Negramaro - Casa 69 Tour

Il gruppo pugliese torna sul palco con una produzione estremamente interessante ed innovativa.

negramarodi Giancarlo Messina

Ad oggi il tour conta 24 concerti nei principali palasport, di cui quattro a Roma e tre a Milano, con una presenza di pubblico sempre adeguata alle aspettative, tanto da doppiare piazze come Firenze, Torino, Acireale, Bari e Caserta.
Non potevamo mancare, il primo ottobre, alla data zero di Pesaro, dove si sono svolte le prove di allestimento, per raccontarvi una produzione che ci incuriosiva particolarmente. Sapevamo infatti che il design dello show era stato affidato, per la prima volta in Italia, ad un gruppo di lavoro inglese, già specializzato nelle movimentazioni per tour mondiali con gruppi del calibro di Placebo e Faithless.
A completamento, una dotazione audio di prima scelta, con PA K1 L‑Acoustics e console DiGiCo SD7 del service Agorà, ai comandi del fonico storico del gruppo, il sempre bravo e giovane (di spirito) Sandro Amek Ferrari.

L’audio FoH
Cominciamo proprio da Amek, un veterano che però non è certo rimasto con lo sguardo nostalgicamente rivolto all’analogico passato: ha anzi saputo impiegare le più moderne tecnologie con entusiasmo sposato a moderazione ed esperienza.
“Una novità di questo tour sono per me i plug-in esterni alla console digitale – ci spiega –. Uso infatti il pacchetto Waves per riprodurre le sonorità del nuovo disco. La SD7 per questo scopo è comodissima, molto veloce e reattiva; ad esempio grazie all’uso del MADI bastano due cavetti per entrare ed uscire coi plug-in senza alcuna complicazione. Inoltre è quasi indispensabile per la gestione dei circa 100 canali. Devo confessare un grande amore per il marchio Midas, ma l’XL8 in questa situazione mi dava poca flessibilità nella gestione dei canali e dei plug-in; inoltre, avendo una DiGiCo anche sul palco, riusciamo a gestire meglio la distribuzione del segnale, evitando troppe conversioni.
“In effetti 100 canali sono parecchi per una band rock – aggiunge stimolato dal nostro sguardo dubbioso – ma devi pensare che, ad esempio, ogni cassa ha quattro canali, e il musicista ha una doppia cassa! Uso infatti, oltre ai microfoni, anche un sistema di trigger che però non va a campionare niente, fatto con un microfonino che di solito si usa sugli archi e che io uso sulla cassa. Insomma il trigger non triggera niente, lo preamplifico e lo uso come microfono posizionato sul fusto, per avere più punta senza esasperare l’EQ. Anche per il rullante ho una situazione simile che mi permette di riprendere il rim-shot in modo molto pulito. Tanti canali anche per le chitarre: otto solo per Lele! Lui usa infatti un sistema, da me progettato, in grado di cambiare tutti i program change MIDI in maniera programmata e combinare quattro teste con quattro casse, oltre alla gestione di diversi processori e loop di pedalini. Ogni cassa monta un dinamico ed un condensatore, quindi otto microfoni in tutto: tutto alla vecchia con SM57 e C 414. Lo stesso per la chitarra di Giuliano, che però ha una cassa sola”.

“Scusa Amek – ribatte il vostro reporter – ma con tutti questi microfoni aperti sul palco avrai messo tutti i musicisti in IEM!”.
“Ehm... ti dico soltanto che a PA spento, con il solo monitoraggio acceso – risponde ironico Amek – abbiamo misurato in regia 98 dB (sic)! Capisci insomma che il mixaggio non è proprio facilissimo. Devo infatti cercare di sfruttare il suono che esce dal palco e mixare anche in funzione di quello che arriva, almeno fin dove è possibile. Certo, come sempre il risultato dipenderà anche dalle varie venue, ma devo dire che siamo riusciti ad avere un sound molto vicino a quello del disco. Infatti David Bottrill, il produttore del nuovo disco, già produttore di Peter Gabriel, ha usato per le registrazioni gli stessi classici microfoni che noi usiamo dal vivo. Abbiamo anche fotografato i settaggi dei pedalini durante le registrazioni per ottenere le stesse sonorità.
“Anche l’outboard è minimale – aggiunge – col TC System 6000, che uso sia come riverbero sia come compressore, ed un altro delay sempre TC sulla voce di Giuliano. Come pre tutto Stage-rack del DiGiCo, perché ho un Avalon ma è settato in linea”.

