Esco con uno stereo più un mono per i sub. Sul canale mono mando solo gli strumenti che lavorano sulle basse frequenze: cassa, basso e synth. Cambio livello spesso in arrangiamento per creare dei piani sonori differenti. Durante il concerto, come effetto, cambio il rapporto dei livelli tra L/R e sub, proprio per creare delle sensazioni nel pubblico: abbasso in certi momenti di 3 o 4 dB l’impianto appeso e lascio un po’ di più sul mono, e questo genera una sorta di divertente smarrimento.

Oltre all’uso creativo, c’è un motivo completamente funzionale per questo tipo di mix: siccome suoniamo in venue come l’Auditorium di Roma, dove c’è un impianto residente, con questo tipo di uscita ho più controllo del mix in sala. Porto dietro anche le mie piccole Genelec 8020c per l’ascolto ravvicinato, perché sono un riferimento che uso in studio. 

L’allestimento è stato fatto a Foligno, mentre le prove musicali a Milano, al Massive Arts. La preproduzione è stata una cosa in costante crescita, anche se era difficile aspettarsi per il tour un successo di questo tipo. Quando abbiamo fatto il disco, chiaramente speravamo... ma era difficile prevederlo.

Gianluca Turrin – PA engineer

Che impianto PA state usando?

Stiamo utilizzando un d&b Q1 come main, con frontfill Q7 e C6 come special o altri fill, in base al teatro che dobbiamo affrontare. I sub sono un mix di J-Sub e Q-Sub, utilizzati in configurazione cardioide. I finali sono d&b D12. Tutto è processato tramite un Lake, compresi i filtri per correggere eventuali difetti. Per il controllo e l’impostazione degli amplificatori utilizzo invece il software d&b R1

Marco manda all’impianto uno stereo per il main più un mono separato per i sub, quest’ultimo contenente buona parte dell’elettronica, il basso e la grancassa. Per i frontfill, faccio una somma mono dentro il Lake. 

Riesci ad appendere dappertutto? 

La richiesta è quella, ma nelle prime sei date abbiamo già avuto due teatri nei quali abbiamo dovuto appoggiare. Marco vorrebbe appendere dappertutto... ma in alcuni luoghi, come l’Augusteo di Napoli, è impossibile.

Simone Bonetto – Fonico monitor

Com’è strutturato il lavoro sul palco?

Il palco è completamente muto. Le uniche cose che suonano sono i due piatti e il charleston, il vibrafono e le chitarre acustiche. Non ci sono neanche sub per la batteria. Tutti i musicisti sono in IEM, ovviamente stereo, con una mandata a testa. Per la parte estiva del tour ho però intenzione di aggiungere almeno un po’ di infrabass per il batterista, perché il concerto è effettivamente pop e ci vorrebbe un po’ più di ritorno sulle basse.

Ho scelto una console DiGiCo SD8. Io e Marco avevamo pensato inizialmente di usare Midas entrambi, ma la prima input patch che abbiamo generato già superava i 64 canali. Marco ha fatto la sua scelta, lavorando con la variable patch. Io forse sono un po’ all’antica, ma mi sembrava troppo rischioso partire con un banco che gestisce 64 canali quando avevo già oltre settanta input prima ancora di cominciare a sdoppiare le cose.

Adesso quanti canali gestisci?

In uscita gestisco otto mix sul palco più due per i backliner. Stranamente, il numero di canali in ingresso è diminuito rispetto alle impostazioni iniziali: ora siamo a 56, una settantina con i vari sdoppiamenti. Le voci, ad esempio, sono trattate in maniera diversa per il cantante e per la band. Con il palco muto e tutti con gli in-ear con i calchi, è possibile lavorare con una certa precisione.

Usi dei processori esterni?

Non ho nulla di esterno; volevo partire con una SoundGrid, per poter usare alcuni plugin esterni, ad esempio C6, ma poi sono andato in piena “repulsione da plugin”. Se non è completamente necessario, preferisco farne a meno. Se il concerto l’avesse consentito, avrei chiesto un Heritage 3000! Sul palco non è che si fanno delle grandi compressioni, altrimenti i musicisti perdono il senso della dinamica di quello che stanno facendo. Un po’, sì, ma mai per il diretto interessato del canale che vado a trattare.