“Amek – gli chiediamo curiosi – quanto conta essere cresciuto sull’analogico nell’approccio al digitale?”.
“Certamente cambia un po’ il modo di vedere le cose e l’approccio al mix: pensa che per questo tour mi sarebbe piaciuto avere un Midas XL4, ma non mi bastavano i canali! Il vero problema delle generazioni cresciute interamente sul digitale è il rischio di omologazione dei suoni. Ma devo dirti che con il digitale le cose sono cambiate decisamente in meglio: la tecnologia aiuta parecchio, ma ovviamente non bisogna abusarne facendosi prendere la mano. Voglio concludere con un plauso per il PA Engineer Antonio Paoluzi il quale, oltre ad ottimizzare il PA, è anche un prezioso collaboratore in regia”.

L’audio sul palco
Sul palco invece troviamo alla regia monitor Umberto Polidori, da diverso tempo monitor engineer per i Negramaro. Siamo curiosi di capire come facciano ad arrivare dal palco alla regia FoH 98 dB!
“Possiamo definirlo un ‘monitoraggio totale’ – ci spiega – nel senso che usiamo tutto ciò che è disponibile sul mercato a questo scopo! Abbiamo dei monitor stereo per ogni musicista, IEM per tutti, side con ben sei dV‑DOSC per lato con due dV‑Sub puntati sul centro del palco. Giuliano usa altri quattro monitor USM‑1 Meyer, con un 15” su ogni monitor, quindi grande volume e grande pacca, due centrali per la voce e laterali allineati con i side. A tutto ciò si aggiunge il sub del batterista, un autocostruito con due 21”, progettato da Mario Di Cola, che muove tantissima aria sulle sue orecchie, anzi, sui reni del batterista, ma siccome non bastava usa anche uno shaker sotto il seggiolino. Devo gestire ben 64 uscite, perché ci sono molti canali splittati, quindi tutto si moltiplica, così la console digitale è indispensabile: ho una D5 che non tradisce mai.
“Ovviamente anche tutti gli amplificatori dei singoli strumenti sono accesi – continua Umberto – così abbiamo dovuto lavorare per ottenere un volume superiore; inevitabile un rientro importante sulla voce, ma ovviamente bisogna convivere con l’istinto rock della band con cui lavori”.
“Cosa pensi delle qualità taumaturgiche del fonico di palco – gli chiediamo – di cui parla Cantadori nel nostro ultimo mumero?”.
“È un lavoro molto delicato, occorre individuare il modo migliore per interfacciarsi con gli artisti, come presentarsi, come parlare, e non è sempre lo stesso con tutti; ma penso che alla fine a trasparire sia la tua serenità interiore, perché l’obiettivo è quello di non mettere agitazione all’artista. Con Negramaro inizialmente, parecchio tempo fa, ho avuto un po’ di tensione, ma adesso siamo sulle stesse frequenze, abbiamo fatto un ottimo lavoro in masseria da loro durante le prove ed abbiamo trovato un buon balance.
“Uso un Summit DCL‑200 per schiacciare un po’ la voce del solista nel mould – prosegue Umberto illustrandoci la sua regia – ma non utilizzo Finalizer, preferisco seguire tutto a mano tramite VCA; inoltre ho due Lexicon PCM91 e due PCM81 per gli ambienti. Per il resto tutto interno alla console. Non uso invece i trigger PZM Schertler che Amek ha messo sulla batteria: ho già abbastanza canali così! Cosa vuole sentire Guliano? Vuole ascoltare tutto e tutto a palla”.

Lo spettacolo visivo
Prima che cominci un ennesimo sound-check finale a poche ore dal concerto (ma non erano qui da due settimane?) riusciamo a fare una divertente chiacchierata con Jvan Morandi, show designer del concerto.