Al FoH, nella produzione richiesta da questo genere di musica, le voci sono abbastanza trattate, dal punto di vista dinamico e non solo. Sul palco, loro lavorano sempre con le voci naturali nel monitoraggio o hanno bisogno di un po’ di elaborazione per capire il risultato finale? 

No: loro vogliono un ascolto tecnico, per avere dei riferimenti precisi, a parte ovviamente un po’ di riverbero per compensare il fatto che sono tutti in IEM. In qualche momento c’è anche un po’ di delay che gli consente di godersela un po’ di più, ma altrimenti non c’è nessuna delle elaborazioni che ci sono nel mix in sala. 

In fase di allestimento siamo partiti da un ascolto prettamente tecnico – ognuno sente il proprio, ecc – poi durante i primi concerti abbiamo sviluppato sensibilmente il mix per arrotondare il tutto. Durante il concerto, io commuto spesso il mio ascolto tra una mandata e l’altra, ovviamente dando priorità all’ascolto dei mix dedicati a chi ha la sua faccia nel manifesto. Dopo le prime date i mix sono abbastanza stabili, quindi mi capita più spesso di lavorare in post, fuori delle mandate. Questo mi permette di perfezionare continuamente il mix per tutti, come se fosse in sala... si parla di microcorrezioni, ovviamente. Con i rapporti richiesti già creati nelle mandate, riesco rendere il mix per ognuno più accurato e godibile.

Tutti gli IEM sono via radio, o ci sono anche dei canali cablati?

Sono tutti via radio, perché si spostano molto sul palco. L’unico che non si sposta è il batterista, Sebastiano De Gennaro. Ho uno spare a cavo se dovesse capitare un problema, ma nei teatri è difficile che ci siano problemi di portata. Sono dodici radio in tutto: otto dei musicisti, due backliner, il mio e uno spare.  

Poi ci sono quattro radiomicrofoni, per un totale di sedici radiofrequenze, della cui gestione mi occupo io. Quando abbiamo deciso con i ragazzi del service cosa fare, li ho sollevati dalla questione radio, perché ritengo che sia una responsibilità che deve prendere il fonico di palco: io sono pagato dalla band. Il giorno che ci fosse un problema, non potrei andare a dare la colpa a qualcun altro. Così come pulire i calchi: anche questa è una responsabilità che prendo io.

Gli IEM sono Sennheiser ew300 G3, tutti con in-ear LiveZoneR41 e calchi personalizzati.

I radiomicrofoni sono invece Shure UR4D. C’è una capsula KSM9 per Rachele, un condensatore scelto da Marco. Io avrei preferito un dinamico, ma mi rendo conto che certe armoniche si potrebbero perdere. Diego usa un radiomicrofono con una capsula Beta58. Poi ci sono degli spare per i due radiomicrofoni in uso. Francesco, invece, usa un Audix VX10, un condensatore a cavo di sua proprietà, un bel microfono molto efficace per la sua voce.  

Per l’impostazione delle frequenze uso il software Shure Wireless Workbench per i radiomicrofoni Shure e il software Sennheiser Wireless Systems Manager per gli IEM Sennheiser; però non mi fido di nessuno dei due software per il coordinamento, così uso WinRadio per la scansione ed i calcoli relativi alla disposizione delle frequenze. 

Come gestisci i cambiamenti nel comportamento che possono subire tutti i sintetizzatori analogici con i trasporti, le temperature, eccetera? 

Questo richiede un po’ di tempo ed attenzione aggiuntiva nel pomeriggio. Rudy Di Monte, il backliner, si occupa del setup e dell’accordatura di questi strumenti, anche più volte durante il concerto. I livelli, invece, vanno proprio seguiti durante lo show, cosa abbastanza impegnativa. Non mi piace lavorare con i guadagni indipendenti scena per scena, preferisco fissare e mantenere un guadagno che tenga il range dello strumento. Ma c’è veramente da lavorare molto sui fader tra una canzone e l’altra, secondo gli specifici suoni utilizzati momento per momento. In un brano un synth può bucarti la faccia perché sta sputando fuori un’onda quadra dritta, mentre nel brano successivo lo stesso strumento può essere impostato per un bel suono morbido. Uso una snapshot per brano, ma lavoro molto sui fader di canale.