Jvan è piemontese, ma ormai londinese di adozione da oltre 20 anni. Ha infatti studiato in UK, laureandosi in design, ed ha da sempre lavorato nello mondo dello show business, fondando con alcuni soci una ditta di design che si occupa soprattutto di sistemi di controllo per tour mondiali del calibro di Placebo, Faithless o UB40, situazioni che richiedono strutture belle ma anche molto agili da trasportare.
“Devo riconoscere che in questo tour il materiale della produzione è notevole, almeno per questa tipologia di spettacolo: abbiamo infatti 175 m2 di schermo LED, 100 luci motorizzate, 50 stroboscopiche, 16 telecamere, tutto integrato in un solo controllo. “L’idea della scenografia – continua Jvan – è basata sull’osservazione clinica, effettuata anche con telecamere di sicurezza, inoltre gli schermi ricevono trasmissioni televisive tutte scassate dal passato... e noi siamo specializzati nel creare questi spettacoli integrati che richiedono tantissime ore di programmazione. Infatti siamo qui a Pesaro da 14 giorni! Normalmente un gruppo inglese di livello internazionale fa 150 date, i Placebo, ad esempio, stanno in tour due anni con 220 date; nonostante questo, devo riconoscere che il progetto dei Negramaro è uno dei più grossi che io abbia mai creato. I gruppi inglesi, infatti, per un concerto per 5/7 mila paganti, uscirebbero con una produzione di tre o quattro bilici al massimo; in Italia si esce con dieci bilici che però poi devono andare dentro al ‘Palatupparello’. Insomma ci sono molte ambizioni da sposare a condizioni logistiche non sempre ottimali. Devo comunque dire che mi sto divertendo tantissimo, questo è il mio primo lavoro in Italia.


“Il sistema è piuttosto complesso: è controllato da console Chamsys MagiQ ProX mentre il sistema video è controllato da un sistema Catalyst sviluppato da noi, con 24 input di vario genere, compresi input video satellitari televisivi dal vivo che Giuliano usa per fare zapping su diversi canali. Abbiamo ben 175 m2 di G‑Lec con passo da 30 mm. Il sistema video è tutto mobile, creato come un mosaico su Kinesys, si muove proprio tutto. Il pod centrale è uno schermo, ma con la caratteristica di trasformarsi in un palco, scorrendo fra due rotaie: Giuliano ci sale sopra e viene portato a cantare in mezzo alla folla a circa sette metri di altezza. Io lo chiamo il ‘tappeto volante’. Poi uso tante strobo, perché, come dice la regola del bravo lighting designer, quando sei in dubbio stroba, se hai ancora dubbi usa più fumo, se ne hai ancora di più manda la fattura!
“Voglio anche precisare – continua Jvan – che l’uso delle camere non è televisivo o narrativo, ma totalmente estetico e grafico. Infatti, costruendo lo show, tendo a partire dal video e ad usare le luci in modo fotografico, muovendole molto meno di quanto si faccia in un classico spettacolo rock. Non mi piace quello che noi chiamiamo lo stile ‘pop-smarties’, cioè l’esagerazione di colori e movimenti. Tendo a concentrarmi molto sulla fotografia, infatti il sistema è programmato su una pagina base, un template in cui tutte le keylights e la struttura che mi danno l’immagine della scena sono fisse. Su quel template poi aggiungo il resto, cercando sempre di non esagerare con gli effetti. Le luci così non sono ‘adattate’ al video, nascono insieme, per me sono la stessa cosa”.