Francesco Trambaioli - Lighting designer

Da quanto tempo lavori con Baustelle?

Ho lavorato con loro quattro o cinque anni fa, in un tour nei club, quindi conoscevo già Francesco, Rachele e Claudio. Per questo tour sono stato coinvolto da Ponderosa. Così, dopo questi tre o quattro anni passati nella classica contemporanea, mi trovo a fare un po’ di sano pop ed è una boccata d’aria fresca.

È un gran piacere tornare a lavorare con loro, perché sono persone che stimo e un gruppo che mi piace. Danno molti input in termini di scenografie e Francesco, in particolare, era molto determinato sul concetto di creare un palco stile pop anni 70/80... la falegnameria un po’ particolare, un po’ fuori delle righe. 

Essendo relativamente giovane, dove attingi per ricreare il pop anni ’70? 

Effettivamente sono nato nel 1985, perciò mi sono lasciato ispirare un po’ da tante sale e discoteche in giro per l’Italia che ancora riflettono questo stile, nelle quali sono capitato in questi anni di tournée. Poi mi sono fatto trasportare dalla mia interpretazione, quindi ci ho messo del mio! Questo, magari, riflette più l’idea che le persone della mia generazione hanno che non la realtà!

La prima cosa che colpisce, ovviamente, è questa grande scritta con il nome della band.

L’idea della scritta viene direttamente da Francesco. L’effetto doveva essere quello delle scritte al neon dei club e discoteche anni ’70. Chiaramente, in tournée era impossibile il neon vero per la sua fragilità, oltre al rumore prodotto, la carenza di possibilità di controllo ed altre problematiche. Quindi, con il laboratorio vicentino LumiLab, con il quale lavoro ogni tanto per le soluzioni scenografiche, abbiamo trovato un compromesso: abbiamo incassato delle strisce LED dentro una sagoma pre-tagliata della scritta e abbiamo poi coperto il tutto con del plexiglass anch’esso sagomato. Questa scritta è diventata un elemento scenografico fondamentale. 

Dietro la scritta c’è una tripolina che fa da falso fondale, un po’ per stare nel tema discoteca un po’ glitterata, un po’ trash. La uso per far scomparire i quadrati di LED a bassa risoluzione. L’idea dietro all’utilizzo di questi ultimi è di richiamare un po’ l’effetto del dance-floor illuminato. Con questa tripolina, usando la trasparenza, l’effetto del dancefloor illuminato può trasformarsi ogni tanto in una specie di effetto grafico indefinito, lo-fi, come si possono immaginare gli schermi dei computer o l’elettronica di quell’epoca.

I contributi gli hai creati tu? 

Li ho seguiti e montati io. Non sono dei contributi: sono, piuttosto, semplici sfondi. Vengono utilizzati più che altro come sorgente in controluce, per fare da cornice alla band. 

Quando ho spiegato l’idea ad Imput Studio, Paolo ha proposto questi panelli PixLED F25, di passo 25 mm – un prodotto di qualche anno fa che è risultato perfetto. Considerati i tempi, non l’avevo visto fino all’allestimento... Imput Studio mi aveva fornito in anticipo le misure, ma ho visto il fondale effettivamente acceso con i contributi solo per le prove.

Tutto lo spettacolo è controllato da una console grandMA2 Light. Il video, in particolare, è controllato tramite ArtNet, usando il software Resolume Arena come media server. Questo lo uso come player, ma anche per creare delle maschere, per fare sparire la geometria quadrata ogni tanto, giusto per varietà. È tutta grafica, ovviamente, un po’ per scelta ma anche per adattarmi alla bassa risoluzione dei LED.

Colgo l’occasione per ringraziare i ragazzi – Eric Badanai e Andrea Vendrame – che si prendono cura del montaggio di questi pannelli, un compito delicato, nel senso che i pannelli sono tutti separati da cordini tagliati su misura. Imput Studio ci ha mandato questi due ragazzi per luci e video che sono davvero molto bravi a sopportarmi. Devo ringraziare anche Daniele Serra, sempre di Imput Studio, che ha collaudato tutto il sistema di controllo, la rete ArtNet per il media server e la fibra ottica che manda il segnale verso il palco.

Quali proiettori avete scelto?

Non ci sono tanti corpi illuminanti: sono solo due truss, una frontale ed una dietro. Sono tutti Mac Aura più quattro Sharpy, tutti leggeri. Gli Sharpy vengono usati poco, per i disco-ball e quel genere di effetti, perché non sarebbero altrimenti corretti nell’atmosfera dello show. Cerchiamo di chiedere le truss sul posto, anche per non appesantire molto il lavoro della giornata.

Poi a terra ci sono gli SGM P-5, dei PAR LED e degli ETC S4 PAR per un po’ di aiuto sulle facce. Al teatro chiediamo una decina di sagomatori frontali per i piazzati sulla band, visto che si muovono abbastanza.

Cosa ci dici delle “casse” sotto i sintetizzatori? 

Questo è stato il mio primo approccio alla falegnameria. Sono elementi  scenografici, dipinti e con delle luci all’interno. Creano simultaneamente il senso di “laboratorio musicale” voluto da Francesco per la disposizione del palco e l’atmosfera da concerto pop anni Settanta, anche quella richiesta dagli artisti. La forma è quella delle casse con quattro coni ma, in effetti, i “coni” sono semplicemente fori, coperti con un tessuto di lycra bianco, attraverso i quali esce la luce di un blinder posizionato all’interno del mobile.

Lo show

Il nome della band (“cantiere”, in lingua tedesca – ndr) non poteva essere più appropriato rispetto alla strumentazione sul palco – disposta come se fosse un incrocio tra uno studio dei sogni e un museo della musica elettronica – con diversi musicisti che si spostano da un synth (o Vocoder, ecc) all’altro: il palco veramente assomiglia ad un “cantiere” della musica. È un’interessante giustapposizione con l’effetto sonoro: vedere tante persone ballettare intorno a così tanti synth ricorda un recital di opere di Stockhausen, mentre quello che si sente è un orecchiabile pop-rock con tinte di elettronica. A parte l’energica presenza di Rachele Bastreghi, i movimenti sul palco sono limitati al necessario per far funzionare questo “laboratorio musicale”. Del resto, non siamo venuti a vedere i Mötley Crüe. La presenza sul palco della band riflette perfettamente lo spirito dei testi cantati, una pop-art del terzo millennio caratterizzata da riferimenti alternanti alla Haute Culture e alla sous-culture, raccontata con un’arguzia tagliente ma secca.

L’unica osservazione da fare sul suono è “missione compiuta”. Mentre la band continua ad aggiungere strato dopo strato l’orchestrazione elettronica, Tagliola riesce sempre a mantenere il controllo del mix in sala, e non si perde mai una singola ironica parola dei testi. Con la forte componente sintetica degli arrangiamenti e la potenzialità degli oscillatori nei sintetizzatori analogici di scendere in frequenza, ci sono momenti nei quali si teme che le rosette in stucco dei vecchi teatri comincino a piovere giù in calcinacci, ma il tutto rimane perfettamente musicale.

Per quanto riguarda la scenografia e l’illuminazione, l’atmosfera ricercata viene ricreata perfettamente: il club con un rosso scuro quasi costante, puntualizzato dall’insegna al “neon” e dalle palle specchiate. A livello di grafica, anche grazie all’utilizzo dei pannelli LED a bassa definizione, ci sono delle interessanti variazioni sul fondale del palco. L’unica critica potrebbe essere che, nel colore, la scena in tutta la prima parte dello spettacolo – con i brani più recenti – rimane piuttosto statica. 

 

Produzione Ponderosa Music&Art  
Direttore di produzione Aronne Galimberti
Tour manager Silvia Magoni
Fonico di sala Marco Tagliola
Fonico di palco Simone Bonetto
Backliner Rudy Di Monte
Matteo Sanna
Assistente alla band Paolo “Chacka” Angelini
Datore luci Francesco Trambaioli
Service audio, luci, video   Imput Studio
PA engineer Gianluca Turrin
Tecnici audio Davide Alebardi
Davide Vassalli
Tecnici luci Eric Badanai
Andrea Vendrame

 

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