Come è nato questo contatto con Negramaro?
Sono stato contattato da Live Nation Italia, di cui conoscevo Alberto Muller per averlo incontrato durante il tour dei Placebo. Giuliano aveva visto un mio spettacolo, senza sapere che fossi italiano, e voleva provare a fare due chiacchiere per una possibile collaborazione. Così, dopo aver ascoltato la loro musica, ho preparato una proposta, li ho raggiunti in Salento e ci siamo piaciuti. Hanno anche accettato la mia parcella: meglio di così?
Come ti trovi con le forniture delle aziende italiane?
Il sistema di lavoro italiano è molto diverso da quello inglese, ma con il personale ed il materiale del service Agorà mi sono trovato molto bene, sono davvero bravissimi e simpatici, ci prendiamo per i fondelli in continuazione.
Cosa puoi dirci della tua console, una macchina poco usata in Italia...
I controlli sono Chamsys, piccola azienda londinese che sta riscuotendo sempre più successo. È una macchina molto potente e sofisticata ma anche molto immediata. Potrei controllare da qui anche le movimentazioni, ma cerco di usare la mia assicurazione non troppo spesso... e poi fra gli ospiti ci sarà Michele Placido: mia madre non potrebbe mai perdonarmi di aver schiacciato Michele Placido!
Hai parlato di differenze nel modo di lavorare italiano, quali noti maggiormente?
La prima è che qui ci sono tanti capi, tanta gente che parla! Anche se a volte non capisco bene chi siano di preciso! Ma a livello di professionalità e tecnologia è tutto ottimo. Un’altra grande differenza è la durata delle prove e la dimensione della produzione: pensa che, in Inghilterra, per un tour come quello dei Placebo da 10.000 paganti in 60 arene europee, noi usciamo con 4 camion di produzione e cinque giorni di prove. I Muse, con 17 camion e un tour negli stadi, fanno 10 giorni di prove! Io credo che dopo cinque, sei, massimo sette giorni di prove comincia “la settimana delle pippe”! Invece, se lavori all’inglese, dopo una settimana sei fuori ed inizi a fare soldi. Anche perché è rock&roll: i dettagli da sistemare si sistemano strada facendo, soprattutto perché hai bisogno del pubblico per capire alcune cose, non del batterista da solo sul palco che chiede di fare il suo rullante alle tre di notte col palazzetto vuoto! Il rock non è teatro, ha dei margini d’errore fisiologici. Si potrebbe provare un mese e ci sarebbe sempre qualcosa da correggere al primo spettacolo vero. Ma adesso vado, comincia l’ennesimo sound-check!

Il concerto
La prima cosa che salta agli occhi è l’ottimo lavoro di regia e la bontà sia delle idee scenografiche sia della loro realizzazione. Qualcosa di veramente diverso, anche perché l’uso dei video si riduce fondamentalmente ad un puzzle di macchie di colore che cambia continuamente configurazione grazie alle bellissime movimentazioni. La trasparenza dei G‑Lec è inoltre sfruttata con molta creatività, con la sovrapposizione di diversi livelli che creano una sensazione di profondità molto suggestiva. Infine l’effetto “tappeto volante”, col video che diventa palco mobile e porta Giuliano fra la folla, certamente un grandissimo “special”. Raccontiamo, come retroscena, che a Giuliano è stato anche insegnato come scendere dal tappeto volante alto sette metri, in caso di problema tecnico, perché ovviamente non avrebbe potuto fare tutto il concerto dalla piccionaia! Problema che non si è verificato, fortunatamente, ma niente era stato lasciato al caso.


L’audio: da quando avevamo saputo dei 98 dB in regia a PA spento era salita in noi una certa apprensione, perché in queste condizioni ottenere un suono definito dentro un palasport è fisicamente e acusticamente impossibile. Dobbiamo quindi dire che Paoluzi e Amek sono stati molto bravi nel tirar fuori quanto di meglio si potesse, cioè la sensazione di energia musicale e la voce del protagonista, ovviamente con la necessità di spingere non poco la manetta del volume.
Non ci piace esprimere troppi giudizi personali sul valore artistico dei concerti che recensiamo, preferiamo guardare le reazioni del pubblico che, essendo venuto, certamente gradisce la musica in programma. In questo caso abbiamo visto un parterre, giovane e molto coinvolto, cantare felice per buona parte del concerto le canzoni dei Negramaro all’unisono col gruppo. Insomma una serata forte ed emozionante. Da noi solo il consiglio di centellinare maggiormente la frequenza del falsetto.

 

Produzione: Live Nation Italia

Service: Agorà

Sound Engineer: Sandro "Amek Ferrari"

Monitor Engineer: Umberto Polidori

Show Designer: Jvan Morandi

Le Video Interviste:

amek

umberto polidori

Jvan Morandi backliner

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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